Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 06-05-2013, n. 19315

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 10 ottobre 2011 la Corte d’Appello di Milano, sostanzialmente confermando (salvo moderazione del trattamento sanzionatorio) la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto M.M. e V.L. responsabili, in concorso fra loro, del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento della società Edileuro s.r.l., della quale il primo era stato amministratore unico e il secondo amministratore di fatto.

1.1. Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dai giudici di merito, gli imputati avevano distratto la somma complessiva di Euro 161.000,00, mediante prelievi ed emissioni di assegni tratti sui conti correnti bancari della società, nonchè alcuni beni strumentali del valore complessivo di Euro 205.800,00; avevano inoltre distrutto, od occultato, le scritture contabili allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori.

2. Hanno proposto separatamente ricorso per cassazione gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, ciascuno per le ragioni di seguito indicate.

3. Il ricorso di M.M. è articolato in tre motivi.

3.1. Col primo motivo il ricorrente rinnova l’eccezione di nullità del decreto di irreperibilità emesso nei suoi confronti il 16 giugno 2009, nonchè degli atti conseguenti e successivi. Ad illustrazione della censura rileva che all’autorità procedente era noto il suo recapito in (OMISSIS), presso il quale non erano state invece effettuate ricerche: così come erano mancate ricerche volte a individuare quale attività lavorativa egli svolgesse in quel periodo. Osserva, inoltre, che nessun tentativo di rintracciarlo era stato eseguito attraverso i recapiti telefonici del difensore.

3.2. Col secondo motivo deduce vizio di motivazione per travisamento dei fatti, avendo la Corte d’Appello fondato il giudizio di consapevolezza, in capo al deducente, circa la disponibilità dei macchinari acquistati in leasing sul falso presupposto che vi fosse un cantiere edilizio in attività. Aggiunge che i documenti attestanti la stipulazione del leasing, al pari degli assegni, recavano soltanto un timbro riproducente la sua firma, da lui disconosciuta.

3.3. Col terzo motivo lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva, che indica nell’acquisizione dei documenti attestanti la consegna dei macchinari da parte della ditta venditrice.

4. Il ricorso di V.L. è affidato a due motivi.

4.1. Col primo motivo il ricorrente deduce la nullità della notifica del decreto di citazione in appello, perchè effettuata presso l’abitazione del deducente anzichè nel domicilio eletto presso il difensore.

4.2. Col secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle deposizioni testimoniali e delle dichiarazioni del coimputato M..

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto dal M. è privo di fondamento.

1.1. A confutare l’eccezione di nullità del decreto di irreperibilità basti osservare che l’indirizzo corrispondente alla dichiarata residenza del M. in (OMISSIS), era bensì noto all’ufficio procedente, ma si era rivelato inidoneo in quanto il destinatario della notifica era risultato trasferito a (OMISSIS); senonchè neppure in tale località si era reso possibile il suo rintraccio. Le ricerche dell’imputato sul luogo di lavoro non erano possibili, non risultando lo svolgimento da parte sua di alcun’altra attività lavorativa, diversa da quella che aveva prestato presso la società fallita (la cui operatività non poteva certo essere in atto, stante il fallimento già dichiarato); nè si vede in qual modo sarebbe stato possibile espletare indagini volte ad accertare lo svolgimento di altre attività, in assenza di qualsiasi indicazione al riguardo. Le ricerche nel luogo di nascita avevano dato esito negativo.

Di tutto ciò ha dato esaurientemente conto la motivazione della sentenza di secondo grado; nella quale si è inoltre correttamente osservato che sarebbe stata inutile qualsiasi presa di contatto coi numeri telefonici del difensore (fra l’altro al di fuori di qualsiasi prescrizione normativa in tal senso), atteso che lo stesso difensore aveva già dimostrato di conoscere soltanto l’indirizzo di (OMISSIS).

E’ stato dunque legittimamente emesso il decreto di irreperibilità.

1.2. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto esulante dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p..

Infatti le censure con esso elevate, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

Secondo costante giurisprudenza al giudice di legittimità resta preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; e il riferimento fatto dall’art. 606, comma 1, lett. e) agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità, rimanendovi comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (così Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; v. anche le più recenti Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile, Rv. 245103;

Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). Infatti l’attribuzione alla Corte di Cassazione del potere di rilevare, quale vizio di motivazione, il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata deve intendersi riferita a quella forma di errore revocatorio sul significante, che viene abitualmente definita "travisamento della prova" (e non del fatto): il che si verifica quando l’errore denunciato ricada non già sul significato dell’atto istruttorio (o del documento), ma sulla percezione del testo nel quale si estrinseca il suo contenuto.

Non giova, pertanto, al ricorrente il tentativo di richiamare l’attenzione di questa Corte sulle risultanze documentali, dalla cui disamina egli pretende potersi evincere l’insussistenza di prova circa la riconducibilità alla propria persona degli atti distrattivi o circa la propria consapevolezza di quanto compiuto da altri; non è infatti consentito alla Corte di Cassazione sovrapporre una propria valutazione delle prove a quella già compiuta dal giudice di merito.

1.3. La doglianza relativa alla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale non è deducibile in relazione al disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), atteso che la relativa causa di annullamento si riferisce soltanto alla mancata assunzione di una prova decisiva della quale sia stata chiesta l’ammissione ai sensi dell’art. 495, comma 2; mentre non è esperibile in relazione a un mezzo di prova che sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 c.p.p., e non sia stato, invece, ritenuto necessario ai fini della decisione (Sez. 1, n. 16772 del 15/04/2010, Z., Rv. 246932; Sez. 2, n. 19575 del 21/04/2006, Serino, Rv. 233786).

Anche sotto il profilo della mancata acquisizione in grado di appello, ed anzi a maggior ragione, la censura del ricorrente non ha fondamento: al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 603 c.p.p., comma 2, che è estranea al caso di specie, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in secondo grado ha carattere eccezionale e può essere disposta soltanto nel caso in cui il giudice non si ritenga in grado di decidere allo stato degli atti.

In aggiunta deve considerarsi che il giudice di appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, mentre il rigetto può essere anche motivato per implicito, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità dell’imputato (Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D. S. B., Rv. 247872;

Sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009 – dep. 21/04/2010, Pacini, Rv.

246859); a questa ipotesi può essere equiparata quella in cui della motivazione sia denunciata la non pertinenza alle ragioni poste a base dell’istanza, volta che il giudice di appello abbia comunque mostrato di ritenersi in grado di decidere sulla base degli elementi già acquisiti.

2. Ugualmente infondato è il ricorso dell’imputato V..

2.1. Il primo motivo da lui dedotto si pone, anzi, ai limiti dell’ammissibilità, posto che l’imputato, ammettendo di aver avuto conoscenza effettiva del processo di appello in virtù della notifica del decreto di citazione eseguita presso la sua abitazione, mostra di non aver alcun concreto interesse all’osservanza dell’obbligo di notifica nel domicilio eletto, al di là di una generica aspettativa verso il rispetto delle norme processuali, la cui violazione non ha comunque comportato alcun pregiudizio per il diritto alla difesa, come espressamente riconosciuto nel ricorso.

L’art. 182 c.p.p., comma 1, espressamente esclude la deducibilità delle nullità previste dagli artt. 180 e 182, da parte di chi non abbia interesse all’osservanza della disposizione violata; nè può esservi dubbio in ordine alla riconducibilità al novero delle c.d.

nullità a regime intermedio, di cui all’art. 180 c.p.p., del vizio che inficia la notifica all’imputato V., esulando manifestamente l’ipotesi di "omessa citazione dell’imputato", alla quale soltanto potrebbe ricollegarsi la sanzione di nullità assoluta e insanabile disposta dall’art. 179 c.p.p..

2.2. Il secondo motivo è privo di fondamento. La critica mossa alla Corte d’Appello, di non aver approfondito il vaglio critico delle prove dichiarative rivenienti dalle ammissioni del coimputato M. e dai riscontri forniti dal teste P., mostra di non tener conto del principio giuridico ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità a tenore del quale, quando la sentenza di appello sia confermativa di quella di primo grado in forza dell’adesione alla linea argomentativa di questa, ai fini della congruità della motivazione deve aversi riguardo ad ambedue le sentenze, le quali si integrano vicendevolmente confluendo in un prodotto unico e inscindibile (v. Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145, nonchè le successive conformi Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181).

Orbene, se si guarda alla linea argomentativa svolta nella sentenza di primo grado, è agevole constatare come quel giudice si sia preoccupato di dar conto ampiamente del proprio convincimento circa la veridicità delle dichiarazioni autoaccusatorie ed eteroaccusatorie del M., con l’osservare: che il teste P. aveva confermato di aver visto il V. negli uffici di (OMISSIS), pur senza essere in grado di specificare il ruolo da lui svolto; che, del resto, lo stesso V. non aveva potuto che confermare il proprio coinvolgimento nella società, sia pur ridimensionandolo a un’attività di mera consulenza; che tale ridimensionamento aveva trovato una smentita nelle dichiarazioni del curatore fallimentare, il quale aveva avuto notizia dal proprietario dell’immobile di (OMISSIS) che la consegna dei locali era stata da lui effettuata proprio al V., mentre il M. aveva solo firmato i documenti. Da tutto ciò il Tribunale aveva dedotto di trovarsi di fronte ad un’ipotesi di scuola dei rapporti fra amministratore di fatto (appunto il V.) e amministratore di diritto (il M.).

A tale esauriente motivazione la Corte d’Appello non ha avuto necessità di aggiungere altri argomenti, se non quanto necessario a confutare i motivi di appello insistendo sulla capacità dimostrativa delle prove, riepilogate nel loro oggetto e nel reciproco coordinamento logico.

3. Il rigetto dei ricorsi, che pianamente consegue e quanto fin qui osservato, comporta la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2013


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