Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 06-05-2013, n. 19314

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 17 ottobre 2011 la Corte d’Appello dell’Aquila, in ciò parzialmente riformando la pronuncia assolutoria resa dal Tribunale di Teramo, ha riconosciuto T.D. responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta preferenziale in relazione al fallimento della società S & D s.r.l., della quale era stato amministratore unico e poi liquidatore, e di bancarotta fraudolenta documentale in relazione al fallimento della società D. s.r.l., della quale pure era stato amministratore unico.
1.1. Secondo il giudice di appello il T., attingendo alle casse della società S & D per la liquidazione dei compensi agli amministratori quando già si era manifestato lo stato d’insolvenza, aveva violato la par condicio creditorum preferendo il soddisfacimento di quei crediti – fra l’altro neppure liquidi in mancanza di apposita delibera dell’assemblea sociale – in danno dei dipendenti, dell’Amministrazione finanziaria e dell’Inps.
1.2. Quanto alla bancarotta documentale, le scritture contabili della società D. erano state tenute in modo da impedire la ricostruzione compiuta dei complessi rapporti con la D.s.r.l. e con la S. B. s.n.c, che avevano coinvolto – in modo non del tutto chiarito – la posizione obbligatoria della S & D verso tali società; inoltre non avevano dato compiutamente conto dei rapporti intercorsi fra la D. e la S. s.r.l. (salvo, per quest’ultima, un finanziamento erogato nell’anno 2002, non investito dall’appello del pubblico ministero) e con la ditta individuale CMT di F. I..
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a cinque motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per bancarotta preferenziale.
Deduce in proposito che la Corte territoriale è incorsa in errore, sia nel ritenere – contro le evidenze documentali – che all’epoca del pagamento del compenso agli amministratori già la S & D fosse in dissesto, sia nell’omettere di considerare che il deducente era iscritto a libro paga come dipendente della società e per tale titolo aveva ricevuto i compensi.
2.2. Col secondo motivo eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato di bancarotta preferenziale, per essere decorso il relativo termine dalla data dei pagamenti oggetto d’imputazione.
2.3. Col terzo motivo il ricorrente, lamentando la mancanza di una specifica confutazione degli argomenti portati dalla sentenza assolutoria di primo grado, impugna l’affermazione di responsabilità in ordine al delitto di bancarotta documentale in relazione al fallimento della D. s.r.l.; a tal fine prende singolarmente in eS.e i rapporti con le società D.s.r.l. e S. s.n.c, nonchè con la ditta individuale CMT, per sostenere l’insussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato ascritto.
2.4. Col quarto motivo sottopone a specifica diS.ina il trattamento contabile dei rapporti intercorsi con al società S. s.r.l., sostenendone la piena regolarità, che assume essere anche emersa dalla sentenza di assoluzione conclusiva del giudizio per bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della stessa S. s.r.l..
2.5. Col quinto motivo deduce la violazione del principio ne bis in idem in rapporto alla sentenza di assoluzione testè menzionata.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso non ha fondamento.
1.1. Non sussistono, invero, nella sentenza impugnata i denunciati vizi di motivazione in ordine al delitto di bancarotta preferenziale.
La Corte di merito, quand’anche sia incorsa in errore di scritturazione nell’indicare l’ammontare delle perdite relative agli anni 2001 e 2002, non ha certamente errato nel rilevare l’andamento già all’epoca negativo della gestione, aggravatosi poi nel 2003 e ancora risultante in passivo dai dati provvisori del 2004; non è, dunque, censurabile sul piano della consequenzialità logica la conclusione secondo cui, nell’anno in cui vennero effettuati i pagamenti all’amministratore (cioè allo stesso T.) ed ai suoi collaboratori, la società S & D s.r.l. si trovava in quel grave stato di difficoltà economico-finanziaria che l’avrebbe portata alla messa in liquidazione in data 7 maggio 2004 e alla dichiarazione di fallimento in data (OMISSIS).
1.2. Non giova al ricorrente sostenere che la somma da lui percepita abbia avuto la diversa causale di compenso per attività collaborativa prestata continuativamente a favore della società, all’esterno della qualità di amministratore: il contrario convincimento, raggiunto dal giudice di appello in esito alla diS.ina delle prove raccolte, non può essere rivisto nel giudizio di cassazione in base a una rinnovata valutazione delle risultanze documentali. Al riguardo non sarà inutile ricordare che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica legislativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; e il riferimento ivi contenuto anche agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (così Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; v.
anche le più recenti Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile, Rv.
245103; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).
1.3. Corretta è, dunque, la conclusione raggiunta dal giudice di appello nel ritenere che i pagamenti fatti dal T. a se stesso e ai propri collaboratori, per le prestazioni inerenti all’amministrazione della società, abbiano violato il principio della par condicio creditorum in danno – se non dei dipendenti, non insinuatisi nella procedura fallimentare – quanto meno dell’Amministrazione finanziaria e dell’INPS. 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
2.1. E’ principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità quello per cui il delitto di bancarotta fraudolenta di cui alla L. Fall., art. 216, si perfeziona soltanto con la dichiarazione di fallimento: con la conseguenza per cui la prescrizione non prende a decorrere, se non dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento medesimo. Conseguentemente il termine prescrizionale massimo di sette anni e sei mesi (tenuto conto degli atti interruttivi) previsto dalla legge per il delitto di bancarotta preferenziale, avente la sua scadenza al 2 giugno 2012, non era ancora decorso al momento della pronuncia della sentenza di appello qui impugnata.
2.2. Nondimeno non può essere sottaciuto che l’evento estintivo è maturato successivamente: sicchè, stante l’ammissibilità del ricorso, tempestivamente proposto in base a motivi – almeno in parte – consentiti, è d’obbligo addivenire all’annullamento senza rinvio del capo della sentenza concernente la bancarotta preferenziale secondo il dettame dell’art. 129 c.p.p., comma 1, non ricorrendo, per quanto dianzi osservato, le condizioni per l’applicazione del secondo comma del medesimo articolo. Ne consegue l’eliminazione dell’aumento di pena disposto per tale reato, pari a mesi uno di reclusione.
3. Il terzo motivo infondatamente eccepisce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte riguardante la bancarotta fraudolenta documentale in relazione al fallimento della società D. s.r.l..
3.1. La Corte d’Appello, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal curatore fallimentare, nonchè dai curatori dei fallimenti delle società Di Conf. s.r.l., e S & D s.r.l., ha rilevato che i rapporti fra le tre società in questione – risultate operanti in stretta collaborazione fra loro – erano stati riportati nei conti in modo tale da occultare la realtà sostanziale sottostante alle varie operazioni poste in essere: col risultato di impedire la ricostruzione compiuta dei reali movimenti degli affari. Analoga situazione ha riscontrato a proposito della ricostruzione dei rapporti di debito e credito intercorsi con la società S. B. s.n.c..
3.2. Le obiezioni mosse in argomento nel ricorso non colgono nel segno là dove, richiamandosi alla motivazione addotta dal giudice di primo grado a sostegno dell’assoluzione, negano che vi sia stato l’intento di frodare i creditori: intento che invece la norma incriminatrice non richiede in quanto, come già opportunamente osservato dalla Corte d’Appello, l’elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta documentale è costituito dal dolo generico, ad integrare il quale è sufficiente la consapevolezza che la tenuta irregolare della contabilità impedirà, o potrà impedire, la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv. 247444; Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008 – dep. 13/01/2009, Vianello, Rv. 242550). Ugualmente fuori luogo è il richiamo alla deposizione del curatore finalizzato a valorizzare l’affermazione di costui, secondo la quale una ricostruzione del patrimonio si è resa possibile, sia pur con difficoltà; basti, in proposito, richiamarsi al principio giurisprudenziale a tenore del quale sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965; Sez. 5, n. 24333 del 18/05/2005, Mattia, Rv. 232212), o attraverso il ricorso a fonti documentali esterne, rispetto alla contabilità dell’impresa fallita (Sez. 5, n. 10423 del 22/05/2000, Piana, Rv. 218383; Sez. 5, n. 10920 del 28/10/1997, Boccia, Rv. 209209). Non giova, infine, al ricorrente richiamare gli argomenti spesi nella sentenza di primo grado per motivare l’assoluzione dall’imputazione di bancarotta patrimoniale, prescindendo dalla condotta di distrazione la punibilità a titolo di bancarotta documentale.
4. Ugualmente infondato è il quarto motivo.
4.1, La sentenza di assoluzione del T. dalle imputazioni di bancarotta fraudolenta distrattiva e ricorso abusivo al credito, in relazione al fallimento della società S. s.r.l., non può riverberarsi in alcun modo sulla sua responsabilità per bancarotta documentale quale amministratore della D. s.r.l.: sia per la diversità dei fatti ivi contestati (quanto alla condotta ascritta, alla procedura concorsuale e al bene giuridico assertivamente leso);
sia per la riscontrata difformità – rimarcata nella sentenza qui impugnata – delle risultanze contabili della D. s.r.l. rispetto a quelle della S. s.r.l., su cui si è basato il giudizio assolutorio del Tribunale in quella distinta vicenda processuale.
4.2. Anche a confutazione del motivo di ricorso in eS.e va ribadito che non rileva l’assenza di un intento frodatorio ai danni dei creditori, nè la possibilità di ricostruire i movimenti degli affari attraverso l’utilizzo di fonti documentali esterne come, nel caso presente, il controllo incrociato con la contabilità della S. s.r.l..
4.3. Inammissibile, poi, è la censura con cui il ricorrente si ripromette di dimostrare l’insussistenza del reato attraverso la prospettata rivisitazione delle risultanze contabili ed, in ispecie, del partitario della D. s.r.l. relativo agli anni 2002 e 2003.
Valga qui ribadire come non sia consentito, nel giudizio di legittimità, sollecitare il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali; infatti l’attribuzione alla Corte di Cassazione del potere di rilevare, quale vizio di motivazione, il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata deve intendersi riferita soltanto a quella forma di errore revocatorio sul significante, che viene abitualmente definita "traviS.ento della prova" (e non del fatto): il che si verifica quando l’errore denunciato ricada non già sul significato dell’atto istruttorio (o del documento), ma sulla percezione del testo nel quale si estrinseca il suo contenuto.
5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
5.1. Già dianzi (par. 4.1.) si è avuto modo di rimarcare come la sentenza del Tribunale di Teramo in data 19 ottobre 2010, sulla quale ambisce a fondarsi l’eccezione di inosservanza del principio ne bis in idem, attenga a fatti totalmente diversi rispetto a quelli che, nel presente processo, hanno fondato il giudizio di responsabilità penale ex L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2). Ciò basterebbe a dar conto della totale mancanza dei presupposti di applicabilità dell’art. 649 c.p.p., anche senza considerare che la giurisprudenza di questa Corte Suprema si è già ripetutamente espressa sulla portata di detta norma, con l’affermare che ai fini dell’applicazione del principio del ne bis in idem, per medesimo fatto deve intendersi identità degli elementi costitutivi del reato e cioè condotta, evento e nesso di causalità, considerati non solo nella loro dimensione storico-naturalistica, ma anche in quella giuridica, potendo una medesima condotta violare contemporaneamente diverse disposizioni di legge (Sez. 5, n. 16703 del 11/12/2008 – dep. 20/04/2009, Palanza, Rv. 243330; Sez. 1, n. 19787 del 21/04/2006, Marchesini, Rv. 234176; Sez. 4, n. 15578 del 20/02/2006, Mele, Rv.
233959).
6. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere parzialmente annullata senza rinvio nella parte concernente il reato – estinto per prescrizione – di bancarotta preferenziale, dovendosi pervenire al rigetto del ricorso in ogni altra parte.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta preferenziale perchè estinto per prescrizione ed elimina il relativo aumento di pena per continuazione di mesi uno di reclusione; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2013

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