Cass. civ. Sez. V, Sent., 25-07-2012, n. 13110

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

Con sentenza 19.5.2010 n. 42 la Commissione tributaria della regione Veneto rigettava l’appello proposto dall’Ufficio di Treviso della Agenzia del Territorio ed accoglieva l’appello incidentale proposto da Veneto Banca soc. coop. p.a., dichiarando la nullità dell’avviso di liquidazione della imposta ipotecaria – in relazione ad un contratto di apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria stipulato tra la predetta banca e Z.F. e D.P., soggetti finanziati- emesso dall’Ufficio finanziario con il quale si disponeva la "revoca dei benefici fiscali concessi, per mancanza della condizione oggettiva di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 15, comma 3".

La CTR veneta riteneva di non dover accedere al l’esame del contenuto delle clausole contrattuali – tra cui quella dell’art. 1 dell’atto pubblico che rinviava al Contratto tipo allegato sub A, in cui era espressamente prevista la facoltà di recesso "ad nutum" concessa alla banca – al fine di accertare la sussistenza dei presupposti cui era collegata la agevolazione fiscale, rimanendo limitata la verifica giudiziale alla preliminare rilevazione della nullità dell’avviso di liquidazione impugnato per inadeguatezza della motivazione.

I Giudici di merito osservavano che la sintesi verbale con la quale nell’avviso veniva giustificata la revoca dei benefici si prestava ad equivoca interpretazione non essendo chiaramente evincibile se la facoltà di recesso fosse stata accordata all’ente finanziatore ovvero ai soggetti finanziati.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso la società, eccependo la inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

1. La sentenza di appello rileva che nell’avviso di liquidazione non era specificato se il motivo della revoca della agevolazione fiscale dipendesse dalla clausola contrattuale che concedeva la facoltà di recesso ai soggetti finanziati ovvero alla disposizione negoziale che attribuiva la medesima facoltà "ad nutum" alla banca-finanziatrice, clausola quest’ultima che emergeva dalla lettura dell’atto notarile ed alla quale "evidentemente fa riferimento, sia pure in maniera non chiara, l’avviso di liquidazione".

I Giudici di merito hanno pertanto ritenuto affetta la motivazione dell’avviso dal vizio di nullità, ritenendo che l’annullamento dell’atto impositivo esonerava dall’esame dei motivi di gravame principale ed incidentale inerenti la interpretazione del contenuto delle disposizioni contrattuali.

Dichiaravano inoltre compensate le spese di lite attesa la "esistenza di una clausola che ha offerto una ragione alla pretesa della Amministrazione".

2. La società resistente ha eccepito la inammissibilità del ricorso per difetto del requisito ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), essendo stati allegati gli atti del procedimento di merito; la improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), non essendo stato prodotto il contratto stipulato "inter partes"; la inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), per difetto di autosufficienza non essendo state trascritte le clausole del contratto.

Nel merito ha ritenuto infondati i tre motivi di impugnazione.

3. Le eccezioni pregiudiziali sono tutte infondate.

Quanto alla violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), rileva il Collegio che il requisito della chiara esposizione dei fatti di causa non può ritenersi assolto mediante la mera allegazione al corpo del ricorso di copia di tutti gli atti difensivi dei precedenti gradi merito in quanto l’attività di ricerca degli elementi a supporto della censura mossa con il motivo snatura l’attività istituzionalmente devoluta a questa Corte demandandole compiti (selezione e valutazione del contenuto di atti di merito) che sono invece riservati all’attività dispositiva delle parti (cfr. Corte Cass. SU 17.7.2009 n. 16628; id. 5^ sez. 23.6.2010 n. 15180).

Tuttavia tale situazione non si è verificata nel caso di specie, non essendo richiesto alcun inammissibile intervento surrogatorio della Corte nella ricerca dell’oggetto delle singole censure, avendo provveduto la Agenzia ricorrente: 1 – ad individuare specificamente (in relazione alle pagine ed ai righi dell’atto di appello) il motivo di gravame sul quale la CTR veneta avrebbe omesso di pronunciare (cfr. indicazioni in calce al primo motivo di ricorso); 2 – ad individuare il passaggio motivazionale della sentenza di appello asseritamente inficiato da vizio logico (cfr. secondo motivo); 3 – a definire in modo puntuale la dedotta violazione di norme di diritto da parte dei Giudici di merito in punto di interpretazione della norma che disciplina i requisiti motivazionali minimi degli atti impositivi, sostenendo che la CTR aveva equivocato tra adeguatezza motivazionale dell’avviso e fondatezza delle prove addotte a sostegno della pretesa fiscale (cfr. terzo motivo).

Infondata è altresì la eccezione di improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., essendo sufficiente richiamare in proposito l’arresto delle SS.UU. di questa Corte (Corte Cass. SU 3.11.2011 n. 22726), dal quale il Collegio non a motivo di discostarsi, secondo cui "in tema di giudizio per cassazione, per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, la indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 25, comma 2, restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ed ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, della produzione dei proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poichè detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla S.C. ex art. 369 c.p.c., comma 3, a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della commissione tributaria; neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte".

Quanto alla eccezione di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), la stessa si palesa manifestamente infondata, dovendo rilevarsi che, diversamente da quanto allegato alla resistente, il contenuto delle clausole contrattuali controverse risulta riprodotto negli atti difensivi dei gradi di merito incorporati al ricorso per cassazione e più specificamente: a) nell’atto introduttivo di primo grado che, al punto 2 della esposizione, riporta la trascrizione dell’art. 1 del contratto di finanziamento nel quale viene fatto espressamente rinvio alle disposizioni legislative che disciplinano il credito fondiario (tra cui il D.Lgs. n. 385 del 1993, (T.U.L.B.), art. 40, che prevede la facoltà anticipata di recesso a favore di soggetti finanziati) nonchè "ai patti ed alle condizioni di cui all’allegato Contratto Tipo, che si allega la presente atto sotto la lettera A…per formarne parte integrante e sostanziale…"1, e b) nell’atto di appello principale ove è riportata la parziale trascrizione della clausola del Contratto Tipo – rubricata come Facoltà di recesso all’apertura di credito – nella quale è previsto che "La banca ha facoltà di recedere in ogni momento dall’apertura di credito…".

4. Con il primo motivo la Agenzia del Territorio deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), avendo i Giudici territoriali omesso di pronunciare sulla insussistenza dei presupposti applicativi (nella specie sulla mancanza del requisito del vincolo minimo di durata contrattuale previsto in diciotto mesi) della agevolazione concessa dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 15.

Il motivo è palesemente infondato: il Giudice di merito, diversamente da quanto presupposto dalla ricorrente, non ha omesso di pronunciare sul punto controverso, ma ha ritenuto superfluo (assorbito) l’esame del merito della pretesa fiscale in quanto precluso dall’accettate vizio di nullità dell’atto impositivo per inadeguata motivazione circa i presupposti di fatto e le ragioni di diritto su cui era fondata la pretesa, ex art. 52, comma 2 bis, T.U. n. 131 del 1986 cui rinvia il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 33.

2. Con il secondo motivo la Agenzia del Territorio deduce il vizio di omessa od insufficiente motivazione in punto di accertamento della esistenza di una clausola contrattuale attributiva della facoltà di recesso "ad nutum" che avrebbe giustificato la pretesa tributaria avanzata dalla Amministrazione fiscale.

Il motivo va dichiarato inammissibile in quanto non coglie la "ratio decidendi" che è esclusivamente fondata sulla statuizione di nullità dell’avviso di liquidazione per difetto del requisito motivazionale e non sulla insussistenza della prova a sostegno della pretesa fiscale.

Trova pertanto applicazione il principio di diritto enunciato da questa Corte e ribadito dal Collegio secondo cui "la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità – rilevabile anche d’ufficio – del ricorso stesso" (cfr. Corte Cass. sez. lav. 13.10.1995 n. 10695; id.

2^ sez. 9.10.1998 n. 9995; id. 1^ sez. 24.2.2004 n. 3612; id. 5^ sez. 3.8.2007 n. 17125).

5. Con il terzo motivo la Agenzia del Territorio censura la sentenza per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e dei principi di diritto relativi alla motivazione degli atti tributari, nonchè dell’art. 2679 c.c. (recte art. 2697 c.c.), e dei principi afferenti l’onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo, relativamente alla dedotta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, deve ritenersi fondato, mentre va dichiarata inammissibile la censura concernente la violazione della regola del riparto probatorio, non avendo pronunciato la CTR sul merito della pretesa tributaria.

L’avviso di liquidazione è motivato, come riportato anche nella esposizione del motivo in esame e di seguito trascritto: "revoca dei benefici fiscali concessi per mancanza della condizione oggettiva di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 15, comma 3, in quanto non rispettato il limite temporale previsto per la facoltà di recesso (18 mesi ed 1 giorno)".

Il D.P.R. n. 601 del 1973, art. 15, comma 3, dispone che "si considerano a medio e lungo termine le operazioni di finanziamento la cui durata contrattuale sia stabilita in più di diciotto mesi".

Orbene funzione della motivazione degli atti impositivi è quella di portare a conoscenza del contribuente le ragioni di diritto ed i presupposti di fatto sui quali è fondata la pretesa tributaria, così da consentire al destinatario dell’atto di apprestare una opportuna difesa.

Il contenuto della motivazione ha estensione variabile a seconda della complessità degli accertamenti svolti e delle ricostruzioni (eventualmente basate su elementi indiziari) delle operazioni negoziali da assoggettare ad imposta.

Orbene premesso che come affermato da numerose pronunce di questa Corte (cfr., ex pluribus, Corte Cass. 5^ sez. 29.1.2008 n. 1906) nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche "per relationem", ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, (per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti – oggetto, contenuto e destinatari – dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento), occorre tuttavia precisare che l’obbligo di allegazione dell’atto richiamato "per relationem" trova un evidente limite nella stessa ragionevolezza della norma, dovendo pertanto essere puntualmente chiarito che "in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, (cosiddetto Statuto del contribuente), nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non intende certo riferirsi ad atti di cui il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione; infatti, un’interpretazione puramente formalistica si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia loro propria, limitando al massimo le cause d’invalidità o d’inammissibilità chiaramente irragionevoli" (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 2.7.2008 n. 18073).

Orbene nel caso di specie l’avviso di liquidazione era motivato "per relationem" alle clausole del contratto di finanziamento in possesso ed a conoscenza delle parti contraenti, risultando fondata la pretesa sulla incompatibilità della apposizione della clausola di recesso "ad nutum" con il presupposto legale della durata minima del rapporto alla quale la norma agevolati va ricollegava l’applicazione del beneficio fiscale.

La circostanza di fatto che nel contratto fossero contemplate più clausole di recesso – a favore dei soggetti finanziati ed a favore del soggetto finanziatore – non assumeva alcuna rilevanza in ordine alla funzione che la motivazione dell’avviso di liquidazione è chiamata ad assolvere, in quanto – ove anche ammessa, in ipotesi, la riferibilità della motivazione dell’avviso ad entrambe le clausole di recesso predette – i contribuenti erano egualmente posti in grado di contraddire e svolgere le proprie difese in relazione ad entrambe dette clausole contrattuali, potendo esporre a loro volta le ragioni per le quali tali clausole non dovevano ritenersi contrastanti con la norma agevolativa.

Nè era dato ipotizzare una particolare difficoltà a carico dei contribuenti nella individuazione dell’elemento contrattuale in questione. Nella specie, infatti, la complessità di tale accertamento era da ritenersi inesistente atteso che il disconoscimento del beneficio era fondato esclusivamente sulla rilevazione, tra le clausole contrattuali, della facoltà di recesso ad "nutum" (concessa alla banca): poichè l’atto contrattuale era nella piena disponibilità dei contribuenti, la "relatio" istituita dall’avviso con il contratto non necessitava di ulteriori specificazioni, essendo immediatamente rilevabile dalla lettura delle clausole del contratto la disposizione o le disposizioni concernenti il recesso alle quali la Amministrazione ricollegava la inosservanza del requisito di durata di efficacia del contratto.

Ne consegue che la ragione in diritto posta a fondamento della pretesa era ex se sufficiente – anche nella indeterminatezza del riferimento ad una ovvero ad entrambe le clausole di recesso "ad nutum" contenute nel contratto – ad integrare la adeguata motivazione richiesta quale requisito formale di validità dell’avviso di accertamento (L. n. 212 del 2000, art. 7: l’obbligo dei requisiti motivazionali richiesti a pena di nullità dell’atto impositivo è stato attuato con il D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32).

Contrasta, pertanto, con la interpretazione che della L. n. 212 del 2000, art. 7, ha fornito la giurisprudenza di questa Corte la statuizione della CTR veneta secondo cui il riferimento alla "facoltà di recesso ad nutum" contenuto nell’avviso di liquidazione, senza ulteriore specificazione se trattavasi di facoltà attribuita alla banca od ai soggetti finanziati, comportava la nullità dell’avviso per difformità dal parametro legale in carenza degli elementi idonei ad individuare i presupposti fattuali e giuridici della pretesa.

6. In conclusione il ricorso trova accoglimento limitatamente alla censura di violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, formulata con il terzo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altra sezione della CTR del Veneto che, attenendosi ai principi di diritto enunciati al paragrafo 5 della motivazione, procederà a nuova valutazione provvedendo anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Veneto che, attenendosi ai principi di diritto enunciati al paragrafo 5 della motivazione, procederà a nuova valutazione provvedendo anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2012


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