Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 26-07-2012, n. 13325

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Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 2 marzo 2009 presso la Corte d’appello di Perugia, A.D. proponeva nei confronti del Ministero della giustizia domanda di equa riparazione assumendo di avere subito un danno non patrimoniale per la irragionevole durata di un giudizio civile iniziato nel 1992 dinnanzi al Tribunale di Roma.

L’adita Corte d’appello ha dichiarato la domanda inammissibile perchè proposta dopo il decorso del termine di decadenza di sei mesi stabilito dalla L. n. 89 del 2001, art. 4; termine che doveva essere identificato con riferimento alla sentenza della Corte d’appello, depositata il 17 luglio 2007, sicchè il ricorso, depositato il 2 marzo 2009, doveva ritenersi tardivo.

Per la cassazione di questo decreto A.D. ha proposto ricorso sulla base di due motivi; l’intimata Amministrazione ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo del ricorso la ricorrente denuncia nullità del decreto impugnato per contrasto di giudicati. La ricorrente rileva che del giudizio presupposto era stato parte anche R.L., il quale aveva autonomamente proposto domanda di equa riparazione ottenendo un decreto a sè favorevole.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e mancata applicazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, della L. n. 89 del 2001, art. 2 degli artt. 1223, 1226, 2056 cod. civ. e vizio di motivazione.

La ricorrente sostiene che la sentenza della Corte d’appello, depositata il 17 luglio 2007, era divenuta definitiva un anno e 46 giorni dopo tale data, sicchè il ricorso, depositato il 2 marzo 2009, era tempestivo, scadendo il termine semestrale il 15 aprile 2009.

Il primo motivo di ricorso è infondato, non potendosi configurare, nella situazione rappresentata dalla ricorrente, un contrasto di giudicati. La circostanza che del giudizio presupposto fossero state parti altri soggetti e che la domanda di equa riparazione proposta da una di queste sia stata esaminata dalla Corte d’appello nel merito, non appare idonea a determinare un vincolo nel senso della ammissibilità della domanda di equa riparazione. Del resto, la ricorrente, nel denunciare il contrasto di giudicati, non sembra cogliere la effettiva portata della decisione qui impugnata che ha dichiarato la inammissibilità della domanda di equa riparazione perchè tardiva, laddove la precedente decisione aveva deciso nel merito sulla domanda riferita al medesimo giudizio presupposto.

Tuttavia, la ricorrente neanche deduce che il ricorso introduttivo del giudizio nel quale è intervenuta l’invocata pronuncia fosse stato introdotto con atto notificato lo stesso giorno in cui è stato notificato l’atto introduttivo del presente giudizio.

Il secondo motivo di ricorso è invece fondato.

La sentenza della Corte d’appello, depositata il 17 luglio 2007, è divenuta definitiva decorso un anno e 46 giorni da tale data, e cioè il 5 ottobre 2008, sicchè alla data di deposito del ricorso per equa riparazione – 2 marzo 2009 – il termine di sei mesi di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 non era ancora decorso.

Il ricorso va dunque accolto, con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. In particolare – determinata in quindici anni e quattro mesi la durata complessiva del giudizio presupposto, promosso con citazione del 4 marzo 1992 e conclusosi con sentenza della Corte d’appello in data 17 luglio 2007 – il periodo di durata non ragionevole va fissato in dieci anni, previa detrazione dalla durata complessiva del termine ragionevole di tre anni per il giudizio di primo grado e di due anni per il giudizio di appello, alla stregua del criterio applicato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza di questa Corte.

Il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito in detto giudizio va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, "a condizione che le decisioni pertinenti" siano "coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato", e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. n. 16086 del 2009; Cass. n. 819 del 2010); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere alla ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di dieci anni, l’indennizzo di Euro 9.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011). Le stesse vanno poi distratte in favore dell’Avvocato Nicola Stanisela, dichiaratosene antistatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo;

cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 9.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda; condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge. Dispone la distrazione delle spese di entrambi i gradi in favore dell’Avvocato Nicola Staniscia, dichiaratosene antistatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012
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