Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 06-05-2013, n. 19318

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 23 maggio 2011 la Corte d’Appello di Firenze, sostanzialmente confermando (salvo esclusione di un’aggravante e applicazione delle attenuanti generiche) la decisione assunta dal Tribunale di Cecina, ha riconosciuto P.D. responsabile del delitto di lesioni volontarie aggravate ai danni di Po.Sa.;
ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge, peraltro ridimensionata nella sua entità, e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
1.1. Sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa, confortate dalle deposizioni di due testi in senso conforme, hanno ritenuto i giudici di merito che il P., dopo una discussione col Po., lo avesse colpito dapprima con un pugno e poi con un bicchiere, così causandogli lesioni che avevano richiesto l’applicazione di 25 punti di sutura.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a tre motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente rinnova l’eccezione di nullità della costituzione della parte civile, per difetto assoluto della procura.
2.2. Col secondo motivo denuncia il travisamento di prove essenziali, per avere la Corte di merito omesso di riconoscere il sostanziale contrasto fra l’apparente coerenza delle versioni rese dal Po. e dai testimoni a lui vicini rispetto ad altre deposizioni testimoniali, rese dagli addetti alla sicurezza del locale nel quale si era verificato l’episodio.
2.3. Col terzo motivo contrasta l’applicazione dell’aggravante dell’uso di arma impropria e lamenta l’immotivato diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, nonchè del beneficio della non menzione della condanna nel certificato penale.
Motivi della decisione
1. L’eccezione di nullità della costituzione di parte civile, che informa il primo motivo di ricorso, è priva di fondamento e va disattesa.
1.1. Ammette il ricorrente che Po.Sa. abbia, nell’atto di costituzione, indicato l’Avv. C. quale suo difensore, dotandolo di "ogni più ampia facoltà inerente al mandato"; ma sostiene non essere ciò sufficiente, atteso che tali espressioni non erano apposte in calce all’atto di costituzione, ma si trovavano nella parte finale di esso; aggiunge che la sottoscrizione del difensore non era stata apposta per autentica e che, nella situazione così descritta, la presenza in udienza del Po. non poteva in alcun modo sanare una costituzione geneticamente viziata.
1.2. Osserva questa Corte che, indipendentemente da ogni considerazione circa la chiara volontà del Po. di affidare all’Avv. C. l’incarico di esercitare per suo conto l’azione civile nel processo penale, l’eccezione s’infrange nel principio, già enunciato da questa Corte Suprema (Sez. 4, n. 41790 del 11/06/2009, Valerio, Rv. 245534) e qui ribadito, a tenore del quale la presenza in udienza della persona offesa consente l’esercizio personale della facoltà di costituirsi parte civile; nè può sostenersi – come fa, peraltro senza spiegarne le ragioni, il ricorrente – la non pertinenza al caso di specie del precedente citato: infatti la soluzione ermeneutica ivi raggiunta muove dal rilievo per cui, a norma dell’art. 76 c.p.p., l’azione civile nel processo penale è esercitata "anche" a mezzo di procuratore speciale: donde la superfluità del conferimento di una procura speciale quando l’attività del difensore sia posta in essere alla presenza della parte interessata (principio già affermato in tema di richiesta del rito abbreviato e di patteggiamento: v. Sez. U, n. 9977 del 31/01/2008, Morini, Rv. 238680; Sez. 1, n. 2947 del 15/05/1995, Bruni, Rv. 202357).
2. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto esulante dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p.. Infatti le censure con esso elevate, dietro l’apparente denuncia di carenza motivazionale, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.
2.1. La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotta a ricostruire lo svolgimento dei fatti in conformità all’ipotesi accusatoria. A tal fine ha valorizzato le deposizioni dei testi M. e S., donde era emersa la conferma che il P., dopo un diverbio col Po., avesse colpito quest’ultimo con un pugno e con un bicchiere, allontanandosi subito dopo; ha giudicato, in proposito, di lieve entità le discordanze fra le versioni rese dai testimoni circa il momento in cui il P. prese in mano il bicchiere, giustificandole come possibile frutto di una differente percezione temporale; e osservando, comunque, essere determinante ai fini dell’affermazione di responsabilità il fatto – certo – che l’imputato avesse colpito la persona offesa sia con un pugno, sia con un bicchiere. Non ha mancato, poi, la Corte di prendere in considerazione le deposizioni di altri testi, favorevoli all’imputato, per rilevare l’inattendibilità della loro affermazione che il Po. (al quale si dovettero applicare ben 25 punti di sutura) non sanguinasse dopo l’accaduto.
2.2. Nella linea argomentativa così sviluppata non è riscontrabile alcuna caduta di consequenzialità logica; mentre l’insistito richiamo del ricorrente alle deposizioni testimoniali degli addetti alla sicurezza del locale si risolve nella prospettazione di una lettura del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione. Al riguardo non sarà inutile ricordare che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica legislativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; e il riferimento ivi contenuto anche agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (così Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; v.
anche le più recenti Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile, Rv.
245103; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).
3. Le tre censure nelle quali si articola il terzo motivo non meritano, a loro volta, accoglimento.
3.1. Perfettamente conforme a diritto è la riconosciuta applicabilità al reato di lesione personale dell’aggravante dell’uso di arma impropria, consistita nell’utilizzo di un bicchiere. Infatti secondo ripetute enunciazioni giurisprudenziali devono considerarsi armi, sia pure improprie, tutti quegli strumenti, ancorchè non da punta o da taglio, che in particolari circostanze di tempo e di luogo possono essere utilizzati per l’offesa alla persona (Sez. 5, n. 170/06 del 10/11/2005, Schiavone, Rv. 233118; Sez. 5, n. 11872 del 05/10/2000, Pirello, Rv. 218572); nè rileva il fatto che si tratti di un uso momentaneo e occasionale dello strumento atto ad offendere, poichè per la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 585 c.p., comma 2, n. 2 non si richiede che concorra la contravvenzione di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4 (Sez. 5, n. 9388 del 09/02/2006, Romano, Rv. 233896). Nella fattispecie concreta l’utilizzo di un bicchiere come corpo contundente integra senza dubbio gli estremi dell’aggravante contestata, come del resto già ritenuto in un caso del tutto analogo (Sez. 5, n. 28207 del 21/05/2008, Mameli, Rv. 240448).
3.2. Quanto al giudizio di bilanciamento fra circostanze, pur senza essersi espressamente diffusa sull’argomento la Corte di merito ha fatto comunque intendere le ragioni della propria decisione nel senso dell’equivalenza. Infatti, pur dopo aver dato conto della ritenuta applicabilità delle attenuanti generiche, col rilevare essere il P. soggetto socialmente ben inserito e autore di un fatto episodico avvenuto in un contesto particolare, ha tuttavia reputato congrua la pena di mesi otto di reclusione, vista la natura della lesione cagionata: così chiaramente dimostrando di conferire significativo rilievo all’aggravante dell’uso di arma impropria e implicitamente giustificando, per tale via, il giudizio di mera equivalenza delle attenuanti generiche rispetto a tale aggravante.
Non sussiste, pertanto, il deficit motivazionale denunciato sul punto dal ricorrente.
3.3. La non menzione della condanna nel certificato penale era stata già chiesta dal P. al giudice di primo grado, il quale ne aveva motivato il diniego giudicando recessiva l’assenza di precedenti condanne rispetto al disvalore della condotta processuale dell’imputato, censurata come defatigatoria e tutt’altro che sintomatica di ravvedimento. Le considerazioni così sviluppate non hanno trovato concreta confutazione nella rinnovata richiesta del beneficio inserita nei motivi di appello, per cui la Corte territoriale non era tenuta a tornare sull’argomento; ed invero, è principio da tempo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte Suprema quello per cui il giudice, pur essendo tenuto in linea di principio a dar conto delle ragioni poste a fondamento del rigetto dei motivi di appello, non è tuttavia obbligato a motivare in ordine al rigetto di istanze improponibili per genericità o per manifesta infondatezza: il che si verifica allorchè le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengono elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati e disattesi, non essendo il giudice di appello tenuto a riesaminare una questione genericamente formulata dall’appellante nei motivi di gravame, sulla quale si sia soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte e immuni da vizi logici (Sez. 5, n. 18732 del 31/01/2012, Riccitelli, Rv. 252S22; Sez. 5, n. 4415 del 05/03/1999, Tedesco, Rv. 213114; Sez. 5, n. 7728 del 17/05/1993, Maiorano, Rv. 194868).
4. Il rigetto del ricorso, che pianamente consegue a quanto fin qui osservato, comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
4.1. Spetta alla parte civile la rifusione delle spese di difesa sostenute nel presente giudizio di legittimità; la relativa liquidazione è effettuata in complessivi Euro 2.300,00, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso di quelle di parte civile liquidate in Euro 2.300,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2013

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