Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-01-2013) 17-05-2013, n. 21192 Abuso di ufficio

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 4 febbraio 2011 la Corte d’appello di Genova, in parziale riforma delle sentenze emesse dal Tribunale di Sanremo – nelle date del 7 ottobre 2009, del 12 gennaio 2010 e del 5 maggio 2009 – nei confronti di Bi.Gi., B.L., Ba.
P., M.M., S.C., G.P., A. O.M., nonchè del responsabile amministrativo della "X" s.r.l., ha dichiarato: a) A.O. M. colpevole del reato di concussione ascrittogli in concorso con il B. (capo sub b)), condannandolo alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, oltre alle relative pene accessorie ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile; b) Bi.
G. e B.L. colpevoli degli altri reati di cui alla sentenza del 7 ottobre 2009 (contestati, ex art. 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, n. 1, artt. 319 e 321 c.p., nel capo sub a)), aumentando le rispettive pene ad anni tre e mesi tre di reclusione ciascuno, con le relative sanzioni accessorie di tipo interdittivo, la condanna all’ulteriore risarcimento dei danni in favore della parte civile e la confisca di beni per l’importo complessivo di Euro 54.000,00 (il B.) e di Euro 74.000,00 (il Bi.); c) M. M. e S.C. colpevoli del reato di corruzione loro ascritto, nel capo sub a), condannandoli ciascuno alla pena di anni due di reclusione ed alla relativa pena interdittiva, con la confisca dei loro beni per l’importo complessivo di Euro 20.000,00 e la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile; d) Ba.Pa. colpevole del reato di cui all’art. 323 c.p., così qualificato il fatto oggetto dell’originaria imputazione di corruzione di cui al capo sub a), condannandolo alla pena di mesi otto di reclusione ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
Ha dichiarato, altresì, la responsabilità amministrativa della "X Generali" s.r.l. per i fatti commessi dal Bi.Gi., disponendone la condanna al pagamento di quattrocento quote (pari alla somma di Euro 400,00) e la confisca dei beni per l’importo di Euro 74.000,00, confermando nel resto le impugnate pronunzie.
2. Avverso la predetta sentenza della Corte d’appello di Genova hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di A.O. M., Bi.Gi., B.L., Ba.Pa., M.M., S.C., nonchè della "X" s.r.l., deducendo i motivi di doglianza che vengono di seguito rispettivamente illustrati.
3. Il ricorso proposto dalla difesa di A.O.M. prospetta dieci profili di doglianza il cui contenuto viene sinteticamente riassunto nei termini di seguito esposti.
3.1. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea applicazione della legge penale, nonchè manifesta illogicità della motivazione dell’impugnato provvedimento, in relazione agli artt. 110 e 317 c.p., avendo la Corte d’appello tratto la prova dell’esistenza del concorso dell’extraneus nel delitto di concussione essenzialmente dal fatto di aver l’ A. incaricato il B. della redazione dell’atto unilaterale d’obbligo – incarico che la D.I. non avrebbe autonomamente conferito e che avrebbe mostrato di non aver gradito – senza tener conto che la prova del relativo apporto causale implica la necessaria individuazione di atti o comportamenti riconducibili alla condotta tipica della norma incriminatrice.
3.2. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, laddove la Corte d’appello attribuisce valenza indiziaria ad una circostanza di fatto – ossia, l’essere stato il ricorrente a procurare i contatti tra la D.I. ed il B. – che essa stessa, tuttavia, smentisce nella ricostruzione degli eventi, quando ricorda che la D. I. aveva autonomamente incontrato il B., informandosi presso gli uffici comunali, e personalmente con il Sindaco, della fattibilità dell’operazione commerciale, ancor prima di conferire l’incarico professionale ad A..
Ulteriore vizio motivazionale, poi, si anniderebbe nell’aver attribuito efficacia indiziante alla circostanza inerente ai ripetuti riferimenti dell’ A. alla necessità di corrispondere somme di denaro ai tecnici comunali per accelerare la pratica, poichè tale circostanza di fatto – oltre che scarsamente verosimile per la data menzionata nella sentenza – non coinvolgerebbe neppure indirettamente la persona del Sindaco.
3.3. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nonchè per travisamento della prova documentale, non avendo la Corte d’appello considerato le relative produzioni difensive, che comproverebbero la presentazione della richiesta di concessione da parte dello studio Allaria – Masella già in data 15 gennaio 2003, con il compimento di una copiosa attività tecnica nei mesi successivi, laddove in un passaggio motivazionale dell’impugnata sentenza si fa riferimento al fatto che sino al 23 luglio la richiesta di autorizzazione non era stata neppure depositata presso gli uffici comunali.
Un travisamento della prova documentale, inoltre, deriverebbe dall’aver omesso di considerare la presenza di contributi progettuali offerti da altri professionisti, dei quali avrebbe escluso invece l’intervento, affermando che solo al ricorrente era stato conferito l’incarico di seguire la pratica ed attribuendogli la responsabilità per i lamentati ritardi nella sua definizione, quando l’autorizzazione idraulica, ad es., venne richiesta da un altro tecnico alla fine di luglio del 2003.
Travisamenti di prove documentali offerte alla cognizione della Corte discenderebbero, poi, dall’aver affermato che lo studio professionale affiancato dalla D.I. all’ A. (studio Pavin – Costamagna) avrebbe svolto la propria attività in un breve lasso di tempo, alla fine di luglio del 2003 – anzichè nei precedenti mesi di maggio e giugno – e dal non aver valutato che il ricorrente non avrebbe potuto certamente consegnare la pratica prima che gli pervenissero i contributi progettuali elaborati da quello studio, senza peraltro considerare che la stessa D.I., nel maggio 2003, aveva chiesto una proroga di sei mesi per il rilascio della concessione edilizia, non a causa dei ritardi dell’ A., ma per le richieste di natura tecnico-progettuale pervenute dalla giunta comunale di Taggia con Delib. 16 gennaio 2003, n. 11.
3.4. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nonchè per travisamento della prova documentale, laddove la Corte ha ritenuto che il ricorrente avrebbe incaricato il B. dopo il 23 luglio, cioè a pochissimi giorni dalla scadenza del termine del 30 luglio che la D.I. intendeva rispettare, quando l’incarico gli fu invece conferito qualche giorno dopo il 3 luglio e prima del 10 luglio, in quanto la presentazione dell’atto unilaterale d’obbligo era stata richiesta dalla C.E. di Taggia in data 3 luglio 2003, e nella successiva data del 10 luglio 2003 la D. I. aveva già ricevuto dal B. il dischetto con la relativa bozza dell’atto unilaterale richiesto. Ulteriore vizio motivazionale deriverebbe dall’aver attribuito valore indiziante ad altra circostanza – ossia, il fatto che dell’adempimento relativo alla predisposizione del patto lo stesso A. si sarebbe occupato anche in altre precedenti occasioni – destituita di ogni fondamento alla luce della deposizione resa da un teste – L.D. – il cui contenuto era stato indicato nella memoria difensiva.
3.5. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, laddove la Corte afferma che la pratica ricevette uno straordinario impulso dopo il 23 luglio 2003 e venne quindi approvata nel giro di pochi giorni, partendo dall’errato presupposto che sino al 23 luglio la richiesta di concessione non era stata neppure depositata ed omettendo di considerare il complesso iter amministrativo e gli elaborati progettuali depositati ancor prima della riunione della Commissione edilizia del 3 luglio 2003:
l’approvazione finale, in realtà, fu la logica conseguenza della verifica della completezza e della regolarità della pratica, mentre nessuna correlazione vi sarebbe tra il pagamento al B. – non avvenuto nel luglio del 2003, ma nell’ottobre dello stesso anno – e lo svolgimento dell’incarico professionale, che l’ A. terminò il 23 luglio 2003. Altro vizio motivazionale, infine, per contraddittorietà del relativo passaggio contenuto nell’impugnata pronunzia, emergerebbe laddove la Corte fa discendere una significativa rilevanza indiziaria circa l’esistenza di un accordo illecito tra il privato ed il pubblico ufficiale dalla mera circostanza dell’affidamento dell’incarico professionale dall’ A. al B. e dalla dichiarata disponibilità del primo a farsi "latore" della successiva richiesta economica dell’altro, in assenza di ulteriori dati di fatto.
4. La difesa di B.L. ha dedotto nel suo ricorso quattro motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.
4.1. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), e lett. b), in relazione alla condanna per il delitto di concussione, sotto i profili della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, dell’omessa valutazione di elementi di prova acquisiti agli atti, del travisamento del contenuto di altre risultanze processuali e della ritenuta sussistenza della su indicata ipotesi delittuosa in assenza di atti abusivi e di una specifica condotta induttiva da parte dell’imputato (con una subordinata richiesta di riqualificazione del fatto quale ipotesi di corruzione impropria ex art. 318 c.p.). La Corte d’appello, in particolare, avrebbe omesso di valutare una serie di doglianze sollevate dalla difesa in ordine ai seguenti profili: a) all’assenza di qualunque dato fattuale a sostegno dell’ipotesi di un preordinato accordo tra il Sindaco B. ed il tecnico A., non risultando pregressi rapporti di collaborazione professionale nè prima nè dopo l’affidamento, da parte del geometra, dell’incarico per la predisposizione dell’atto unilaterale d’obbligo nell’ambito dell’iter amministrativo inerente alla richiesta di permesso di costruire proposta dalla "A. e G. Sviluppo"; b) alla mancanza di atti di abuso della qualità o dei poteri del pubblico ufficiale, e dunque di un’attività induttiva, riconducibile al Sindaco B., non avendo la persona offesa – D.I.A. – riferito di suoi condizionamenti o pressioni, peraltro neanche emersi dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche e dall’esame dell’avv. Od., legale della predetta; c) alla contraddittoria collocazione temporale dell’accordo per il pagamento della parcella, e dunque della promessa dell’utilità, in occasione della consegna di un dischetto contenente il testo dell’atto unilaterale d’obbligo, risultando dal contenuto di un’intercettazione telefonica del 10 luglio 2003, relativa ad una conversazione tra la D.I. ed il Bi., che il B., consegnandole il documento, le aveva detto che non doveva pagargli alcuna parcella, essendo lui d’accordo con l’ A.; d) alla mancanza di ogni riferimento alla circostanza che la D.I. aveva conferito un incarico di mediatore, retribuito con la somma di Euro 80.000,00, al vice Sindaco ed assessore all’edilizia C. G., per acquisire dai numerosi proprietari i terreni occorrenti per realizzare la prevista opera immobiliare; e) all’inesistenza del preteso termine di scadenza del vigente piano regionale ligure per il commercio alla data del 3 luglio 2003, essendo la persona offesa consapevole che la scadenza era stata già prorogata; f) all’omessa indicazione di alcun fatto sintomatico a sostegno dell’esistenza di un piano concordato tra il B. e l’ A.. La Corte territoriale avrebbe inoltre espresso considerazioni generiche e manifestamente illogiche riguardo ai seguenti punti della decisione:
a) assenza di contraddizione tra la condanna del Bi., socio della D.I., per la corruzione del Sindaco in relazione all’intervento di cui al capo sub a), e quella per concussione dello stesso B. in danno della D.I. con riferimento alla vicenda del parco commerciale di cui al capo sub b); b) pretesa irrilevanza della deposizione del teste O.D., legale ed amico della D. I., che ha escluso di avere ricevuto confidenze in ordine ad illegittime richieste da parte del B., con la conseguenza che le relative risultanze probatorie avrebbero dovuto essere valutate alla stregua di un riscontro negativo in ordine al preteso condizionamento della libertà morale della predetta imprenditrice. Vengono censurati, poi, ripetuti travisamenti delle risultanze processuali e vizi di contraddittorietà della motivazione riguardo: a) all’interpretazione del contenuto della conversazione oggetto di intercettazione telefonica intercorsa fra l’assessore G. ed il Bi. in data 7 luglio 2003; b) alle modalità di redazione dell’atto unilaterale d’obbligo; c) alla data di deposito dell’istanza di permesso a costruire, in realtà protocollata nel Comune di Taggia il 15 gennaio 2003; d) al parere favorevole già espresso dalla Commissione edilizia in data 3 luglio 2003; e) all’entità dell’importo pagato per la prestazione professionale, in realtà inferiore ai minimi tariffari all’epoca spettanti agli avvocati; f) al contenuto della stessa deposizione resa dalla teste D.I., che non avrebbe mai operato alcun riferimento a condizionamenti o pressioni da parte del B., ed alla conseguente omessa motivazione sul rigetto del gravame circa l’insussistenza degli elementi costitutivi della concussione.
4.2.Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione alla condanna per il reato di corruzione continuata (capo sub a)), per omessa disamina del punto concernente il rigetto della richiesta subordinata di trasmissione degli atti al P.M. ex art. 521 c.p.p., n. 2 e art. 598 c.p.p., risultando il fatto diverso da quello descritto nel decreto di citazione a giudizio, in quanto la controprestazione illecita riguardava, eventualmente, il rilascio delle autorizzazioni per il parco commerciale alla società "A e G", e non l’addebito, contestato al solo Bi., della realizzazione del complesso "Conad -Ledere" (motivo indicato al n. 2 dell’atto di appello e dalla Corte territoriale non esaminato, neanche implicitamente, sotto alcun profilo).
4.3. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), e lett. b), in relazione all’art. 112 c.p., comma 1, n. 1, artt. 62-bis e 157 c.p., per quel che attiene alla condanna per il reato di corruzione continuata (capo sub a)), in relazione alla denegata esclusione dell’aggravante del numero delle persone di cinque o più, alla mancata concessione delle invocate attenuanti generiche ed all’omessa declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione riguardo alla donazione da parte del Bi. al B. di un orologio marca "Rolex", modello "Daytona".
4.4. In via subordinata viene eccepita la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 81 cpv. c.p., per mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di applicazione del vincolo della continuazione tra i fatti oggetto dei due procedimenti riuniti nei confronti del B., formulata al termine della discussione tenutasi dinanzi alla Corte d’appello il 14 gennaio 2011 ed illustrata con riferimento ai dati della contemporaneità e sostanziale omogeneità delle violazioni, nonchè dell’identità dei soggetti coinvolti e del relativo contesto territoriale ed imprenditoriale.
5. Nel suo ricorso Bi.Gi. ha articolato quattro motivi di doglianza, il cui contenuto viene sinteticamente riassunto nei termini di seguito esposti.
5.1. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nonchè per travisamento della prova, laddove la Corte d’appello ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal teste R. G., imprenditore in rapporti d’affari con il Bi., circa la consegna a quest’ultimo, in data 22 o 23 luglio 2003, di una somma di denaro in contanti pari ad Euro 50.000,00, che sarebbe servita per sostenere dei costi relativi all’operazione immobiliare oggetto del capo sub a), costituirebbero un riscontro ulteriore a quanto affermato dal Ga. – collaboratore del Bi. – circa il prelievo da un conto corrente bancario della società "A & G" di una somma di denaro di Euro 25.000,00, che il Bi. avrebbe ricevuto dal suo collaboratore il 6 agosto 2003, per poi versarla nel pomeriggio di quello stesso giorno al Sindaco B. nel corso di un incontro tenutosi presso gli uffici della "X Generali".
Al riguardo, infatti, la circostanza valorizzata dalla Corte di merito (ossia, il fatto che la somma corrisposta da Bi. al B. il 6 agosto 2003, siccome consegnata in contanti dal R. al Bi. il 22 o il 23 luglio 2003, sarebbe stata già in possesso dell’imputato) risulterebbe in contraddizione con le affermazioni del Ga., secondo cui Bi. prelevò il 5 agosto 2003 – tramite lo stesso Ga. – l’importo di Euro 25.000,00 dal conto corrente della su citata società, al fine di corrispondere quella somma al B. il giorno successivo giorno (ossia, il 6 agosto 2003). Inoltre, la disponibilità da parte del Bi. di una somma in contanti necessaria al versamento e la contestuale presenza del B. nel corso dell’incontro verificatosi a Reggio Emilia nel luglio del 2003 – cui avrebbero partecipato anche il Bi. e lo stesso Ga. – renderebbero del tutto irragionevole l’ipotesi che la corresponsione sia stata poi eseguita, valendosi di un prelievo bancario, quattordici giorni dopo, così come dichiarato dal Ga., secondo cui il relativo versamento sarebbe intervenuto nel pomeriggio del 6 agosto di quello stesso anno.
– Nessuna valenza di riscontro alle dichiarazioni del Ga., peraltro, potrebbe attribuirsi ad un appunto manoscritto sequestrato all’esito di una perquisizione effettuata presso l’abitazione dello stesso Ga., in quanto il predetto documento e la sua spiegazione sarebbero parte stessa della dichiarazione accusatoria, sicchè il primo non sarebbe ad essa esterno e non potrebbe riscontrarla.
– Ulteriori elementi di contraddittorietà sarebbero individuabili, secondo il ricorrente, nell’eccepita irragionevolezza di un prelievo bancario di Euro 25.000,00, avvenuto il 5 agosto 2003 (oltretutto sul conto corrente di una società estranea alla finalità per la quale la tangente sarebbe stata corrisposta e di cui era socio solo al 50%) per eseguire un pagamento illecito in favore del B., quando egli – come ammesso dalla stessa Corte d’appello – disponeva, in quello stesso giorno, di una somma in contanti assai superiore all’importo dell’ipotizzata tangente, poichè pari alla cifra di Euro 99.500,00, che fu versata al casinò di Montecarlo, attraverso il Ga., la sera del 6 agosto 2003. Sebbene sollecitata nei relativi motivi d’appello, la Corte territoriale avrebbe poi omesso di verificare il contenuto delle singole conversazioni telefoniche intercettate in data 6 agosto 2003, verifica che avrebbe consentito di accertare che la somma di Euro 25.000,00 prelevata dal Ga. il 5 agosto 2003 era stata ritenuta su sollecitazione del Bi. ed infine versata al predetto casinò la sera del 6 agosto 2003, per ripianare una perdita di gioco dal Bi. riportata nella precedente serata del 5 agosto: la stessa, dunque, non era nella disponibilità del Bi. al momento dell’incontro con il Sindaco, avvenuto nel pomeriggio del 6 agosto 2003, allorquando si sarebbe verificata la contestata dazione.
Incongruenti sul piano logico sarebbero anche le asserzioni relative al contestato regalo di un orologio del valore di circa Euro 10.000,00 – in realtà già nella disponibilità dell’imputato, secondo quanto affermato nelle deposizioni rese dai testi Gh. e Gi. – ed alla seconda consegna di denaro operata dal Bi. in favore del B., e dalla Corte di merito fondata su dati inconferenti (la registrazione della fissazione di appuntamenti al di fuori degli uffici della società del Bi., mentre l’incontro narrato dal Ga. sarebbe avvenuto al suo interno ed in un periodo antecedente a quello preso in considerazione dal teste), ovvero su argomentazioni extraprocessuali, facendo riferimento a quanto dal P.M. affermato, in sede di discussione, circa le modalità di registrazione delle conversazioni ambientali (ossia, al fatto che negli uffici della Bi. erano state collocate microspie in due ambienti separati, le quali funzionavano alternativamente, quando gli operatori, che non procedevano sempre all’attività di ascolto, si avvedevano della presenza di persone da intercettare in una delle due stanze).
Contraddittorie, infine, si dimostrerebbero le valutazioni dalla Corte di merito espresse circa l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal Ga., tenuto conto dell’esistenza, al momento delle deposizioni rese in fase di indagini, di un rapporto sentimentale con D.I.A., che certamente era suscettibile di alterare la direzione delle rispettive dichiarazioni.
5.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonchè mancanza, o insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 158 c.p. e art. 125 c.p.p., avendo la Corte di merito affermato la penale responsabilità del Bi. in relazione a due vicende rispettivamente verificatesi il 1 gennaio 2003 – la donazione dell’orologio – e il 1 agosto 2003 – la dazione delle somme ai coimputati M. e S. – sebbene per le stesse fosse interamente decorso, alla data del 4 febbraio 2011, il previsto periodo prescrizionale.
5.3. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’art. 62-bis c.p. e art. 125 c.p.p., avendo la Corte d’appello disatteso, senza alcuna motivazione, la richiesta di concessione delle attenuanti generiche.
5.4. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale sostanziale e processuale, nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’art. 112 c.p., comma 1, n. 1, artt. 125 e 522 c.p.p., avendo la Corte d’appello riconosciuto l’esistenza della su indicata circostanza aggravante, sebbene il Tribunale avesse dichiarato la colpevolezza dei soli Bi. e B., così escludendone la presenza (punto, questo, su cui il P.M. non aveva proposto impugnazione).
L’illegittimità della statuizione, peraltro, deriverebbe anche dal fatto che nel caso di specie gli ipotizzati concorrenti erano solo cinque, mentre avrebbero dovuto concorrere nella realizzazione del contestato delitto almeno sei persone.
6. La difesa di M.M. ha proposto nel suo ricorso due motivi di doglianza, il cui contenuto viene sinteticamente riassunto come segue.
6.1. Violazione ed erronea applicazione degli artt. 319 e 321 c.p. e art. 192 c.p.p., nonchè mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla prova della consegna di una somma di denaro da parte di Bi.Gi. a M.M., avendo la Corte territoriale fondato il suo giudizio di penale responsabilità esclusivamente sulla base delle dichiarazioni accusatorie rese da Ga., sebbene le stesse risultassero sfornite di ogni riscontro esterno. Nessun valore in tal senso potrebbe attribuirsi ad un appunto manoscritto sequestrato al Ga., che il Bi. avrebbe formato in sua presenza, poichè accanto alla cifra di Euro 20.000,00 riportata in quel foglio non è indicata nessuna iniziale tale da poterla ricondurre a quanto corrisposto – secondo lo stesso G. – ai tecnici del Comune M. e S.. Anche le dichiarazioni rese dal teste R. non sono idonee a costituire adeguato riscontro esterno, avendo egli precisato che allorquando ebbe a versare la somma di Euro 50.000,00 al Bi. – in un periodo collocabile tra il 2002 ed il 2003 – il Bi. non gli fece nomi di persone alle quali si sarebbe rivolto.
6.2. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’art. 129 c.p.p. ed all’art. 157 c.p., in quanto la Corte avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del reato di corruzione per intervenuta prescrizione: la presunta dazione di denaro al M. sarebbe genericamente avvenuta – secondo le dichiarazioni del Ga. – nell’anno 2003, e non in un giorno imprecisato dell’agosto di quell’anno, con la conseguenza che il reato risultava prescritto, per decorso del relativo termine di anni sette e mesi sei, alla data del 30 giugno 2010, ovvero, al più tardi, alla data del 31 gennaio 2011.
7. La difesa di Ba.Pa. ha proposto nel suo ricorso due motivi di doglianza, il cui contenuto viene sinteticamente riassunto come segue.
7.1. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 323 c.p. e art. 192 c.p.p., nonchè mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, per omessa valutazione di atti processuali e prove decisive in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di abuso d’ufficio, che la Corte d’appello avrebbe fatto discendere dalla macroscopica illiceità degli atti amministrativi dal ricorrente emessi (due denunce di inizio attività rilasciate nel maggio e nel settembre del 2005) e dai relativi tempi di emanazione, senza considerare il parere reso dall’avv. Ma.Co. al Comune di Taggia in data 30 ottobre 2005, il cui contenuto dimostrerebbe come la situazione in cui si trovò ad operare il geometra Ba. era tutt’altro che chiara, ed anzi tale da indurre il tecnico a commettere errori di valutazione, come ebbe a riconoscere, del resto, lo stesso Tribunale di Sanremo.
Inoltre, sarebbe stata omessa la valutazione della circostanza che il Ba. non partecipò alla seduta della conferenza dei servizi indetta nell’anno 2002 per l’esame del progetto edilizio, l’approvazione delle varianti urbanistiche e l’approvazione delle istanze di autorizzazione commerciale, atti che pertanto non conosceva sotto il profilo urbanistico, nè sotto quello commerciale:
egli vide per la prima volta i complessi elaborati progettuali al momento della presentazione della variante relativa al permesso di costruire del 23 febbraio 2005; nè, del resto, prese parte alla seduta della Commissione edilizia del 17 ottobre 2002, quando la pratica in questione venne esaminata.
7.2. Ulteriori vizi motivazionali sarebbero poi ravvisabili nell’aver fatto, la Corte d’appello, generico riferimento ad evidenti e gravi violazioni urbanistiche, nonchè a rilievi tecnici formulati nel corso della relativa istruzione dibattimentale dai funzionari della Regione Liguria e dai consulenti tecnici del P.M. e della parte civile, senza però precisarne la natura ed il contenuto, nonchè omettendo la valutazione di una serie di elementi decisivi al riguardo sottoposti al suo vaglio (concernenti, in particolare, l’incremento della superficie netta di vendita del comparto A e l’incremento della superficie del comparto B), il cui esame avrebbe consentito di escludere la sussistenza del reato.
8. La difesa di S.C. ha proposto nel suo ricorso quattro motivi di doglianza, il cui contenuto viene sinteticamente riassunto come segue.
8.1. Violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in quanto, sebbene l’imputazione faccia riferimento ad una dazione di denaro avvenuta – da parte del Bi. ed in favore dello S. – in un giorno imprecisato dell’agosto 2003, la Corte d’appello ha pronunziato sentenza di condanna collocando genericamente l’epoca del presunto versamento di Euro 20.000,00 nell’anno 2003, quando invece la difesa aveva dimostrato, sulla base di prove documentali e delle risultanze fornite dalle intercettazioni telefoniche, l’insussistenza stessa del fatto contestato. Nel dispositivo, in particolare, la Corte ha fatto riferimento al reato ascritto, mentre nella motivazione ha operato un richiamo generico ad una dazione avvenuta nell’anno 2003, così modificando il fatto con la conseguente violazione dei diritti di difesa.
8.2. Violazione dell’art. 157 cod. pen., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo la Corte d’appello omesso di dichiarare la prescrizione del reato, in quanto se il fatto si fosse ipoteticamente consumato in un giorno indeterminato del 2003, il relativo termine prescrizionale sarebbe venuto a scadere, per la regola del favor rei, il 30 giugno 2010.
8.3. Violazione dell’art. 192 c.p.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in quanto le dichiarazioni accusatorie rese dal Ga. quale imputato di reato connesso, già di per sè connotate da intrinseche lacune ed incertezze non esaminate dai Giudici del merito, non sarebbero assistite da adeguati riscontri probatori esterni, tali non potendosi ritenere le dichiarazioni del R. – che fa generico riferimento ad una somma di denaro consegnata al Bi., da destinarsi ad appartenenti all’amministrazione di Taggia – nè un foglietto volante con appunti, che peraltro costituirebbe l’appendice di una scrittura privata datata dicembre 2002, del quale non è stata individuata con certezza la data di compilazione, e che, di conseguenza, non può considerarsi riscontro di un pagamento ipotetico, la cui stessa data di verificazione non è stata con certezza individuata.
8.4. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, oltre che per la sua assoluta carenza su punti rilevanti del fatto e dell’imputazione, emergenti attraverso le risultanze degli interrogatori dibattimentali di Ga. e R., oltre che dal decreto n. 108 del Sindaco di Taggia in data 28 luglio 2003, che aveva sostituito lo S., quale responsabile del servizio urbanistica ed edilizia privata, con il geometra Ba., mentre il primo era cessato dal servizio sin dal 27 luglio 2003, poichè si trovava in congedo feriale sino al 31 agosto ed era stato poi collocato in pensione dal 1 settembre di quello stesso anno. I punti espressamente sottoposti a censura, peraltro, con particolare riferimento ai profili concernenti le contestazioni dell’omessa sospensione e dell’omesso controllo dei lavori illegittimamente intrapresi, nonchè dell’autorizzazione allo stoccaggio (aspetto, questo, privo di ogni rapporto con l’effettivo inizio dei lavori edili), costituivano l’oggetto di una memoria difensiva presentata in sede di gravame, che la Corte di merito non avrebbe esaminato.
9. La difesa di "X" s.r.l., condannata quale responsabile amministrativa per i fatti commessi da Bi.
G., ha a sua volta proposto ricorso formulando due motivi di doglianza, il cui contenuto viene sinteticamente riassunto come segue.
9.1. Violazione e falsa applicazione del disposto di cui all’art. 125 c.p.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, avendo la Corte d’appello omesso di chiarire le circostanze indispensabili in ordine alla configurazione della dichiarazione di responsabilità della società ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, non potendosi ritenere sufficiente, al riguardo, una motivazione per relationem a quella dell’imputato.
9.2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 125 c.p.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonchè per travisamento della prova, sulla base dei medesimi rilievi al riguardo già formulati nel ricorso del Bi., e dalla Corte territoriale illegittimamente disattesi.
Motivi della decisione
10. Il ricorso dell’ A. è fondato e va accolto per la ragione assorbente di seguito precisata, che esime dal prendere in esame le residue censure ivi articolate per quel che attiene al reato ascrittogli al capo d’imputazione sub b).
Ed invero, l’impugnata sentenza non ha fatto buon governo della normativa in tema di concorso di persone nel reato proprio.
Si addebita al ricorrente, incaricato dalla imprenditrice D.I. A. di seguire dal punto di vista tecnico-progettuale una complessa operazione immobiliare che avrebbe dovuto concludersi nel mese di luglio del 2003, di averle consigliato di affidare proprio al Sindaco di Taggia ( B.L.) il compito di redigere un atto unilaterale d’obbligo (ossia, l’atto con cui la parte richiedente si impegna nei confronti del Comune al compimento di opere di urbanizzazione) da allegare alla richiesta di autorizzazione edilizia, in un contesto storico-fattuale segnato da ritardi nella definizione della pratica, nonostante i numerosi mesi trascorsi dal conferimento dell’incarico, le ripetute assicurazioni sulla fattibilità dell’operazione e l’entità del compenso pattuito.
Secondo la ricostruzione dei fatti operata in sede di merito, l’ A., a fronte della richiesta di spiegazioni da parte della D.I., fece presente che sarebbe stato meglio affidare tale incarico al Sindaco per la maggiore sicurezza che la pratica avesse in effetti un esito positivo e veloce. La D.I., data la ristrettezza dei tempi di approvazione, subì l’iniziativa come un fatto inevitabile ed affidò l’incarico al B., non senza preoccuparsi della parcella che sarebbe stata richiesta: l’ A., nell’occasione, rispose che glielo avrebbe fatto sapere.
Proprio da tale consiglio, e dal successivo affidamento dell’incarico, secondo la Corte di merito, scaturì una richiesta di somme di denaro alla D.I. da parte del B., quantificata nell’importo di Euro 60.000,00, poi ridotta ad Euro 40.000,00, e ritenuta dall’imprenditrice del tutto incongrua rispetto al tipo di prestazione necessaria per redigere l’atto.
Già in precedenza, peraltro, l’ A. aveva prospettato alla D. I. che per ottenere le necessarie autorizzazioni in tempo utile sarebbe stato necessario corrispondere somme di denaro ai tecnici dell’amministrazione comunale ed attribuire incarichi ad alcuni di essi.
Gli argomenti utilizzati dalla Corte d’appello per giustificare l’affermazione della penale responsabilità dell’ A. riposano, tuttavia, su una mera presunzione e non sono di per sè idonei a provare il concorso nel reato del ricorrente.
Il reato di concussione appartiene alla categoria dei reati propri esclusivi o di mano propria del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, di talchè il concorso di un terzo estraneo è concepibile in caso di istigazione o, più in generale, di compartecipazione morale o materiale all’attività criminosa del funzionario e nella condivisione dell’intenzionalità di tale condotta criminosa.
In tema di prova del concorso del privato nel reato proprio occorre precisare che il comportamento autonomo di costui è, di per sè, insuscettibile di essere interpretato quale manifestazione di un preventivo accordo criminoso o di un rafforzamento del proposito criminoso del pubblico ufficiale e, più in generale, che la prova della collusione tra il privato ed il pubblico funzionario non può essere desunta da un comune interesse insito in vincoli interpersonali o da un ruolo di virtuale adesione al delitto, ma deve provenire da un quid pluris, ricavabile dalle modalità e dalle circostanze del fatto, dai rapporti personali intercorsi tra le parti, con riferimento al fatto specifico, o da altri elementi di contorno che concretamente dimostrino il raggiungimento di un’intesa col pubblico ufficiale o, quanto meno, una qualche pressione diretta a sollecitarlo o a persuaderlo al compimento dell’atto illecito (Sez. 6, n. 5447 del 05/11/2004, dep. 12/02/2005, Rv. 230875; Sez. 6, n. 35850 del 05/05/2008, dep. 18/09/2008, Rv. 241204).
Ne discende che, nell’ipotesi di prospettata intermediazione di un privato per indurre la vittima a dare o a promettere indebitamente una somma di denaro, la valutazione del giudice di merito sulla partecipazione del pubblico ufficiale non può essere circoscritta alla prova dei contatti diretti fra questi e l’intermediario, nè fra il primo e la vittima, ma deve essere condotta sulla base dei principii che regolano la compartecipazione criminosa, per verificare se l’azione sia stata posta in essere di sua esclusiva iniziativa, ovvero quale intermediario del pubblico ufficiale in forza di un accordo collusivo con lo stesso intervenuto (Sez. 6, n. 1319 del 24/03/1994, dep. 22/08/1994, Rv. 199047).
Alla luce dell’insegnamento giurisprudenziale elaborato in questa Sede, dunque, affinchè possa ravvisarsi il concorso dell’extraneus nel delitto di concussione, occorre che questi abbia posto in essere atti o comportamenti riconducibili alla condotta tipica prevista dalla norma incriminatrice, ossia che abbia, con la propria condotta, contribuito a creare nel soggetto passivo quello stato di costrizione e di soggezione, funzionale ad un atto di disposizione patrimoniale, che costituisce un elemento essenziale del reato, tentato o consumato.
Nella concussione posta in essere mediante l’intermediazione di un privato, invero, è necessario che la vittima abbia la consapevolezza che il denaro od altra utilità sono voluti effettivamente dal pubblico ufficiale, attraverso l’intermediazione del correo, fattosi portatore delle richieste del funzionario, ferma restando l’esigenza di dimostrare la piena consapevolezza di tutte le circostanze del fatto da parte del latore della proposta concessiva (Sez. 6, n. 506 del 03/10/2008, dep. 09/01/2009, Rv. 242364).
Del rigoroso rispetto del quadro di principii delineato dalla giurisprudenza non v’è traccia nella motivazione dell’impugnata sentenza, non possedendo gli elementi indiziari individuati a carico dell’imputato i necessari caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e risultando, dunque, del tutto priva di congrui argomenti giustificativi l’ipotizzata esistenza dell’accordo collusivo: se, da un lato, l’impugnata pronunzia pone in evidenza come l’iniziativa di indirizzare la D.I. dal B. debba farsi risalire all’ A., il cui precedente comportamento, peraltro, si era rivelato tutt’altro che limpido, dall’altro lato essa non spiega quali siano gli elementi di fatto idonei a comprovare l’esistenza di un accordo intervenuto con il B., sì da poterne giustificare, in tal modo, la piena compartecipazione nel reato ascrittogli, sia in ordine ai tempi e alle modalità di espletamento dell’incarico che a quelle di pagamento della richiesta prestazione.
Ne discende, per quel che attiene alla posizione dell’ A., l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, secondo la formula indicata nel dispositivo.
11. Per quel che attiene alla posizione del B., di contro, l’impugnata sentenza resiste alle censure mosse dal ricorrente in ordine ai fatti costituenti oggetto del capo d’imputazione sub b), basandosi su un impianto di motivazione non meramente apparente, non contraddittorio e non manifestamente illogico, e pervenendo, quindi, a conclusioni coerenti con la normativa sostanziale di riferimento.
Al riguardo, infatti, sono stati linearmente esposti dalla Corte d’appello i criteri in base ai quali è stata ritenuta l’attendibilità intrinseca ed estrinseca della teste D.I., le cui dichiarazioni hanno ottenuto numerosi riscontri sia nella motivata disamina degli elementi di prova documentale relativi al procedimento amministrativo in esame, sia nell’analisi delle risultanze probatorie offerte dal contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Dalla ricostruzione dei fatti compiuta in sede di merito è risultato pacifico: a) che l’ A. chiese al B. di redigere l’atto unilaterale d’obbligo e fece presente alla D.I. che per il pagamento avrebbe dovuto mettersi d’accordo con il B.; b) che la D.I. si recò in Comune per ritirare l’atto, e che, alla richiesta di quanto doveva corrispondergli per il disturbo, il B., dopo averla invitata a prendere un caffè nel bar antistante il piazzale del Comune, le chiese una somma di Euro sessantamila, che poi ridusse, a fronte delle rimostranze rivoltegli dalla donna, all’importo di Euro quarantamila, con il susseguente accordo per il versamento di un acconto di Euro diecimila; c) che tale somma (Euro diecimila) fu in effetti versata dalla D.I. presso lo studio del B. nell’ottobre del 2003; d) che a seguito di tale versamento fu rilasciata, in data 28 ottobre 2003, una fattura da parte dello studio professionale del B., con una motivazione indicativa di "spese e competenze per attività di consulenza e assistenza extragiudiziali", senza alcuno specifico riferimento all’attività di redazione dell’atto unilaterale d’obbligo.
La Corte d’appello, inoltre, richiamandosi agli analoghi apprezzamenti espressi dal Giudice di prime cure, ha posto in evidenza le ragioni per cui l’attività inerente alla redazione dell’atto unilaterale d’obbligo – peraltro risultato identico ad analoghi atti presentati negli uffici comunali in epoca antecedente al luglio del 2003 – non richiedeva la prestazione di un contributo professionale specifico, nè presentava alcun contenuto giuridico apprezzabile, trattandosi di un atto normalmente elaborato dai tecnici incaricati dal privato sulla base di schemi forniti dalla stessa amministrazione comunale.
Entrambe le pronunce di merito, sul punto perfettamente collimanti, hanno altresì congruamente argomentato le ragioni per le quali l’accordo economica intervenuto con il Sindaco doveva considerarsi totalmente privo di causa giustificativa, tanto che non fu espressa alcuna specifica richiesta relativa alla valenza tecnica dell’atto, e nel giro di pochi minuti, in assenza di ogni plausibile spiegazione, il B. accettò una riduzione dell’entità della somma di denaro richiesta, dall’importo di sessantamila Euro a quello di quarantamila Euro, con la corresponsione di un acconto di diecimila Euro.
Pacificamente accertate, infine, devono ritenersi, sulla base di quanto esposto dalle pronunce di merito, le ulteriori circostanze relative: 1) al fatto che l’adempimento inerente alla redazione dell’atto unilaterale d’obbligo, benchè privo di significativo rilievo tecnico, assumeva per la D.I. grande importanza per la necessità di concludere l’iter amministrativo dell’intera operazione entro la scadenza del mese di luglio del 2003, non solo a causa dei tempi di adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti delle sue controparti contrattuali, ma anche in ragione della successiva scadenza del piano commerciale vigente e della possibile entrata in vigore di un nuovo piano che avrebbe sconvolto tutto il complesso lavoro preparatorio sino ad allora effettuato; 2) al fatto che, una volta consegnato alla D.I. l’atto unilaterale d’obbligo e assunto dalla stessa l’impegno di corrispondere al Sindaco la somma di Euro quarantamila, l’intera procedura amministrativa fu definita nell’arco di pochi giorni: subito dopo il completamento dell’iter di deposito degli atti intervenne la seduta della Giunta comunale del 28 luglio 2003 che approvò l’atto unilaterale d’obbligo, mentre il permesso di costruire e l’autorizzazione commerciale furono rilasciati entrambi il 29 luglio 2003.
Alla riunione della Giunta comunale che approvò l’atto unilaterale d’obbligo, inoltre, prese parte, senza astenersi, lo stesso Sindaco.
Dal complesso di tali risultanze probatorie i Giudici di merito hanno desunto, con congrua ed esaustiva motivazione, la presenza di una condotta di abuso della qualità soggettiva da parte del Sindaco, che in quel frangente ha approfittato di una evidente condizione di subordinazione psicologica in cui versava la D.I., non solo a causa dei ritardi che si erano venuti a determinare e dei problemi legati all’imminente scadenza del vigente piano commerciale, ma anche in ragione delle ambiguità della condotta tenuta dall’ A. e del fatto che lo stesso Sindaco le aveva in precedenza fatto presente che i tempi erano stretti e che, dunque, occorreva far presto per portare la pratica in commissione edilizia.
Parimenti evidente, inoltre, è risultato l’emergere di una situazione di fatto per cui, se il Sindaco non fosse stato assecondato nella sua richiesta, la D.I. avrebbe avuto fondate ragioni per temere il rischio di un fallimento dell’intera operazione commerciale, al cui buon esito aveva, ormai da molto tempo, dedicato le proprie energie ed il suo impegno personale, con il conseguente pericolo di danni economici enormi che avrebbe potuto subire nei rapporti instaurati con i suoi partners commerciali.
In effetti, proprio facendo valere la sua posizione soggettiva all’interno di un Comune di piccole dimensioni, l’imputato era in grado di accelerare o di ritardare la definizione delle procedure inerenti al rilascio delle concessioni amministrative e commerciali che interessavano alla su citata imprenditrice, determinando nel suo animo uno stato di soggezione psicologica che la indusse ad accettare, come un male minore, a fronte dell’evidente rischio di subire un enorme danno economico, la pattuizione, a lei oggettivamente sfavorevole, di un compenso di entità del tutto sproporzionata ed assolutamente ingiustificata rispetto all’effettivo contenuto della prestazione professionale affidata al Sindaco.
In un diverso contesto storico-fattuale, e in presenza di una situazione personale connotata dalla possibilità di un pieno ed assolutamente incondizionato esercizio della sua libertà morale, la D.I. avrebbe potuto senz’altro rivolgersi per il medesimo tipo di incarico ad un professionista di sua fiducia, contrattando un corrispettivo più equo e di minore entità per l’adempimento della sua prestazione.
Ciò posto in punto di fatto, non è ravvisabile, nei comportamenti tenuti dalle parti, alcuna "costrizione", propriamente intesa quale prospettazione, in forma esplicita o implicita, di un male ingiusto recante alla vittima un danno patrimoniale o non patrimoniale, ma la presenza di una forma di coazione psicologica non ricollegabile ad una minaccia, bensì derivante dal timore di un ritardo nell’emanazione di un atto discrezionale, reso probabile dall’abuso della qualità di pubblico ufficiale, ed in particolare dalla deviazione dalle regole di correttezza proprie dell’esercizio della pubblica funzione da lui assunta, e come tale meglio inquadrabile nella nuova fattispecie di induzione indebita a dare o a promettere utilità di cui all’art. 319-quater cod. pen..
Successivamente alla proposizione dei ricorsi, infatti, è intervenuta la L. 6 novembre 2012, n. 190, che ha fatto rifluire una parte della condotta ricompresa nell’art. 317 cod. pen. nella nuova fattispecie di "Induzione indebita a dare o promettere utilità" di cui all’art. 319-quater, cod. pen..
Nello schema delineato da tale nuovo modello di reato è stata isolata e resa autonomamente punibile la condotta di induzione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, già descritta nella originaria fattispecie di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., ed ora limitata, con riferimento soggettivo al solo pubblico ufficiale, alla tipologia della condotta costrittiva.
Nel caso in esame, come si è già rilevato, v’era comunque, nel comportamento tenuto dalla destinataria di quella forma di condizionamento psicologico, la possibilità di conservare un significativo margine di autodeterminazione, che la portò, in effetti, a reagire verbalmente e a discutere con il pubblico ufficiale sulla eccessività del prezzo oggetto dell’originaria richiesta, concordando, quindi, in un ristretto lasso temporale, un corrispettivo sensibilmente ridotto, anche se oggettivamente sproporzionato rispetto al contenuto della prestazione, pur di ottenere nei tempi previsti il soddisfacimento delle proprie legittime istanze autorizzative.
Una situazione, quella or ora indicata, che non può non ritenersi sussumibile nello schema tipico di una condotta meramente induttiva, poichè produttiva di un possibile effetto negativo direttamente discendente dall’esercizio legittimo di un potere discrezionale, già solo con riferimento alla possibile scelta regolatrice dei tempi e delle modalità di definizione dei procedimenti amministrativi in esame da parte del pubblico ufficiale.
11.1. Nel percorso seguito dalla Corte distrettuale, inoltre, sono state illustrate, con congrue ed esaustive argomentazioni, le ragioni per le quali è stato attribuito un ridotto peso probatorio alla deposizione dell’avv. O., professionista cui la D.I. si rivolgeva per la sua attività di mediatrice immobiliare, e quelle per cui è stata esclusa la tesi difensiva della prospettata contraddittorietà fra le posizioni del Bi., per qualche tempo socio della D.I. e imputato di corruzione nel capo sub a), e della stessa D.I., quale persona offesa nel delitto di concussione enucleato sub b), trattandosi di posizioni e di comportamenti considerati necessariamente distinti, all’interno di vicende storico-fattuali del tutto diverse, pur se tra loro connesse.
Per il resto, gli ulteriori punti posti in evidenza nel ricorso ai fini dell’illustrazione dei dedotti vizi di motivazione e di violazione di legge, sono diretti, in realtà, ad ottenere una diversa valutazione di profili meramente fattuali della vicenda, invocando una rinnovata lettura degli atti e un diverso apprezzamento della valenza degli elementi indiziari dai quali la Corte di merito ha desunto la prova della penale responsabilità del pubblico ufficiale.
Tuttavia, come è noto, esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. Un., 30 aprile 1997, n. 6402, Rv. 207944; Sez. Un., n. 47289 del 24/09/2003, dep. 10/12/2003, Rv. 226074; v., inoltre, Sez. 4, n. 14732 del 01/03/2011, dep. 12/04/2011, Rv. 250133; Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, dep. 15/11/2011, Rv. 251516). Siffatti limiti di cognizione, del resto, valgono anche in tema di prova indiziaria, per la quale il sindacato della Corte di Cassazione deve limitarsi a verificare la correttezza logico- razionale del ragionamento seguito e delle argomentazioni svolte dal giudice di merito per qualificare come indizio una circostanza, non potendo la Suprema Corte esprimere un nuovo giudizio sull’effettiva gravità, precisione e concordanza degli indizi e compiere, quindi, un nuovo accertamento, nel senso di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice di merito (Sez. 2, n. 10834 del 08/06/1993, dep. 26/11/1993, Rv. 196737). Nè, del resto, può trascurarsi di considerare il consolidato insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte, secondo cui, in materia di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce una questione di fatto, rimessa dunque alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata, come nel caso in esame, in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, dep. 12/03/2013, Rv. 254439; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, Rv. 239724).
11.2. In conclusione, alla stregua delle su esposte considerazioni, diversamente qualificata ai sensi dell’art. 319-quater cod. pen., l’imputazione enucleata sub b), per la quale il legislatore ha previsto un più lieve trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla misura delle pene principali ed accessorie e rinviata, per la conseguente rideterminazione delle stesse, ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova.
12. In relazione all’articolata vicenda storico-fattuale descritta nel capo sub a) dell’imputazione – concernente l’ipotesi di reato di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, n. 1, artt. 319 e 321 c.p., addebitata ai ricorrenti B.L., quale Sindaco del Comune di Taggia, M.M., quale capo del settore tecnico e responsabile dello sportello unico per le imprese, S. C., quale capo del servizio urbanistica ed edilizia privata e componente dello sportello unico per le imprese, e Ba.Pa., quale responsabile di tale sportello presso il medesimo Comune, per avere ricevuto dall’imprenditore Bi.Gi., interessato all’esito di varie e rilevanti procedure amministrative promosse presso quel Comune da società a lui riconduciteli, il pagamento di somme di denaro e di altre utilità, consentendogli in cambio di iniziare e continuare l’esecuzione di lavori edilizi in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici e con le modalità esecutive dei titoli abilitativi rilasciati – devono essere preliminarmente esaminate le posizioni del B. e del Bi..
A tali ricorrenti, in particolare, si addebita di avere, rispettivamente, ricevuto e corrisposto somme di denaro in due distinte occasioni – il 6 agosto 2003, per un importo pari ad Euro venticinquemila, e in un giorno imprecisato dell’estate/autunno 2003- 2004, per un importo non quantificato – e di avere, inoltre, rispettivamente ricevuto e donato un orologio di marca "Rolex", modello "Daytona", nell’anno 2003. Con riguardo alla prima dazione di somme di denaro effettuata dal Bi. in favore del B. – per la quale anche il Giudice di primo grado aveva ritenuto la penale responsabilità di entrambi gli imputati, assolvendoli, di contro, dalle ulteriori ipotesi di reato sopra descritte – le censure mosse dai ricorrenti non sono volte a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che in relazione a quei profili ha adeguatamente ricostruito i fatti posti alla base del tema d’accusa.
In tal senso, invero, la Corte territoriale ha preso in esame tutte le deduzioni e le obiezioni mosse dalla difesa ed è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali.
Nel condividere, sul punto, il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del Giudice di prime cure – la cui struttura motivazionale viene dunque a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune – la Corte di merito ha puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa, concludendo nel senso della piena attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dal teste Ga.Pa., indicato quale persona direttamente a conoscenza dei fatti riferiti essendo stato, per anni, l’unico stretto collaboratore del Bi., dal quale fu incaricato di prelevare da un conto corrente intestato alla società "A. & G. Sviluppo", su cui era autorizzato ad operare, una somma di Euro 25.000,00, poi consegnata al suo datore di lavoro, e da questi, a sua volta, al B., con il quale era stato fissato un appuntamento nel pomeriggio del 6 agosto 2003.
Sulla base di un congruo e lineare percorso inoltre, i Giudici di merito, hanno posto in evidenza come la deposizione del Ga.
abbia trovato ampio riscontro probatorio non solo nelle dichiarazioni rese dalla D.I., cui egli riferì il fatto, ma anche nelle risultanze offerte dal contenuto delle intercettazioni telefoniche aventi ad oggetto le conversazioni intercorse tra il B. ed il Ga. nell’immediatezza del fatto, ossia il 5 ed il 6 agosto 2003, e quelle avvenute fra il Bi. ed il B. nella sera stessa del 5 agosto e nel corso della successiva giornata, oltre che nell’elemento documentale rappresentato dalla distinta del prelievo bancario effettuato proprio dal Ga. presso la CARIGE, sul conto corrente della "A & G", a seguito dell’incarico affidatogli dallo stesso Bi. in data 5 agosto 2003. In relazione a tali profili della regiudicanda, in particolare, la Corte distrettuale ha motivatamente indicato i criteri posti a fondamento della valutazione di attendibilità intrinseca della deposizione della D.I., irrilevante dovendosi ritenere, di per sè, il fatto che nel 2003 costei intrattenesse una relazione sentimentale con il Ga., e ha dato altresì conto, con coerente giustificazione, della ricostruzione dei fatti sulla base della particolareggiata disamina dei passaggi più rilevanti delle su indicate conversazioni oggetto di captazione telefonica.
La Corte d’appello, pertanto, ha compiutamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione della su indicata condotta delittuosa, ed ha evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione che la ricostruzione della difesa era in realtà priva di ogni aggancio probatorio e si poneva solo quale mera ipotesi alternativa, peraltro smentita dal complesso degli elementi di prova processualmente acquisiti.
La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio giudicato completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ricostruzione del compendio storico-fattuale, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti oggetto della regiudicanda, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.
12.1. Per quel che attiene alla su illustrata vicenda, inerente alla prima consegna di denaro effettuata dal Bi. in favore del B., l’infondatezza dei motivi di ricorso non può far velo, tuttavia, alla constatazione che il reato ascritto ai suddetti ricorrenti risulta oggi attinto da causa estintiva per l’intervenuto decorso del corrispondente termine prescrizionale, individuato nella sua massima estensione temporale ex art. 161 c.p. (anni sette e mesi sei). Il fatto integrante l’accusa, invero, è stato realizzato, come da imputazione, alla data del 6 agosto 2003, con la conseguenza che il relativo termine massimo di prescrizione è spirato il 6 febbraio 2011, ossia in epoca successiva alla pronuncia della sentenza di appello oggetto di ricorso.
S’impone, dunque, limitatamente alle su indicate posizioni, l’annullamento senza rinvio della sentenza con la declaratoria della sopravvenuta causa estintiva del reato in ossequio all’obbligo di cui all’art. 129 c.p.p., comma 1, nella riconosciuta carenza – per le ragioni dianzi esposte – di elementi in grado di elidere la responsabilità penale dei ricorrenti, ovvero di configurare situazioni suscettibili di ricadere nel paradigma di cui all’art. 129 c.p.p., comma 2.
12.2. Con specifico riguardo alla statuizione inerente alla confisca delle somme corrispondenti al profitto del reato disposta nei confronti del B. e del Bi. ai sensi dell’art. 322-ter c.p., deve ribadirsi il principio, già espresso in questa Sede (Sez. 6, 6 dicembre 2012 – 29 aprile 2013, n. 18799), secondo cui proprio la sua natura sanzionatoria impedisce alla confisca per equivalente di trovare applicazione anche in relazione al prezzo o al profitto derivante da un reato estinto per prescrizione: una volta che questo tipo di confisca viene accostato ad una sanzione di natura sostanzialmente penale è indispensabile che sia preceduta da una pronuncia di condanna, dovendo escludersi che possa trovare applicazione il regime delle misure di sicurezza patrimoniale, di cui agli artt. 200, 210 e 236 c.p., che derogano ai principi penalistici della irrevocabilità e della inapplicabilità della sanzione penale in caso di estinzione del reato.
Appare assai problematico, del resto, offrire una diversa lettura delle specifiche disposizioni contenute nell’art. 322-ter c.p., che subordina la confisca, anche quella di valore, alla condanna o all’applicazione della pena su richiesta delle parti: la declaratoria di estinzione del reato, pertanto, preclude la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo e il profitto, prevista come obbligatoria dalla disposizione sopra menzionata.
12.3. Alle stesse conclusioni sopra illustrate (v. il p. 12.1.) non può pervenirsi riguardo alle ulteriori vicende in contestazione, concernenti il pagamento della seconda somma di denaro dal Bi.
al B. – di importo non esattamente quantificato – ed il regalo dell’orologio di marca "Rolex".
In relazione a tali profili storico-fattuali del tema d’accusa, invero, devono ritenersi del tutto insufficienti i riscontri esterni individuati dalla Corte territoriale a sostegno delle dichiarazioni accusatorie del Ga., non essendo emerso alcun elemento di certezza riguardo alla fonte del prelievo concernente la seconda dazione di denaro, nè riguardo all’indicazione delle circostanze di tempo e di luogo in cui sarebbe avvenuta la corresponsione di tale somma.
Non può attribuirsi, infatti, alcuna valenza indiziaria univoca e specifica, nel senso della riferibilità soggettiva alla persona del B., al contenuto di un appunto vergato a mano dal Bi. e sequestrato al Ga. in data 15 aprile 2005 – documento privo di data certa, con una sommaria elencazione di cifre relative alle entrate ed alle uscite derivanti da una compravendita di terreni, e senza la precisa indicazione del nominativo del beneficiario – nè alle dichiarazioni rese dal teste R.G., imprenditore in rapporto d’affari con il Bi., che ha genericamente riferito di aver consegnato a quest’ultimo, su sua richiesta, somme di denaro da destinare successivamente a non meglio identificati pubblici ufficiali appartenenti all’amministrazione comunale di Taggia, nella conclamata assenza, peraltro, di elementi oggettivi di corrispondenza idonei ad inquadrare con certezza il dispiegarsi delle sequenze fattuali e le coordinate spazio-temporali dell’ipotizzata consegna.
Parimenti insufficiente, inoltre, deve esser considerato il quadro dei riscontri raccolti in ordine all’ipotizzata donazione di un orologio, la cui presenza non è stata rinvenuta all’atto della perquisizione domiciliare operata a carico del B., il quale, peraltro, come posto in rilievo nella pronuncia del Giudice di primo grado, risultava essere in possesso, già in epoca antecedente rispetto a quella dell’ipotizzato regalo, di un orologio dello stesso tipo, che aveva esibito con soddisfazione ad alcuni suoi amici in occasione di una vacanza in montagna.
Solo congetturali, dunque, e non assistite da univoci elementi di conferma probatoria, devono ritenersi, al riguardo, le argomentazioni utilizzate nell’impugnata pronuncia, ove si considerino, tra l’altro, le non decisive risultanze offerte dal contenuto delle dichiarazioni rese dal teste Ab., gioielliere escusso nel corso dell’istruttoria dibattimentale svoltasi nel giudizio di primo grado, il quale ha riferito che tale tipo di acquisti era stato effettuato dal Bi., in più occasioni, presso il suo esercizio commerciale.
12.4. Privo di fondamento deve ritenersi, inoltre, il motivo di doglianza dedotto dal B. (v., supra, il p. 4.2.) riguardo all’omessa disamina del punto concernente il rigetto della richiesta subordinata di trasmissione degli atti al P.M. ex art. 521 c.p.p., n. 2 e art. 598 c.p.p., avendo la Corte distrettuale, con congrue ed esaustive argomentazioni, già linearmente illustrato le ragioni per le quali quella richiesta, sostanzialmente reiterativa di analoga censura formulata in sede di appello, deve essere disattesa, alla stregua di un complesso di elementi e circostanze di fatto – peraltro oggetto di un ampio ed approfondito apprezzamento di merito che, in quanto tale, non può essere, in questa Sede, sottoposto ad alcuna forma di "rivisitazione" – indicativi dell’accertato asservimento della funzione pubblica esercitata dal ricorrente agli interessi privatistici del Bi., sì da determinare una situazione di prolungata e colpevole inerzia dell’amministrazione comunale nell’esercizio dei suoi doveri di controllo della conformità dell’intervento edilizio con il rilascio degli atti concessori e delle autorizzazioni commerciali, ed ancor prima con le deliberazioni assunte dalla Regione Liguria, pervenendo infine al rilascio del nulla osta all’apertura di un unico centro commerciale, le cui caratteristiche si ponevano in totale contrasto con il contenuto dell’opera originariamente assentita.
12.5. Assorbite, infine, devono ritenersi le censure formulate dai suddetti ricorrenti in relazione ai punti sopra illustrati, rispettivamente, nei pp. 4.3. e 4.4., nonchè nei pp. 5.2., 5.3. e 5.4., trattandosi di doglianze incidenti su taluni profili del trattamento sanzionatorio, ovvero attinenti all’eccepito decorso dei termini prescrizionali, e da intendersi, come tali, logicamente superate in forza delle su esposte considerazioni.
12.6. Con riferimento alle ulteriori vicende in contestazione – sopra specificate nel p. 12.3. – s’impone conclusivamente, nei confronti del B. e del Bi., la statuizione di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, secondo la formula indicata nel dispositivo.
13. Fondati devono ritenersi i ricorsi proposti da M.M. e da S.C., cui si addebita, nel capo sub a) dell’imputazione, di avere ricevuto dal Bi., in un giorno imprecisato dell’agosto 2003, una somma di denaro complessivamente non inferiore all’importo di ventimila Euro.
A tale riguardo, invero, non emerge, dall’iter motivazionale dell’impugnata pronuncia, un quadro di convincenti riscontri probatori esterni alle dichiarazioni accusatorie rese dal Ga., che fa riferimento alla dazione di una complessiva somma di denaro pari ad Euro ventimila, senza tuttavia specificarne la ripartizione tra le persone dei due ricorrenti e senza precisare la collocazione temporale di un incontro avvenuto nel corso dell’anno 2003 – a seguito di una convocazione effettuata su indicazione dello stesso Bi. – presso gli uffici della società "X" s.r.l., ove il Ga. si limitò a ricevere i due tecnici comunali, che vi si trattennero per un breve lasso di tempo, senza partecipare alla operazione di consegna del denaro. Pur dovendosi ritenere poco chiara, sulla scorta di quanto già rilevato dal Giudice di prime cure, e quanto meno inopportuna la presenza di pubblici funzionari presso gli uffici della società di un imprenditore privato, e sebbene l’impugnata pronuncia ponga in evidenza, con congruo supporto motivazionale e sulla base di numerosi elementi di prova, anche documentale, l’illegittimità dell’inizio dei lavori di demolizione, scavo e sbancamento, relativi alla realizzazione di un nuovo centro commerciale di interesse della predetta società – lavori cui fece seguito l’omessa adozione, da parte dei tecnici dell’amministrazione comunale, dei doverosi provvedimenti di sospensione dell’attività edilizia illegittimamente avviata – la Corte di merito ha valorizzato ai fini del giudizio di responsabilità dati non univoci nel loro significato probatorio, attribuendo rilevanza ad un appunto manoscritto formato dal Bi. alla presenza del Ga., che è risultato privo di una data certa di compilazione e di una sicura indicazione lessicale idonea a ricavarne la diretta riferibilità, ai fini della corresponsione della somma di 20.000,00 Euro ivi riportata, alle persone dei suddetti imputati.
Generiche, del resto, risultano, sul punto, le stesse indicazioni offerte dalla deposizione dell’imprenditore R., che nel riferire sui destinatari delle somme erogate al Bi., ha dichiarato che si trattava persone appartenenti all’amministrazione comunale di Taggia, senza specificare chi poi ne abbia effettivamente beneficiato.
Non può, dunque, fondatamente attribuirsi ai su indicati elementi di valutazione dell’attendibilità estrinseca delle dichiarazioni rese dal su menzionato teste d’accusa il rilievo di un riscontro probatorio certo, univoco e dotato della necessaria efficacia individualizzante.
Assorbite risultano, infine, le residue censure formulate dai predetti ricorrenti, trattandosi di profili di doglianza logicamente superati in forza delle su esposte considerazioni, mentre destituito di ogni fondamento deve ritenersi il primo motivo di ricorso articolato dallo S., avuto riguardo al consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui l’accertamento di una data di commissione del fatto diversa rispetto a quella indicata nel capo di imputazione non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza qualora, come nel caso in esame, non risulti che ciò abbia determinato, in danno dell’imputato, lo sviamento della strategia difensiva apprestata (da ultimo, v. Sez. 5, n. 44974 del 04/10/2012, dep. 16/11/2012, Rv. 253781).
S’impone, pertanto, con riferimento alle posizioni dei ricorrenti M. e S., la statuizione di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, secondo la formula in dispositivo indicata.
14. Per quel che inerisce alla posizione del Ba., cui viene addebitata, ex art. 323 c.p., una condotta omissiva non dovuta a mera negligenza, ma alla precisa volontà di favorire il Bi. in relazione ad una serie di evidenti violazioni urbanistiche, per lo più realizzate in un Comune di piccole dimensioni, si è di fronte ad una motivazione solo apparente, che pur segnalandone l’omesso esercizio dei poteri di controllo sulla realizzazione dell’attività edilizia, svoltasi in totale difformità rispetto a quanto inizialmente assentito, non ha posto in evidenza un quadro storico- fattuale idoneo a rappresentare la presenza di concreti elementi dimostrativi della particolare proiezione finalistica che deve assumere l’elemento psicologico dell’agente all’interno della fattispecie incriminatrice in esame, desumendone la configurabilità sulla base del mero rilievo dell’evidenza e del numero delle violazioni della normativa edilizia ed urbanistica.
Invero, l’elemento soggettivo assume, nella vigente formulazione dell’art. 323 c.p., un’importanza centrale e viene a restringere notevolmente il campo operativo della norma incriminatrice a vantaggio di forme alternative di tutela avverso l’attività illegittima dalla pubblica amministrazione (ricorsi amministrativi o giurisdizionali). Trasformato l’abuso d’ufficio da reato di pura condotta a dolo specifico in reato di evento, il dolo richiesto assume una connotazione articolata e complessa: è generico, con riferimento alla condotta (coscienza e volontà di violare norme di legge o di regolamento ovvero di non osservare l’obbligo di astensione), mentre assume la forma del dolo intenzionale rispetto all’evento (vantaggio patrimoniale o danno) che completa la fattispecie (Sez. 6, n, 35859 del 07/05/2008, dep. 18/09/2008, Rv.
241210; Sez. 5, n. 3039 del 03/12/2010, dep. 27/01/2011, Rv. 249706;
v., inoltre, Sez. 6, n. 34116 del 20/04/2011, dep. 15/09/2011, Rv.
250833). Si richiede, quindi, la concreta dimostrazione che il pubblico ufficiale abbia perseguito proprio l’evento tipico, quale obiettivo primario del suo operato, non essendo sufficiente il dolo diretto (rappresentazione dell’evento come verificabile con elevato grado di probabilità o addirittura con certezza), nè, ancor meno, quello eventuale (caratterizzato dall’accettazione della non elevata probabilità del verificarsi dell’evento). L’intenzionalità, ovviamente, non sta ad indicare l’esclusività del fine che deve animare l’agente, ma la preminenza data all’evento tipico rispetto al pur concorrente interesse pubblico, che finisce con l’assumere un rilievo secondario e, per così dire, "derivato" o "accessorio".
La prova del requisito dell’intenzionalità, in particolare, esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusti, e tale certezza non può essere ricavata esclusivamente dal rilievo di un comportamento non iure tenuto dall’agente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, che evidenzino la effettiva ratio ispiratrice del comportamento, quali, ad es., la specifica competenza professionale dell’agente, l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento, il contesto e il tenore dei rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno (Sez. 6, n. 35814 del 27/06/2007, dep. 28/09/2007, Rv. 237916).
Una condotta di omesso controllo in relazione ad una situazione di illegittimità, pur grave e diffusa, negli atti di un’amministrazione comunale non equivale, per improprio automatismo traslativo, a ritenere dimostrata la presenza della peculiare proiezione finalistica del reato di abuso d’ufficio.
E’ necessario, pertanto, che il contesto fattuale, i rapporti personali tra i predetti soggetti, ovvero altri dati di contorno, dimostrino che la volontà del soggetto agente sia stata indirizzata a produrre unicamente effetti di favoritismo per sè o per terzi (Sez. 6, n. 40499 del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Rv. 245010).
Necessariamente inquadrate entro le linee guida di tale prospettiva ermeneutica, dunque, le sommarie considerazioni espresse nella sentenza di merito non danno conto sotto alcun profilo degli elementi dimostrativi della presenza dei requisiti fondamentali dell’elemento soggettivo del reato, secondo i parametri fatti propri dalla costante elaborazione giurisprudenziale di questa Suprema Corte. S’impone, conclusivamente, anche con riferimento alla posizione del Ba., la statuizione di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, secondo la formula in dispositivo indicata.
15. Parzialmente fondato, infine, deve ritenersi il ricorso proposto dalla "X" s.r.l., che va accolto nei limiti e per gli effetti di seguito precisati. Al riguardo, invero, la Corte distrettuale ha congruamente ed esaustivamente illustrato le ragioni poste a fondamento del giudizio espresso sulla sussistenza delle condizioni e dei presupposti di responsabilità dell’ente, ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 5, comma 1, lett. a).
Valutato in forma analitica e globale l’insieme delle risultanze probatorie, la Corte d’appello ha spiegato, da un lato, come la su indicata società fosse interessata a procedere celermente all’inizio dell’attività di demolizione e scavo dell’area oggetto dell’intervento, proprio nel periodo in cui si dava esecuzione al contratto di appalto stipulato con la "Fornace" s.r.l. (del cui consiglio di amministrazione, peraltro, il Bi. faceva parte e la cui sede, nell’agosto 2003, era di fatto presso la stessa "X"), e, dall’altro lato, come il fatto contestato al Bi. sia stato commesso con la concreta finalità di avvantaggiare la società di cui egli era, all’epoca dei fatti, amministratore unico.
Nel suo iter motivazionale, inoltre, l’impugnata pronuncia ha posto in evidenza non solo la stretta relazione temporale tra le violazioni inerenti all’anticipata esecuzione dei lavori di realizzazione dell’insediamento commerciale e l’illecita corresponsione di somme di denaro al B., ma anche il diretto interessamento del Bi.
ai problemi legati all’unificazione del centro commerciale, pur in epoca successiva alla cessione delle quote societarie della "Fornace" s.r.l..
Nella specie, del resto, il ricorrente non ha indicato alcuna contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, ma si è limitato a prospettare una lettura alternativa delle risultanze processuali, la cui valutazione comporterebbe l’espressione di un giudizio di fatto non consentito in questa Sede.
E’ infatti precluso al Giudice di legittimità procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti, magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di una forma di sindacato giurisdizionale riservata in via esclusiva al giudice del merito.
In altri termini, al giudice di legittimità restano precluse – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili, o dotati di una migliore capacità esplicativa.
Nè, peraltro, rileva il fatto che l’accertata ipotesi delittuosa inerente alla condotta corruttiva di cui al capo sub a) dell’imputazione (v., supra, il p. 12.1.) risulti estinta per intervenuta prescrizione, poichè la responsabilità dell’ente sussiste anche quando il reato "presupposto" si estingue per una causa diversa dall’amnistia (D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 8, comma 1, lett. b)).
Si tratta di una delle ipotesi, espressamente contemplate dalla legge, in cui l’inscindibilità tra le vicende processuali delle persone fisiche e quelle dell’ente può venire meno, con la conseguenza che l’accertamento della responsabilità amministrativa della società nel cui interesse o per il cui vantaggio il reato è stato commesso può e deve proseguire attraverso un percorso processuale autonomo, pur non potendosi prescindere – come avvenuto anche in questa Sede – da una verifica quanto meno incidentale circa la sussistenza del fatto di reato.
In situazioni del genere, dunque, il potere cognitivo del giudice penale resta immutato, dovendo egli comunque procedere all’accertamento della sussistenza del reato c.d. presupposto.
Nel percorso motivazionale dell’impugnata pronunzia, di contro, non risultano adeguatamente illustrati, se non con una formula del tutto generica, inidonea a dar conto delle ragioni giustificative dell’esito decisorio, i criteri oggettivi attraverso cui la Corte di merito è pervenuta alla commisurazione dell’entità delle sanzioni inflitte alla società ricorrente.
Al riguardo, pertanto, si rende necessario colmare la su indicata carenza motivazionale e provvedere, altresì, alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio, tenendo conto della statuizione di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente agli episodi di corruzione diversi da quello del 6 agosto 2003.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti dell’ A. per non aver commesso il fatto; nei confronti del M. e dello S. nonchè del B. e del Bi., per questi ultimi limitatamente agli episodi di corruzione diversi da quello del 6.8.2003, perchè il fatto non sussiste, del Ba.
perchè il fatto non costituisce reato e nei confronti del B. e del Bi. per la corruzione del 6 agosto 2003 perchè il reato è estinto per prescrizione.
Qualificato il fatto di cui al capo B) R.G. 100/2010 ex art. 319- quater c.p., annulla la medesima sentenza nei confronti del B. e rinvia per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.
Annulla la medesima sentenza nei confronti della società X Generali s.r.l. e rinvia per la rideterminazione della sanzione ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2013

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