Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 05-04-2013, n. 15828

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 03/02/2011, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva condannato G. E. e G.F.V. alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, in relazione, quanto al primo, ai reati di cui all’art. 582 c.p., art. 585 c.p., comma 2, e art. 393 c.p., comma 2 e, quanto al secondo, al reato di cui all’art. 393 c.p., comma 2.

2. La Corte territoriale, richiamate le motivazioni del giudice di prime cure, ha rilevato che l’acceso contenzioso civile tra le parti evidenziava il contesto nel quale erano maturati i fatti in questione, in relazione ai quali le chiare ed articolate dichiarazioni delle persone offese avevano trovato riscontro sia nella certificazione medica attestante le lesioni riportate da C.M., sia nei ripetuti accessi delle Forze dell’Ordine, che avevano confermato l’avvenuta recisione delle piante sul terreno in precedenza coltivato dal M. e le altre circostanze denunciate dalle persone offese.

Proprio sulla scorta delle dichiarazioni delle persone offese e del tenore minaccioso delle frasi pronunciate da G.F. V. è stata fondata la conclusione della partecipazione di quest’ultimo al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni posto in essere dal padre, G.E..

Quanto al reato di lesioni attribuito a quest’ultimo, la Corte ha ritenuto sussistente l’aggravante contestata per la riconducibilità dei sassi adoperati alla nozione di arma.

3. Nell’interesse degli imputati è stato proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

3.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ed e), mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonchè inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

In primo luogo, i ricorrenti censurano il fatto che la Corte abbia ritenuto la sussistenza dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, senza che le dichiarazioni delle persone offese, protagoniste di un "acceso contenzioso civile" con gli imputati, fossero, sul punto specifico delle minacce, confortate dagli atti di causa o da quanto emerso in sede di istruttoria dibattimentale.

In secondo luogo, con riguardo alle lesioni, il ricorso rileva che le dichiarazioni della persona offesa, quanto alla dinamica e al danno sofferto, sono prive di riscontri tratti dall’istruttoria dibattimentale. Peraltro la motivazione sia del giudice di prime cure che della Corte territoriale non approfondisce il profilo dell’elemento soggettivo del reato contestato.

3.2. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, dal momento che i riferiti danni alle colture, i passaggi di motozappe e, in genere, quanto rilevato dalle Forze dell’Ordine, avrebbe al più potuto condurre alla configurabilità del delitto di cui all’art. 392 c.p..

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Va premesso che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguenza che sono inammissibili in sede di legittimità le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del materiale probatorio (di recente, v. Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 19/12/2012, Consorte). Ciò posto, deve ribadirsi che le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214). In ogni caso, la verifica attraverso indici esterni delle dichiarazioni della persona offesa non si traduce nell’individuazione di prove dotate di autonoma efficacia dimostrativa, dal momento che ciò comporterebbe la vanificazione della rilevanza probatoria delle dichiarazioni della prima.

Alla stregua di tali premesse, appaiono manifestamente infondate le censure articolate dai ricorrenti, in ordine all’assenza di prove dirette dei fatti contestati, diverse dalle dichiarazioni delle persone offese.

2. Il medesimo vizio di fondo caratterizza il secondo motivo di ricorso, che, valorizzando l’esistenza del riscontro oggettivo di una violenza esercitata sulle cose (e comunque non considerando la certificazione medica attestante le lesioni della C.), pretende di giungere ad una diversa qualificazione dei fatti.

Al contrario, la conferma della logicità dell’apparato motivazionale relativo alle dichiarazioni delle persone offese, le quali hanno riferito di minacce e delle lesioni, comporta la correttezza della sussunzione dei fatti nel paradigma dell’art. 393 c.p..

3. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 1.000,00. Del pari, i ricorrenti vanno condannati in solido alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che, in relazione all’attività svolta, vengono liquidate in Euro 2.300,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè al rimborso in solido delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in Euro 2.300,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2013


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