Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 12-04-2013, n. 17033

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Benevento, Sezione distaccata di Guardia Sanframondi, giudice d’appello, ha confermato la sentenza emessa in data 19 febbraio 2010 dal Giudice di pace di Solopaca, appellata da C.C., dichiarato responsabile del delitto di diffamazione continuata, commesso il (OMISSIS) e nei giorni successivi, sia nel corso di un’assemblea della "Cantina sociale di Solopaca", sia con successive comunicazioni.

Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizio di motivazione sulla responsabilità, mancata assunzione di prova nel giudizio di appello e violazione di legge, per esser stato ritenuto il delitto di diffamazione, e non quello di ingiuria aggravata, mentre il fatto era avvenuto in presenza della persona offesa, oltre che di altre persone.

Secondo il ricorrente il procedimento sarebbe stato di competenza del Tribunale.

Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato solo quanto al motivo concernente la qualificazione giuridica del fatto, o meglio di una parte del fatto in contestazione, mentre le restanti censure sono inammissibili perchè generiche e tendenti a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio, rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia dal Giudice di pace che dal Tribunale.

Nel caso in esame, difatti, entrambe le pronunce hanno ineccepibilmente osservato che la prova del fatto ascritto all’imputato riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità è adeguatamente e sufficientemente argomentata, e trova conferme in plurime dichiarazioni testimoniali, mentre il ricorso, nel ripercorrere le risultanze del dibattimento, ne propone una rilettura ed interpretazione alternativa la cui valutazione non rientra nei poteri di questa Corte, che già da tempo ha chiarito di non poter procedere ad una "rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, Misiano; Sez. n. n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, Clarke, rv. 203428).

Del tutto generica è la doglianza sulla mancata integrazione probatoria, oggetto peraltro di generica doglianza in sede di appello laddove non dimostrava la decisività dell’integrazione probatoria ma la possibilità che una rinnovazione potesse condurre a diversa conclusione; la risposta del giudice d’appello appare sufficiente in relazione alla genericità della prospettazione.

Come sopra rilevato, è invece fondata la censura relativa alla qualificazione giuridica del fatto ascritto all’imputato.

Le offese contestate nell’imputazione come verificatesi in data (OMISSIS) appaiono essere state proferite nel corso di un’assemblea presieduta proprio dalla persona al cui comportamento si riferivano, ed alla presenza di tutti gli astanti.

Elemento distintivo della ingiuria dalla diffamazione è quello della presenza della persona offesa, quando il responsabile le rivolge le proprie manifestazioni di disistima e disprezzo, in ipotesi anche in presenza di più persone, così che alla diretta comunicazione verso il destinatario si assomma quella diretta nei confronti degli astanti, e ciò integra l’aggravante; la diffamazione invece prescinde necessariamente dalla presenza della p.o., consistendo il comportamento incriminato in una comunicazione rivolta a più persone che si svolge al di fuori del controllo della p.l., che si trova sminuita nella propria onorabilità, in una condizione di impossibilità di immediato contraddittorio.

Pertanto, il fatto avvenuto il (OMISSIS), così come accertato dai giudici del merito, deve essere più correttamente qualificato come ingiuria aggravata, mentre le restanti offese, diffuse in epoca successiva sono state correttamente qualificate ai sensi dell’art. 595 c.p..

Peraltro, il rilevato errore dei giudici del merito non comporta conseguenza alcuna in termini di trattamento sanzionatorio, essendo entrambi i delitti, contestati ab origine in continuazione fra loro, puniti, in quanto di competenza del Giudice di pace, con la pena della multa da Euro 258,00 ad Euro 2.582,00 o con la pena della permanenza domiciliare da sei a trenta giorni, ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da dieci giorni a tre mesi, ai sensi di quanto disposto dal D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 52, comma 2, lett. a).

Essendo stata stabilita la pena base nella multa per il delitto di diffamazione, con aumento ex art. 81 cpv. c.p., relativamente a quello di ingiuria, la pena in concreto applicata non può essere definita, per specie e misura, illegale.

Di conseguenza, il ricorso del prevenuto deve essere rigettato, pur dopo esser stato riqualificato l’episodio del (OMISSIS) come ingiuria aggravata, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte qualificato l’episodio del (OMISSIS) come violazione dell’art. 594 c.p., comma 4, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile liquidate in complessivi Euro 2000,00=, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2013


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