Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-01-2013) 11-02-2013, n. 6592 Impugnazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Il pubblico ministero di Viterbo aveva richiesto al locale GIP l’applicazione di misura custodiale carceraria nei confronti di L. G. e O.F., per i reati di concorso nell’aver posto in essere una piantagione di 3/400 piante di marijuana alte sino ad oltre 4 metri (capo A), porto di fucile con matricola abrasa (capo B), resistenza e lesioni (il solo O., capo D).

Con ordinanza del 20.9.12 il GIP applicava ad entrambi la misura degli arresti domiciliari, con esclusione del capo A, giudicato non sorretto da adeguato compendio indiziario.

Dopo ulteriori accertamenti, il pubblico ministero rinnovava la richiesta di misura carceraria per il capo A. Con ordinanza del 27.9.12 il GIP giudicava sussistente la gravità indiziaria ed emetteva misura cautelare anche per tale titolo di reato, tuttavia confermando gli arresti domiciliari.

Solo il pubblico ministero proponeva appello avverso tale seconda ordinanza, richiedendo l’applicazione della custodia carceraria.

Il Tribunale di Roma deliberava conformemente in data 9-21.11.12, sospendendo l’esecuzione del provvedimento alla sua definitività.

2. Avverso l’ordinanza del Tribunale ricorrono L. e O., a mezzo del comune difensore e con unico atto, enunciando quattro motivi:

1- violazione degli artt. 273, 292, 125 c.p.p. per "totale insussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine "ai reati" rispettivamente contestati". I ricorrenti svolgono deduzioni a sostegno dell’inesistenza della gravità indiziaria, rivendicando la tempestività della doglianza (negata dal Tribunale) in ragione della libera scelta difensiva di non contestare prima il punto, per la ritenuta opportunità di anticipare in sede cautelare domiciliare l’esecuzione di eventuale pena finale (va osservato che il motivo, la cui enunciazione è idonea a porre incertezze sui reati cui si riferisce, alla luce delle argomentazioni svolte pare attenere esclusivamente al reato di cui al capo A, oggetto specifico dell’ordinanza 27.9: se è vero che la "confessione" è richiamata solo per il reato sub B e non anche per quello sub D, oggetto entrambi della prima ordinanza – nota 2 p.4 del ricorso -, tuttavia a p. 7 il ricorso richiama le censure proposte al riesame solo in relazione al capo A);

2- omessa, contraddittoria e "illogica" motivazione dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere in relazione agli artt. 274 e 292 c.p.p.. Sulla pericolosità sociale il Tribunale si sarebbe limitato a indicare elementi in maniera seriale senza che si potesse cogliere il percorso logico seguito; quanto in particolare al possesso del fucile con matricola abrasa i Giudici dell’appello cautelare avrebbero ignorato la pertinenza dello stesso all’esigenza di difendere l’orto dai cinghiali; il rilevante spessore criminale e il collegamento con fenomeni associativi sarebbe frutto di sole congetture; i precedenti penali sarebbero stati interpretati in modo improprio;

3- medesimo vizio in relazione agli artt. 275 e 292 c.p.p., sulla ritenuta non adeguatezza della misura domiciliare già in atto, con trattazione unitaria delle due distinte posizioni. Non sarebbe vero che la piantagione, comunque rimossa dalla polizia giudiziaria, fosse nelle adiacenze dell’abitazione del L.; O. si troverebbe agli arresti domiciliari in Sardegna e pertanto in un contesto del tutto inidoneo ad alcuna reiterazione specifica; non vi sarebbe motivazione sulla proporzionalità della misura carceraria rispetto ai fatti ed al tempo trascorso;

4 – vizi cumulativi della motivazione in relazione al travisamento della prova afferente il sacco di concime con la scritta Coop. Agricola Palermo rinvenuto all’interno della piantagione, considerato uno dei due elementi indiziari.

Motivi della decisione

3. La prima questione che deve essere affrontata è quella dell’ammissibilità delle doglianze dei ricorrenti relative ai punti della decisione diversi da quelli dell’adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere, ai sensi dell’art. 275 c.p.p. (motivi primo, secondo e quarto).

3.1 Come prima riferito, la fattispecie concreta all’esame della Corte suprema è quella di una misura cautelare emessa dal GIP (con argomentato apprezzamento della sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ad un determinato reato che delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p.), che viene contestata, con rituale e tempestivo appello ai sensi dell’art. 310 c.p.p., solo dalla parte pubblica e solo in relazione al punto della decisione relativo all’adeguatezza della misura in concreto applicata. In sede di appello, e ora con il ricorso, le parti private chiedono siano rimesse in discussione e riesaminate anche le valutazioni del GIP in ordine ai punti della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, non contestati con tempestiva richiesta di riesame, ai sensi dell’art. 309 c.p.p., per dichiarata strategia difensiva volta a privilegiare comunque gli effetti della custodia domiciliare sulla successiva esecuzione della pena.

3.2.1 Le scelte difensive sulla ritenuta miglior strategia complessiva, nell’interesse concreto dell’assistito, sono ovviamente libere ed insindacabili, rispondendo anche a ragioni di mera contingente opportunità, tipico ambito ed esito di una valutazione propria della parte. Ma tali scelte debbono confrontarsi con la puntuale disciplina codicistica, che prevede tempi e limiti per l’esercizio di taluni diritti e facoltà nel procedimento : la scelta difensiva di privilegiare alcuni aspetti su altri si risolve, pertanto, anche nella selezione di tempi e modi di esercizio dei diritti e delle facoltà che la disciplina processuale attribuisce, con le conseguenti eventuali e ritenute opportune rinunzie.

Nel caso concreto, l’impugnazione davanti al Giudice collegiale della sussistenza, nel provvedimento cautelare genetico, di idonea gravità indiziaria e di esigenze cautelari sarebbe stata possibile solo con la tempestiva richiesta di riesame, dopo la scadenza del relativo termine rimanendo aperta solo la via della richiesta di revoca della misura, con le corrispondenti eventuali successive impugnazioni.

Nella deliberazione di applicazione di una misura cautelare personale vengono infatti in rilievo punti diversi: l’imputazione provvisoria di reato che la consente, la relativa gravità indiziaria, la sussistenza di una delle esigenze cautelari indicate nell’art. 274 c.p.p., adeguatezza e proporzione della misura in concreto deliberata. Si tratta di punti autonomi e del tutto distinti, ciascuno dei quali, quando la misura è emessa, può, e deve in ipotesi, essere oggetto di specifica impugnazione, in assenza della quale la successiva sua trattazione nelle fasi dell’eventuale procedimento incidentale cautelare di impugnazione risulta preclusa.

3.2.2 All’appello ex art. 310 c.p.p., infatti, quale atto di impugnazione (rubrica del capo 6^ del primo titolo del Libro 4^) si applica la disciplina generale dettata per le impugnazioni nel Libro 9^, titolo 1 e 2, per quanto non disciplinato specificamente in modo diverso. In particolare viene in rilievo il carattere devolutivo dell’istituto dell’appello (art. 597 c.p.p., comma 1), secondo il quale tale tipologia di impugnazione devolve al giudice collegiale una cognizione piena ma limitata al punto della decisione "attaccato" con lo specifico motivo; con la conseguenza che solo quel punto può poi essere oggetto delle doglianze poste in eventuali successivi gradi del procedimento incidentale, salve le eccezioni espressamente previste secondo la struttura dei vari procedimenti.

3.2.3 Nel senso indicato è la giurisprudenza di questa Corte suprema, a partire da SU sent. 8/1997 (secondo cui la cognizione del giudice di appello nel procedimento incidentale sulla libertà, di cui all’art. 310 c.p.p., è limitata ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame ed a quelli con essi strettamente connessi e da essi dipendenti, con la precisazione che altro è il punto della decisione altro sono le contingenti deduzioni, di argomenti e fatti, a sostegno delle richieste afferenti quel punto, deduzioni rispetto alle quali va esclusa alcuna preclusione da effetto devolutivo). Nello stesso senso, tra le altre, Sez. 3 sent. 28253/2010 (sulla differenza tra l’effetto totalmente devolutivo, del riesame, e quello limitato ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi, dell’appello), Sez. 1^ sent. 46262/2008, Sez. 6 sent. 15855/2004.

Nè costituisce insegnamento diverso quello che attiene alla del tutto differente fattispecie dell’appello della parte pubblica avverso il diniego di emissione dell’ordinanza cautelare – di cui a Sez. 6, sent. 10032/2010, massimata nel senso che "l’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento di diniego di emissione dell’ordinanza cautelare per l’insussistenza dei gravi Indizi di colpevolezza devolve al giudice d’appello la verifica di tutte le condizioni richieste per l’adozione delle misure cautelari e dunque questi, quando intenda accogliere l’impugnazione, è tenuto a pronunciarsi anche in ordine alla configurabilità delle esigenze cautelari non considerate dal primo giudice"; infatti, richiamando anche SU sent. 18339/2004, la motivazione chiarisce che l’esame del punto non espressamente devoluto, ma la cui positiva valutazione è necessaria perchè sussistano le condizioni di emissione del provvedimento cautelare, è previsto per i soli casi in cui il GIP non si sia già espresso compiutamente su tale diverso punto. Nello stesso senso Sez. 1, sent. 27792/2006 e Sez. 2 sent 2000/1993.

3.3 In definitiva, se vi è stato un diniego della richiesta di misura cautelare e questa viene, in accoglimento dell’appello della parte pubblica ai sensi dell’art. 310 c.p.p., emessa dal tribunale, il giudice collegiale "emettendo ex novo" la misura deve dar conto della sussistenza di tutte le condizioni legittimanti l’emissione della misura, costituendo queste "punti strettamente connessi e dipendenti".

Ma se la misura è già stata emessa, con specifica motivazione del giudice sulla gravità indiziaria e sulle esigenze cautelari, non impugnata, viene meno ogni ragione (in particolare l’esigenza di una complessiva originaria valutazione giurisdizionale di tutti gli elementi che legittimano l’adozione di una misura cautelare) perchè tali due punti della decisione possano essere qualificati come "punti strettamente connessi e dipendentì, rispetto al diverso punto afferente la sola adeguatezza della misura in concreto adottata: la trattazione di quest’ultimo, quindi, non impone in alcun modo la ridiscussione degli altri due, così preclusa.

Va pertanto affermato il principio di diritto, secondo cui nel caso di avvenuta emissione di ordinanza cautelare da parte del GIP, l’effetto devolutivo dell’appello proposto, ex art. 310 c.p.p., dalla parte pubblica sul solo punto dell’adeguatezza della misura emessa non attribuisce al tribunale la cognizione anche sui punti della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari (fatta sempre salva l’applicazione dell’art. 299 c.p.p., comma 1, in ordine a elementi diversi non precedentemente valutati dal giudice che ha emesso la misura : Sez. 6, sent. 34970/2012; Sez. 6, sent. 19008/2012; Sez.l, sent. 961/1996).

Conseguentemente i motivi primo secondo e quarto sono inammissibili, non essendo stati dedotti elementi diversi da quelli precedentemente valutati dal GIP con apprezzamento non tempestivamente impugnato.

4. Il quarto motivo è fondato, nei termini che seguono.

Come in precedenza esposto, con la prima ordinanza (20.9) il GIP aveva applicato la misura degli arresti domiciliari per i reati di cui al capo B (avente ad oggetto il porto del fucile con matricola abrasa, contestato ad entrambi) ed al capo D (la resistenza con lesioni, contestata al solo O.). Tale ordinanza non è stata impugnata, nonostante il pubblico ministero avesse chiesto la custodia carceraria.

Con la seconda ordinanza (27.9) il GIP ha applicato la medesima misura domiciliare anche per il capo A (la coltivazione delle piante di marijuana). Questa ordinanza è stata impugnata dal pubblico ministero, che aveva chiesto la custodia carceraria.

Il Tribunale ha accolto l’impugnazione, disponendo la custodia in carcere. Ha argomentato della spiccata pericolosità degli indagati, che ha ritenuto non contenibile con la misura domiciliare in ragione:

delle dimensioni (qualificate "del tutto eccezionali") della piantagione e della struttura pianificata della stessa; della contiguità a circuiti delinquenziali di sicuro spessore criminale (in ragione del necessario collegamento della loro iniziativa con altri soggetti, per la gestione e destinazione della marijuana); del possesso di fucile con matricola abrasa, per sè fonte di elevatissimo allarme sociale ed usato in concreto per minacciare i vari interlocutori dopo la scoperta della piantagione; del tentativo di fuga; dei precedenti penali consistenti in una ricettazione e violazione della normativa armi ed in una introduzione in fondo altrui, per L., e in un decreto penale per minaccia e danneggiamento, quanto ad O..

Per parte sua il ricorrente in definitiva contesta il carattere sostanzialmente assertivo della giudicata inadeguatezza cautelare degli arresti domiciliari (invece confermati dal GIP) quanto al pericolo di ulteriori contatti efficaci con persone dedite al crimine, l’approccio indifferenziato ai due Indagati (di diversa personalità) e la mancanza di un confronto argomentativo con la situazione reale in atto ( O. allo stato ristretto al domicilio in Sardegna; la piantagione rimossa dalla polizia giudiziaria e comunque il luogo di coltivazione non posto nelle immediate vicinanze della residenza, quanto a L.).

4.1 Vanno innanzitutto richiamate alcune considerazioni di ordine sistematico.

L’art. 275 c.p.p., comma 3, afferma il principio che la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo quando ogni altra misura risulti inadeguata.

E’ significativo che la presunzione legale di adeguatezza della misura carceraria per alcune delle tipologie di reati richiamati espressamente dalla seconda parte del medesimo comma 3 sia stata, in tempi recenti, "colpita" da ripetute pronunce della Corte costituzionale (Sentenze 21.7.2010 n. 265, 12.5.2011 n. 164, 22.7.2011 n. 231), che anche per talune di tali tipologie ha imposto una verifica in concreto dell’effettiva adeguatezza della sola misura carceraria.

E’ stato osservato che il percorso logico che dovrebbe essere seguito nella individuazione della misura cautelare adeguata, e proporzionata (ex art. 275 c.p.p., comma 2), non potrebbe che muovere dalla misura meno gravosa, seguendo, del resto, l’ordine della significativa sequela che lo stesso codice di rito contiene, agli artt. dal 281 al 286 bis (ancorchè ciò non comporti l’obbligo di motivare specificamente l’inadeguatezza di ogni singola misura meno grave :

Sez.6, sent. 17313/2011).

Le Sezioni unite di questa Corte suprema hanno, sempre in tempi recenti, ribadito il carattere residuale e di extrema ratio della misura cautelare detentiva, precisando contestualmente che in nessun caso essa può essere utilizzata per realizzare le finalità proprie della pena (Sent. 16085/2011, paragrafo 3).

Che la custodia carceraria costituisca la "soluzione estrema" è stato pure affermato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (richiamata dalle citate Sezioni unite), secondo la quale, In riferimento alla previsione dell’art. 5, paragrafo 3, della Convenzione, la carcerazione preventiva "deve apparire come la soluzione estrema che si giustifica solamente allorchè tutte le altre opzioni disponibili si rivelino insufficienti" (sentenze 2 luglio 2009, Vafiadis contro Grecia, e 8 novembre 2007, Lelievre contro Belgio).

Ancora significativo è che le Sezioni unite, nel respingere la tesi di una sorta di presunzione di sopravvenuta mancanza di proporzionalità al protrarsi della custodia carceraria oltre i due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato per il quale si procede (recuperando così, sia pure con valenza dichiaratamente tendenziale, un criterio tratto da altra disciplina:

l’art. 304 c.p.p., comma 6, nel testo attuale), abbiano evidenziato che l’obbligo di valutare proporzionalità ed adeguatezza della misura pendente è permanente, ad evitare compressioni della libertà personale qualitativamente o quantitativamente inadeguate (Sent.

16085/2011 citata, par. 4).

A questo contesto omogeneo e convergente non possono dirsi estranee le stesse attuali e note condizioni di eclatante drammaticità delle condizioni di vita carceraria (di, tra l’altro, sovraffollamento degli istituti detentivi, condizioni di vita degradanti che ne derivano, sostanziale inattuazione delle Raccomandazioni del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle regole penitenziarie Europee, condanne per situazioni simili ad opera della Corte Edu che aveva già stigmatizzato come esse fossero contrarie ad umanità oltre che lesive dei diritti fondamentali e indegne di uno Stato democratico, parla espressamente anche la Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2012 del Primo presidente di questa Corte di cassazione, p. 64 s.). Tali condizioni hanno appena determinato la Corte Edu (Sez. 2^, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia) ad ingiungere al nostro Stato, tra l’altro, di prevedere "un ricorso o un insieme di ricorsi interni idonei ad offrire un ristoro adeguato e sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario, in conformità ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte".

Si tratta, in definitiva, di una pluralità di dati normativi e giurisprudenziali, nazionali ed Europei, che, indicando inequivocamente ed in termini radicali la custodia cautelare detentiva come soluzione davvero estrema e residuale, certamente impongono un coerente peculiare obbligo di specifica motivazione, efficacemente attenta ai vari aspetti che possono rilevare nel caso concreto e rifuggente ogni locuzione assertiva o clausola di stile.

4.2 Tutto ciò premesso, osserva la Corte di cassazione che gli elementi di fatto costituiti dal possesso di fucile con matricola abrasa, dalla sua utilizzazione nei confronti delle persone intervenute sul posto e dai precedenti penali sopra indicati erano stati espressamente considerati dal GIP dell’ordinanza 20.9 e giudicati non idonei, per sè, ad imporre la custodia in carcere, con apprezzamento non impugnato dalla parte pubblica. Anche il dato del tentativo di fuga era comune ai reati sub B e D. Quanto alle ragioni specificamente afferenti il reato sub A, assumono autonomo rilievo gli articolati commenti del Tribunale sulla gravità del fatto e sulla sua sintomaticità di contatti criminali organizzati con altre persone. Per contro il Giudice collegiale non si è confrontato con il dato del luogo di esecuzione degli arresti domiciliari di O., pur avendo invece valorizzato per L. la vicinanza tra la piantagione e l’abitazione dove la misura domiciliare era in esecuzione (e tuttavia senza confrontarsi con i fatti oggetto dei rilievi difensivi circa la rimozione della stessa e la non stretta adiacenza dei due luoghi).

Va poi osservato che è certamente indubbio che, a fronte di una nuova e ulteriore imputazione provvisoria, non sussista un’assoluta preclusione a rivalutare gli elementi di fatto già considerati nella precedente ordinanza come compatibili agli arresti domiciliari, con un autonomo apprezzamento complessivo. Tuttavia, la motivazione che sorregga la rivisitazione deve essere particolarmente puntuale nello spiegarne pertinenza e relazione con il nuovo e ulteriore capo di imputazione, unico oggetto della successiva e diversa misura, pena altrimenti una sostanziale violazione del divieto di rivalutare un apprezzamento cautelare non oggetto di tempestiva impugnazione. Nel caso di specie, come ricordato, il possesso di arma con matricola abrasa, la sua utilizzazione per minacciare terzi, i precedenti penali ed il tentativo di fuga, sono elementi di fatto già apprezzati in occasione della prima misura e giudicati compatibili con gli arresti domiciliari. Il Tribunale deve pertanto spiegare se gli altri elementi indicati nella propria ordinanza sono per sè sufficienti ad imporre il giudizio di adeguatezza e proporzionalità, tenuto conto dei principi richiamati sub 4.1, della sola misura cautelare carceraria ovvero quale sia la pertinenza al nuovo reato che giustifichi la rivalutazione degli altri elementi, già oggetto di apprezzamento di compatibilità con gli arresti domiciliari, imponendo il superamento del precedente non tempestivamente contestato apprezzamento.

Risultando quindi allo stato, anche alla luce delle considerazioni sistematiche svolte nel paragrafo 4.1 e per quanto appena argomentato, di fatto apparente la motivazione sulla indispensabilità della custodia carceraria, l’impugnata ordinanza va annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuova valutazione.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma per nuova deliberazione.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *