Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 21-03-2013, n. 13293

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 11/11/2010, la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha concesso ad D.R.A., S.G. e V.N. M. l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, ritenuta in dispositivo prevalente, ma in motivazione equivalente, ai sensi dell’art. 69 c.p., comma 4, unitamente alle restanti già concesse attenuanti, alle contestate aggravanti, confermando nel resto la decisione impugnata.

2. La Corte territoriale, dopo avere riportato per esteso la motivazione del giudice di prime cure in punto di responsabilità degli imputati, ha condiviso la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dalla teste P. nell’immediatezza dei fatti, in sede di denuncia e poi di riconoscimento degli autori del fatto, non solo perchè il ricordo era in quel momento più vivo e non intaccato da possibili successivi "perturbamenti" di varia natura, ma anche in forza della linearità e coerenza del primo racconto. Essa ha del pari confermato il giudizio sulla configurabilità del tentativo, tenuto conto, sul piano soggettivo, degli strumenti sequestrati nell’autovettura degli imputati (guanti in lattice, due paia di forbici, un cacciavite a taglio, oltre a monili d’oro del quale non era stato giustificato il possesso) e, sul piano oggettivo, della direzione univoca ed idonea alla perpetrazione di un furto della condotta consistita nel forzare il portellone e lo sportello anteriore lato guida della autovettura della P.. La Corte ha poi escluso l’esimente della desistenza volontaria, in quanto essa era stata determinata da fattori esterni, ossia dalla resistenza dei sistemi di chiusura del veicolo.

Sul piano del trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata ha invece accolto il gravame, quanto al riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno che ha posto su un piano di equivalenza rispetto alla contestata aggravante e, con riferimento agli odierni ricorrenti, alla recidiva reiterata specifica infraquinquennale, atteso il divieto di prevalenza stabilito dall’art. 69 c.p., comma 4.

Ad ogni modo, la Corte d’Appello ha confermato la pena irrogata, dal momento che gli imputati: a) si erano resi responsabili del fatto mentre erano tutti sottoposti a misure di contenimento della pericolosità; b) erano tutti gravati da precedenti.

3. Nell’interesse dello S. e del V. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a due articolati motivi.

3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), insufficienza della motivazione rispetto al raggiungimento della prova del fatto contestato.

In particolare, si censura il fatto che la Corte non abbia considerato l’inaffidabilità delle dichiarazioni rese dalla parte lesa, la quale, dopo avere sostenuto di poter riconoscere gli imputati, aveva, in sede di giudizio abbreviato, posto in discussione le proprie affermazioni, asserendo di avere solo potuto intravedere alcuni uomini nei pressi del proprio veicolo, ma ad una distanza tale da non essere in alcun modo in grado non solo di riconoscerli, ma anche di definire con esattezza cosa stessero facendo.

3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l’erronea applicazione dell’art. 56 c.p., dal momento che gli strumenti che erano stati rinvenuti nella disponibilità dei ricorrenti erano inidonei ad operare la manomissione di un’autovettura e la fuga. Ne discendeva, secondo un giudizio ex post, l’assenza di offensività del fatto ai sensi dell’art. 49 c.p. e quindi la inconfigurabilità del delitto di cui all’art. 624 c.p., anche nella forma del delitto tentato.

4. Nell’interesse del D.R. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 530 c.p.p., comma 2, e con riferimento agli artt. 56, 624 e 625 c.p..

Il ricorrente torna a sottolineare che la P. aveva ritrattato, seppur parzialmente, le precedenti dichiarazioni sia con riguardo all’identificazione degli autori del fatto, sia con riguardo alla condotta tenuta, con la conseguenza che il supporto probatorio non poteva definirsi lineare e rassicurante quanto all’affermazione di responsabilità.

4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 530 c.p.p., comma 2, e con riferimento agli artt. 56, 624 e 625 c.p., per non avere la Corte ritenuto la sussistenza dell’esimente della desistenza volontaria.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione alla eccessiva quantificazione della pena, e difetto di motivazione in relazione al suo computo.

La Corte territoriale non aveva specificato da quale base si era partiti nel computo della pena e nell’applicazione delle riduzioni alla luce della riconosciuta ipotesi del tentativo, della circostanza attenuante di cui all’art. 62 bis c.p., e della diminuente del rito.

La Corte, inoltre, nonostante il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, aveva confermato la pena precedentemente irrogata, tenuto conto dell’inconferenza dell’intervenuto riconoscimento.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse dello S. e del V. e il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del D.R. possono essere affrontati congiuntamente.

Sebbene quest’ultimo prospetti formalmente una inosservanza o erronea applicazione di legge penale, in realtà si traduce anch’esso in una censura sulla motivazione della Corte territoriale in ordine alla affermazione di responsabilità. Le censure sono inammissibili per la loro manifesta infondatezza.

Al riguardo, va ribadito che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguenza che sono inammissibili in sede di legittimità le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del materiale probatorio (di recente, v. Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 19/12/2012, Consorte). Ciò posto, non appare manifestamente illogica la valutazione critica operata dal giudice di merito, che ha valorizzato, per la loro precisione e coerenza nonchè per la maggiore vicinanza temporale ai fatti, le prime dichiarazioni rese dalla persona offesa, talchè le critiche dei ricorrenti si traducono nella pretesa ad una rivisitazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità.

2. Il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse dello S. e del V. è manifestamente infondato.

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Sez. 5, n. 26876 del 28/04/2004, Marchesini, Rv.

229872), in tema di reato impossibile (art. 49 c.p., comma 2), l’inidoneità dell’azione deve essere assoluta nel senso che la condotta dell’agente, per inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato, indipendentemente da cause estranee o estrinseche, deve essere priva di determinazione causale nella produzione dell’evento.

La ricostruzione della Corte territoriale è fondata sulle originarie dichiarazioni della P., la quale aveva riferito di avere visto due uomini nei pressi della propria autovettura: uno cercava di aprire con le mani il cofano posteriore, l’altro lo sportello anteriore del lato guida. D’altra parte, la resistenza dei sistemi di chiusura non era scontata, in quanto il veicolo era stato parcheggiato in aperta campagna, in luogo isolato e non frequentato e, pertanto, come rilevato a pag. 5 della sentenza di primo grado, espressamente richiamata dalla decisione impugnata, l’autovettura ben avrebbe potuto essere aperta.

Ne discende che l’azione non si presentava affatto come inidonea a ledere il bene giuridico protetto.

3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse del D.R..

Infatti, la desistenza volontaria, ex art. 56 c.p., comma 3, richiede che il soggetto attivo arresti, per volontaria iniziativa, la propria condotta delittuosa prima del completamento dell’azione esecutiva, impedendo l’evento. Sussiste pertanto il tentativo di furto – e non l’ipotesi della desistenza volontaria – nel caso in cui la condotta si sia arrestata per cause indipendenti dalla determinazione dell’agente (Sez. 5, n. 36919 del 11/07/2008, De Valeri, Rv. 241595;

Sez. 5, n. 17688, del 03/12/2004, Dominaci, Rv. 232124, secondo cui non sussistono gli estremi della desistenza volontaria, di cui all’art. 56 c.p., comma 3, allorchè la rinuncia a portare a termine il furto di un’autovettura sia determinato dalla resistenza opposta dal bloccasterzo, in quanto, in tal caso, la desistenza non è volontaria ma è determinata da fattori esterni), come è accaduto nella specie, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, i quali, per quanto detto supra, hanno individuato proprio nella resistenza dei sistemi di chiusura dell’autovettura la ragione delle decisione dei ricorrenti di allontanarsi.

4. Del pari inammissibile è il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse del D.R., dal momento che la Corte territoriale ha fornito ampia ed adeguata motivazione, sopra ricordata, per giustificare la determinazione della pena irrogata. Rispetto a tali indicazioni argomentative le censure del ricorrente appaiono connotate da assoluta genericità.

5. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte appare equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2013


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