Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-01-2013) 06-03-2013, n. 10281

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 18.5.2012 la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza emessa il 21.6.2007 dal Tribunale di Trani, con la quale V.V.R. era stato condannato alla pena (interamente condonata) di anni 2 e mesi 4 di reclusione per il reato di cui all’art. 81 c.p., L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7, L. n. 110/5, art. 23 (capo a) ed alla pena di anni 8 di reclusione per il reato di cui agli artt. 81 e 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., n. 5 in danno della figlia R. di anni (OMISSIS).

Dopo aver richiamato la sentenza di primo grado e la ricostruzione dei fatti in essa contenuti, rilevava la Corte territoriale che i motivi di appello erano destituiti di fondamento.

Quanto al reato relativo alle armi di cui al capo a), premesso che non era minimamente contestata la riferibilità delle stesse all’imputato, assumeva la Corte che nel corso delle indagini preliminari e del giudizio di primo grado non era stato mai eccepito che le armi (peraltro munite del relativo munizionamento) non fossero idonee, per cui non si era ravvisata la necessità di una perizia balistica. Peraltro, è pacifico che per escludere la sussistenza del reato di detenzione e porto abusivo di arma è necessario che la inefficienza sia assoluta e rigorosamente provata.

Quanto al delitto di violenza sessuale di cui al capo b), riteneva la Corte, innanzitutto, che l’assunto difensivo in ordine alla inutilizzabilità delle dichiarazioni, rese dall’indagato ai Carabinieri in violazione degli artt. 62 e 63 c.p.p., e art. 350 c.p.p., comma 6, fosse corretto, ma che di tali dichiarazioni il primo giudice non si era servito per motivare la condanna.

Infondata era, invece, l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese alla p.g. da L.S.L., essendo state esse sostanzialmente confermate in dibattimento. Altrettanto utilizzabile era la testimonianza di L.S.L. in ordine a quanto riferitole dall’imputato nel corso di un colloquio in carcere, non trattandosi di dichiarazioni rese nei corso del procedimento, ma al di fuori della sede processuale. Quanto al contenuto della confidenza, pur essendo esatto che il prevenuto non aveva ammesso di aver abusato della figlia minore, aveva però riconosciuto di aver confessato agli inquirenti perchè stanco dell’interrogatorio.

Confermava poi la Corte il giudizio di piena attendibilità di quanto dichiarato inizialmente dalla minore, riscontrato peraltro da elementi esterni (dichiarazioni della madre, del ginecologo dell’Ospedale di (OMISSIS)), mentre la ritrattazione risultava falsa e non spontanea.

Contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante gli esiti della visita ginecologica confermavano l’ipotesi accusatola, avendo il dr. F. affermato che vi era stata certamente penetrazione vaginale (l’assenza di segni di lacerazione o escoriazioni non erano significativi potendo i traumi subiti essere stati assorbiti o rimasti senza esiti percepibili).

2. Ricorre per cassazione il V., a mezzo del difensore, denunciando la mancanza e/o contraddittorietà della motivazione in ordine alla configurabilità dei reati ipotizzati ed al mancato proscioglimento ex art. 129 c.p.p..

Deduce, poi, la inutilizzabilità delle dichiarazioni, rese dall’imputato, per violazione degli artt. 62 e 63 c.p.p., art. 350 c.p.p., comma 6.

La Corte territoriale ha ritenuto che esse non sono state poste a base della decisione di primo grado. Dalla sentenza risulta invece il contrario, avendo il Tribunale affermato che "resta agli atti il peso enorme della sua confessione ai CC". Rimane quindi la censura su cui la Corte territoriale non si è pronunciata, essendo pacifico che le dichiarazioni assunte sul luogo e nell’immediatezza dei fatti dall’indagato non possano essere verbalizzate e nemmeno documentate in altro modo, e che, in ogni caso, non siano utilizzabili. Nè tanto meno il M.llo D.B. poteva riferire in ordine a dette dichiarazioni.

Inutilizzabile è anche quanto dichiarato dall’indagato nel corso del colloquio avuto in carcere con la convivente, trattandosi di dichiarazione avvenuta all’interno del procedimento.

Nè tale dichiarazione poteva essere recuperata attraverso la testimonianza della L.S. (peraltro l’imputato non ha reso alcuna confessione o ammesso alcunchè).

Inutilizzabili a fini di prova sono le sommarie informazioni testimoniali rese alla p.g. da V.R. e dalla L., acquisite a seguito delle contestazioni, per il divieto di cui all’art. 500 c.p.p., e ss..

La Corte territoriale poi non ha motivato adeguatamente in ordine alla credibilità della persona offesa; non ha tenuto conto della immediata ritrattazione delle dichiarazioni accusatorie e che la V.R. manifestò subito di voler vedere il padre arrestato e che gli scrisse delle lettere per scusarsi di quelle accuse inventate per indurre il genitore a non far più uso di droghe e per far ritornare un clima di serenità in famiglia.

L’insussistenza del reato ipotizzato è ulteriormente dimostrato dalla visita medico ginecologica, emergendo che la p.o. non presentava segni di pregressi rapporti sessuali, consenzienti o meno.

Infine, quanto al reato di cui al capo a), non è stato accertata l’idoneità all’impiego delle armi sequestrate.

2.1. Con motivi aggiunti e memoria difensiva, depositati in cancelleria, si ribadisce che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto inattendibile la ritrattazione, dando credito invece alle originarie dichiarazioni di V.R..

Non ha considerato infatti che la p.o. aveva fornito una convincente spiegazione delle accuse iniziali nei confronti del padre. Peraltro le dichiarazioni accusatorie non erano confortate da elementi esterni, essendo emerso piuttosto dalla visita ginecologica che non vi erano segni di violenza.

Motivi della decisione

1. Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inutilizzabilità.

1.1. Le dichiarazioni rese dall’imputato ai Carabinieri, veicolate nel processo attraverso la testimonianza del M.llo D.B., non sono, come ha correttamente dato atto la Corte territoriale, utilizzabili.

E’ pacifico, invero, che la qualità di indagato si assume anche quando un soggetto venga a trovarsi sostanzialmente in tale condizione pur non risultando iscritto nel registro delle notizie di reato di cui all’art. 335 c.p.p..

A norma dell’art. 63 c.p.p., comma 2, infatti, se la persona doveva essere sentita fin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate. La norma non distingue tra dichiarazioni sollecitate e dichiarazioni spontanee, nè limita l’inutilizzabilità alle dichiarazioni di imputato o di Indagato interessato o a quelle di imputato o di indagato in reato connesso e, neppure alle dichiarazioni di chi abbia già la veste formale di imputato o di indagato.

La giurisprudenza di questa Corte deve ritenersi ormai consolidata, a partire dalla decisione a sezioni unite del 1996, che, risolvendo il contrasto in precedenza esistente, ha affermato che le dichiarazioni della persona, che fin dall’inizio avrebbe dovuto essere sentita come indagata o imputata, sono inutilizzabili ex art. 63 c.p.p., comma 2, anche nei confronti dei terzi, quando questi assumono la veste di coimputati dello stesso reato o di imputati di reato connesso o collegato.

Irrilevante è, perfino, che le dichiarazioni "inutilizzabili" siano state acquisite al fascicolo del dibattimento su accordo delle parti.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte infatti "Non possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, neanche a seguito di accordo delle parti per la loro acquisizione al fascicolo del dibattimento, atti contenuti nel fascicolo del P.M. ed affetti da inutilizzabilità ed "patologica" per essere stati assunti in violazione del principio di garanzia espresso dall’art. 63 c.p.p." (cfr. Cass. sez. 6 n. 25456 del 4.3.2009; conf. N. 8739 del 2003 Rv 223678; N. 35372 del 2007, Rv 237412).

1.1.1. Non c’è dubbio alcuno che nei confronti del V., quando rendeva le dichiarazioni spontanee ai Carabinieri, emergessero indizi di reità, essendo già intervenuta la denuncia; le sue dichiarazioni non potevano quindi essere verbalizzate e tanto meno essere utilizzate in dibattimento, neppure attraverso la testimonianza del soggetto che le aveva ricevute per il tassativo disposto di cui all’art. 350 c.p.p., comma 7 e art. 62 c.p.p..

I Giudici di merito non hanno, però, utilizzato le dichiarazioni spontanee rese dall’imputato ai CC. Lo stesso Tribunale, contrariamente a quanto assume il ricorrente, aveva espressamente affermato che la testimonianza del M.llo D. B., nella parte in cui faceva riferimento a quelle spontanee dichiarazioni, non poteva essere utilizzata (pag.27 sent.Trib.).

Il riferimento alla confessione resa ai Carabinieri è inteso come "fatto storico" introdotto nel processo, non dalla testimonianza del M.llo D.B., ma da quella di L.S.L., pienamente utilizzabile. Si legge in motivazione testualmente: "Diversa è la valutazione da esprimere con riguardo alle dichiarazioni rese dall’imputato alla convivente nel corso del colloquio nel luogo di detenzione. In quel contesto l’uomo riferì alla L.S. che aveva ammesso gli addebiti inerenti alle violenze sessuali dinanzi ai CC, ma lo aveva fatto perchè stanco dell’interrogatorio e delle continue domande". In tal senso e solo in tal senso deve essere inteso il riferimento alla acquisizione agli atti del "peso enorme della confessione da lui resa ai CC" (pag.27-28 sent. Trib.).

1.1.2. Quanto alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla L. S. in proposito, è assolutamente pacifico, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che l’ammissibilità della testimonianza indiretta sulle dichiarazioni rese dall’imputato o dall’indagato fuori del procedimento si desume a contrario dall’art. 62 c.p.p. che vieta la deposizione sulle sole dichiarazioni rese nel corso del procedimento. Conseguentemente non è vietata la deposizione sulle dichiarazioni, aventi anche contenuto confessorio, rese al di fuori della specifica sede processuale a soggetti non preposti istituzionalmente a raccogliere in forma tipica le dichiarazioni degli indagati o imputati, che sono suscettibili di libero apprezzamento da parte del giudice di merito (è stata ritenuta così utilizzabile la testimonianza indiretta in ordine alle dichiarazioni rese dall’imputato al compagno di cella nel corso del dibattimento- Cass.sez. 1 n.25096 del 26.2.2004). Tali principi risultano ribaditi da Cass.sez. 5 n.47739 del 12.11.2003; Cass. Sez. 1 n.5836 del 22.1.2008; Cass. Sez. 2 n.46607 del 19.11.2009 (secondo quest’ultima decisione è legittima la mancata applicazione del divieto di testimonianza perfino ad una conversazione con un ispettore di polizia che non stava svolgendo in quel momento indagini).

Che il colloquio svoltosi in carcere tra l’imputato e la L.S. fosse al di fuori ed estraneo al procedimento penale in corso non può minimamente essere revocato in dubbio.

Correttamente, pertanto, i Giudici di merito hanno ritenuto ammissibile e pienamente utilizzabile la testimonianza di L.S. L. in ordine a tale colloquio, ed hanno, altrettanto correttamente, dato atto che il prevenuto non aveva confessato alla donna di essere responsabile di quanto gli veniva contestato, ma soltanto "di aver ammesso i fatti ai carabinieri dicendo di averlo fatto perchè stanco dell’interrogatorio" (pag. 14 sent. App.).

1.1.3. Pur circoscritte le ammissioni dell’imputato al mero fatto storico dell’avvenuta confessione ai CC, ha sottolineato il Tribunale, che la spiegazione di quelle ammissioni con il cedimento determinato dalla pressione degli inquirenti, non risultava plausibile, tenuto conto che "il soggetto non venne di certo sottoposto a dure prove di resistenza, visto che non risulta essere stato mai sottoposto ad un interrogatorio" (pag.28-29).

1.2. Quanto, infine, alla utilizzabllità di tutte le dichiarazioni rese da L.S.L., la Corte territoriale ha evidenziato che non vi è stata alcuna violazione dell’art. 500 c.p.p., da un lato, perchè in dibattimento la teste non ha smentito le dichiarazioni rese alla p.g. in ordine a quanto raccontatole dalla figlia ed al colloquio avuto in carcere con il convivente e, dall’altro perchè, secondo la giurisprudenza di legittimità ha valore probatorio la conferma del testimone, nel corso della deposizione dibattimentale, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari, con la precisazione in seguito a contestazione che le dichiarazioni allora rese erano frutto di un più vivido ricordo (Cass. Sez. 1 n. 23012 del 14.5.2009); la possibilità di utilizzare per la decisione le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni deve intendersi limitata alle parti del relativo verbale che sono state effettivamente contestate ed a quelle che possono servire per meglio comprenderne il contenuto (cfr. Cass.pen.sez. 1 n.14483 del 9.3.2006).

2. Tanto premesso in ordine alla infondatezza delle eccezioni proposte in relazione alla utilizzabilità del materiale probatorio acquisito al fascicolo per il dibattimento (tranne come, del resto, già accertato dai Giudici di merito, la testimonianza del M.llo D. B. sulle dichiarazioni confessorie dell’imputato), rileva il Collegio che le censure quanto alla affermazione ella penale responsabilità per il reato di cui all’art. 609 bis c.p., non tengono conto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze Istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’Iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del 18.12.2006). Anche di fronte alla previsione di un allargamento dell’area entro la quale deve operare, non cambia la natura del sindacato di legittimità; è solo il controllo della motivazione che, dal testo del provvedimento, si estende anche ad altri atti del processo specificamente indicati.

Tale controllo, però, non può "mai comportare una rivisitazione dell’iter rlcostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito" (Cass.pen.sez. 2 n. 23419/2007 – Vignaroli).

2.1. Esaminata in questa ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse.

Anche perchè, pacificamente, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

Allorchè, quindi, le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass.sez. 1, n.8868 del 26.6.2000- Sangiorgi; cfr. anche Cass.sez.un.n.6682 del 4.2.1992; Cass.sez.2 n.11220 del 13.1.1997; Cass.sez.6 n.23248 del 7.2.2003; Cass.sez.6 n.11878 del 20.1.2003). Sotto tale profilo sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), solo quando il giudice del gravame si limiti a respingere i motivi di impugnazione specificamente proposti dall’appellante e a richiamare la contestata motivazione del giudice di primo grado in termini apodittici o meramente ripetitivi (cfr. ex multis Cass. Sez. 6 n.35346 del 12.6.2008). Il Giudice di appello, quindi, nella ipotesi in cui l’imputato, con precise considerazioni, svolga specifiche censure su uno o più punti della prima pronuncia, non può limitarsi a richiamarla, ma deve rispondere alle singole doglianze prospettate. In caso contrario, viene meno la funzione del doppio grado di giurisdizione ed è privo di ogni concreto contenuto il secondo controllo giurisdizionale" (cfr. Cass.pen. Sez. 3 n.24252 del 13.5.2010).

2.2. La Corte territoriale, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, uniformandosi ai principi sopra richiamati, ha da un lato richiamata per relationem la condivisibile motivazione della sentenza di primo grado, e, dall’altro, argomentato in ordine ai rilievi specifici sollevati dall’appellante. Il Tribunale, attraverso l’esame puntuale ed approfondito delle risultanze processuali aveva ritenuto che, proprio in considerazione della "reiterata retromarcia della bambina" assolutamente fondamentale era la testimonianza di L. S.L., alla quale la p.o. aveva fatto le prime confidenze (testimonianza pienamente attendibile dal momento che la donna, al momento della deposizione dibattimentale, non aveva motivo di nutrire sentimenti di avversione nei confronti dell’imputato, tenuto conto che nel frattempo vi era stata la riconciliazione tra di loro). Dopo aver ripercorso i tempi e le modalità delle rivelazioni, reiterate anche nel corso del tragitto verso la Caserma dei Carabinieri per presentare la denuncia, il Tribunale poneva l’accento, a dimostrazione dell’assoluta genuinità del racconto, sulla genesi del disvelamento. La ragazzina infatti si era "aperta" quando aveva appreso la decisione della madre di riprendere la convivenza con il V.; essendo stata informata di tale decisione, dopo aver immediatamente esclamato "mamma ma allora non è finita definitivamente con papà?", aveva raccontato piangendo gli abusi sessuali subiti, contestualizzandoli con precisi riferimenti temporo- spaziali (pag.6 e ss. sent. Trib.). Secondo il Tribunale era assolutamente insostenibile, stante la non prevedibilità della decisione della madre e la immediatezza della rivelazione, che R., nel giro di pochissimi minuti, "potesse aver strutturato logicamente un racconto con particolari riferimenti storici.." (pag. 11). Che tali rivelazioni iniziali fossero assolutamente veritiere era attestato da numerosi elementi esterni quali il ritrovamento delle videocassette, la difficoltà di rendere convincenti spiegazioni in ordine al mutamento di versione (e quindi l’assoluta inattendibilità della ritrattazione), le dichiarazioni di L.S.L. in ordine alle ammissioni dell’Imputato nel colloquio avuto in carcere (pag. 13 e ss. sent.Trlb.). La Corte territoriale, dopo aver richiamato la motivazione assolutamente esaustiva dei primi giudici, è passata ad esaminare i rilievi specifici, sollevati con i motivi di appello. E con argomentazioni plausibili ed immuni da vizi logici ha disatteso i rilievi in ordine all’attendibilità della ritrattazione (pag.13), alla inidoneità come riscontro della visita ginecologica (pag. 14-15), alla mancanza di rancore della ragazza nei confronti del padre (pag. 15).

Ha, infine, evidenziato che la completezza dell’istruttoria dibattimentale, che consentiva di decidere il processo allo stato degli atti, rendeva assolutamente non necessaria la richiesta = rinnovazione parziale del dibattimento.

2.2.1. Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione, propone sostanzialmente una diversa, ed a lui più favorevole, lettura delle risultanze processuali.

Quanto al denunciato omesso esame di alcune risultanze processuali (cfr. in particolare motivi aggiunti), è assolutamente pacifico che "Nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Cass.pen. Sez.4 n.1149 del 24.10.2005- Mirabilia; v. anche Cass.sez.un.n.36757 del 2004 Rv.229688).

3. In ordine alle armi, infine, il motivo di ricorso è inammissibile per assoluta genericità.

Va, comunque, ricordato che pacificamente ai fini della configurabilità di un’arma come tale è necessario, ma al tempo stesso sufficiente, che essa non risulti totalmente e assolutamente inefficiente, poichè solo in tal caso viene a mancare quella situazione di pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumità che costituisce la ratio della disciplina vigente in tema di detenzione e porto illegale di armi. Ne consegue che l’arma non perde tale qualità qualora, pur essendo guasta o priva di pezzi, anche essenziali, sia comunque riparabile con pezzi di ricambio (Cass. Pen. Sez. 1 n.356498 del 4.7.2008). Sicchè la natura di un’arma non viene meno per il solo fatto che lo strumento non sia attualmente funzionante, a meno che non risulti obiettivamente la difficoltà della riparazione, per l’impossibilità di reperire pezzi di ricambio o comunque per la non sostituibilità di essi con altri accorgimenti (Cas.sez.6 n. 15159 del 22.2.2001). La Corte territoriale ha evidenziato in proposito che non emergeva da alcun elemento che le armi sequestrate fossero assolutamente inefficienti (anzi il fatto di essere state rinvenute insieme alle munizioni attestava che esse fossero efficienti e pronte all’uso), essendosi lo stesso imputato lamentato solo del mancato espletamento di una perizia.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2013


Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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