Cass. civ. Sez. V, Sent., 25-07-2012, n. 13111

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

La controversia ha ad oggetto tre avvisi di rettifica iva, relativi agli anni 1994, 1995 e 1996, con i quali l’ufficio ha recuperato detrazioni di imposta riferite ad operazioni ritenute inesistenti.

La contribuente, E.R., ha contestato l’inesistenza delle operazioni, eccependo la insufficienza degli elementi probatori posti a base del recupero d’imposta.

La CTP ha rigettato il ricorso. La CTR ha accolto l’appello della contribuente annullando gli avvisi di rettifica in questione. I giudici di appello hanno motivato la decisione sul rilievo che la parte pubblica non avrebbe provato i fatti sui quali si fondano le rettifiche, non avendo esibito neppure il p.v.c. della guardia di finanza posto a supporto degli atti impositivi. Aggiungevano che vi erano precedenti, in materia di imposte dirette, favorevoli alla ricorrente, che questa aveva depositato il registro degli acquisti, copia delle fatture di acquisto e delle dichiarazioni iva relative agli anni in contestazione e che su tale documentazione non erano stati formulati rilievi.

Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Agenzia delle Entrate, la contribuente non si è costituita.

Motivi della decisione

Il ricorso non può trovare accoglimento.

Con il primo motivo, viene eccepita la violazione del principio del giudicato, in quanto i giudici di merito avrebbero fondato la decisione su due sentenze non definitive ed il difetto assoluto di motivazione.

La censura è infondata. In realtà la sentenza impugnata si fonda sulla carenza di allegazione e di prove da parte dell’ufficio. Questo non ha esibito, come rileva la CTR, il processo verbale di constatazione, sul quale si basano gli atti impugnati. Il riferimento alla esistenza di altri precedenti favorevoli alla contribuente non costituisce la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ne fa menzione soltanto per avallare ulteriormente la valutazione (di per sè sufficiente a sostenere il decisum) di mancanza di atti sufficienti a corroborare la fondatezza degli accertamenti. La ricorrente non contesta quest’ultima asserzione, che costituisce la vera ratio decidendi, per cui la censura non coglie nel segno.

Con il secondo motivo, viene dedotta la violazione del principio dell’onere della prova, sul rilievo che la contribuente non avrebbe prodotto la prova della spettanza della detrazione iva, secondo i consueti criteri di riparto dell’onere. Ma anche questa censura non coglie nel segno. La sentenza impugnata ha sancito, in punto di fatto, che la contribuente ha prodotto gli atti (fatture, registro acquisti e dichiarazioni iva) che documentano il diritto alla detrazione. La parte ricorrente eccepisce che l’accertamento è fondato sulla ritenuta inesistenza delle operazioni fatturate, ma non trascrive, nè riporta, le ragioni in base alle quali sono state formulate la contestazioni, nè contesta che il verbale che le conteneva non sia stato mai esibito. Come è noto, l’ufficio deve prospettare fondati indizi di insussistenza delle operazioni e soltanto dopo il contribuente deve dare prova della effettività delle operazioni (ex multis, Cass. 12802/2011). Nella specie, l’ufficio non ha neppure allegato le ragioni per le quali riteneva inesistenza le operazioni fatturate e, quindi, la contribuente non è gravata di alcun onere ulteriore di prova.

Conseguentemente il ricorso deve essere rigettato, senza liquidazione di spese, sostenute soltanto dalla parte soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *