Cass. civ. Sez. V, Sent., 25-07-2012, n. 13069

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo
L’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, nel giudizio promosso dalla srl D.S.G. con l’impugnazione dell’avviso di pagamento per accise non versate, essendo emerso che nel periodo giugno 2002 – gennaio 2003 la contribuente aveva fatturato più prodotto di quello risultato dalla contabilità, deducendosene l’introduzione irregolare nel deposito e quindi l’illegittima provenienza con evasione di accisa, ha accolto l’appello della contribuente ed ha annullato l’accertamento ritenendolo "non corretto".
Ciò tenendo conto, tra l’altro, di osservazioni della perizia di parte "in ordine alle modalità non certe di determinazione dei quantitativi"; del fatto che "comunque i conteggi dell’Agenzia sono stati ritenuti non corretti anche dal TAR cui la contribuente si era rivolta ottenendo la sospensione del provvedimento di ritiro della licenza", e della circostanza che "il giudice penale ha assolto il legale rappresentante della società dal reato perchè il fatto non sussiste…".
La sas D.S.G. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
L’Agenzia ricorrente, premesso che il giudizio si incentrerebbe sulla "correttezza dei metodi di accertamento usati dall’Amministrazione per determinare l’imposta evasa, in mancanza di regolare tenuta dei registri di deposito, contabili e di inventario da parte della società, e la sufficienza dei riferimenti alla consulenza di parte e delle pronunzie rese da altri giudici ad altri fini per giustificare l’annullamento dell’accertamento", con il primo motivo denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2699 e 2700 cod. civ.; artt. 115, 116 e 213 c.p.c.; art. 75 c.p.p., in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 25; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, commi 1 e 2 e art. 39 e dei principi generali in materia di onere della prova e dei limitati poteri istruttori del giudice (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)". Assume che, ritenendo carente di prova la pretesa della dogana in riferimento alle osservazioni del perito di parte della società, all’ordinanza cautelare del TAR ed alla sentenza penale, il giudice d’appello avrebbe violato prima di tutto i principi generali in materia di onere della prova e di valenza degli atti pubblici (i verbali di constatazione con gli allegati), resi diritto vigente dalla interpretazione giurisprudenziale unanime che è intervenuta nella materia; in secondo luogo, i principi che regolano l’esercizio dei poteri istruttori del giudice tributario; in terzo luogo, i principi della prova per presunzioni.
Con il secondo motivo, denuncia "violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. e dei principi generali in materia di presunzioni (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3", in quanto il complesso degli elementi oggettivi rilevato dai funzionari accertatori e quanto da essi dedotto, sulla base di precisi criteri tecnici indicati nei processi verbali e nell’avviso di accertamento, ben avrebbero potuto ritenersi sufficienti per la prova dell’obbligazione fiscale accertata, ma non sarebbero state prese in conto dalla CTR sotto il profilo della prova per presunzioni, nonostante le deduzioni sviluppate negli atti defensionali dell’amministrazione, come invece sarebbe stato doveroso.
I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono in parte infondati ed in parte inammissibili.
Nella sentenza impugnata, la cui motivazione è in larga parte trascritta supra, non è dato ravvisare i vizi di violazione di legge denunciati: non dei principi in materia di onere della prova nè di valenza degli atti pubblici, nè delle regole sull’esercizio dei poteri istruttori del giudice tributario e neppure dei principi in tema di prova per presunzioni. La pronuncia non contiene infatti affermazioni non conformi alle norme dettate dalle disposizioni in rubrica o ai principi da esse ricavabili.
Quel che piuttosto la formulazione dei motivi rivela è la censura dell’amministrazione in ordine alla difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, laddove solo al detto giudice spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr., in proposito, Cass. n. 15693 del 2004).
Il vizio di violazione di legge in sede di legittimità, infatti, consiste, come chiarito da questa Corte, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa" (Cass. n. 16698 e n. 7394 del 2010) Va inoltre rilevato come sia inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile nella specie, il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto, pur prospettando il vizio di violazione di legge, non sia pertinente rispetto al motivo di censura in concreto rivolto alla sentenza, concernente invece doglianze riferite alla motivazione ed al valore probatorio attribuito agli elementi posti a base della decisione, in quanto non è consentito confondere i profili del vizio logico della motivazione e dell’errore di diritto" (Cass. n. 24253 del 2011).
Con il terzo motivo, denunciando "insufficiente ed omessa motivazione su punti decisivi della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)", l’amministrazione ricorrente censura la sentenza impugnata – così si legge, tra l’altro, nel "momento di sintesi" formulato nel primo capoverso del motivo – per non aver congruamente motivato in ordine alle ragioni che avrebbero indotto a ritenere insufficienti o inidonei gli elementi addotti a sostegno della pretesa erariale ed ininfluenti ai fini del riscontro sui rispettivi oneri probatori i fatti accertati in sede di verifica, in quanto gli elementi probatori versati in atti sarebbero stati idonei e sufficienti a comprovare la pretesa, mentre nulla sarebbe stato seriamente opposto dalla contribuente per inficiarne i contenuti e le conseguenze. Ed in proposito si sottolinea tra l’altro, segnatamente, come sia emerso, e sia stato contestato, come si legge anche nello "svolgimento del processo" che, nel periodo dal 17 giugno 2002 al 13 gennaio 2003, la contribuente avrebbe fatturato una determinata quantità di prodotto in più rispetto a quello risultato dalla contabilità accisa.
Il motivo è fondato.
A fronte degli specifici e puntuali rilievi dell’ufficio, che in appello aveva "ribadito in fatto e in diritto le argomentazioni svolte in primo grado.., chiedendo di confermare la sentenza" della Commissione provinciale – secondo la quale "l’ufficio aveva correttamente individuato i termini della contestata evasione e la contribuente non aveva prodotto idonea documentazione a sostegno della propria tesi difensiva – (così lo "svolgimento del processo" della decisione), la sentenza impugnata si è infatti limitata a sollevare dubbi generici sulla determinazione della quantità di prodotto ("tenuto conto delle osservazioni contenute nella c.t.p. in ordine alle modalità non certe di determinazione di quantitativi (uso di corda per la determinazione delle rimanenze)…, diversità di gradazione dei prodotti considerati… mancata considerazione dei cali di grado alcolometrico, peso e volume, su cui nulla dice l’Agenzia"), ed a richiamare, semplicemente, una decisione del giudice amministrativo, che avrebbe ritenuto "non corretti i conteggi dell’Agenzia", nonchè la decisione di assoluzione del legale rappresentante della società in sede penale, e si è perciò appalesata come insufficientemente e non congruamente motivata, incorrendo nel vizio denunciato.
In conclusione, i primi due motivi del ricorso vanno dichiarati inammissibili, mentre il terzo motivo va accolto, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso e rigetta i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2012

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