Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 21-03-2013, n. 13292

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 26/10/2010, il Tribunale di Pescara ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Pescara, il quale aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia P.F., in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 595 e 612 c.p., perchè, conversando con più persone e facendo riferimento alla persona di C. F., appuntato scelto della Guardia di Finanza, pronunciava in due occasioni, il (OMISSIS), rispettivamente le seguenti frasi: "Io so tutto di C., so dove abita con la famiglia e alla fine del processo lo ammazzo con le mie mani, gli strappo la giugulare ora non può più approfittare di me, se lo prendo gli faccio male" e "Io so tutto di C., so dove abita con la famiglia e lo vado a prendere e lo ammazzo con le mie mani a lui alla moglie e ai figli, tanto non ho nulla da perdere, mi hanno massacrato, io ce l’ho con la Finanza".

2. Il Tribunale, dopo avere premesso che i testi L.S.L. e B.M., militari della Guardia di Finanza, avevano confermato di avere sentito l’imputato profferire le frasi sopra riportate, ha rilevato che il C. aveva dichiarato di avere letto, per ragioni di servizio, le relazioni dei colleghi che riportavano tali frasi.

Nella sentenza impugnata si è aggiunto che, per la configurabilità del delitto di minaccia non occorre che le espressioni siano pronunciate in presenza della persona offesa, essendo solo necessario che quest’ultima ne sia venuta a conoscenza in un contesto per il quale si ritenga che l’agente abbia perseguito l’intento di intimidire. Nel caso di specie, il fatto che i destinatari delle dichiarazioni del P. fossero colleghi del C., dimostrava la consapevolezza da parte dell’imputato che le stesse sarebbero state riferite anche al soggetto offeso.

Il Tribunale, infine, ha rilevato che l’imputato aveva definito il C. come soggetto che, verosimilmente nell’esercizio delle funzioni pubbliche, aveva agito per "approfittare" di lui e lo aveva "massacrato": in tal modo il P. ne aveva leso il decoro, poichè lo aveva presentato come persona scorretta nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali.

3. Nell’interesse del P. è stato proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), manifesta illogicità della motivazione, per la mancata assoluzione, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., commi 1 e 2, con riferimento al delitto di cui all’art. 595 c.p..

In particolare, si rileva che nella condotta dell’imputato non erano rinvenibili espressioni, ancorchè pronunciate come mezzi indiretti o subdole allusioni, idonee a ledere o porre in pericolo la reputazione della persona offesa.

3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), manifesta illogicità della motivazione, per la mancata assoluzione, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., commi 1 e 2, con riferimento al delitto di cui all’art. 612 c.p., per avere il giudice di merito totalmente omesso di motivare in ordine all’evento della diminuzione della libertà psichica del destinatario, necessario per la configurabilità dell’illecito contestato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Con riguardo al primo motivo, il Tribunale ha, con motivazione non manifestamente illogica, correlato la lesione della reputazione del C. alle espressioni che presentavano quest’ultimo come persona scorretta nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali. Rispetto a tale ricostruzione del carattere offensivo delle frasi pronunciate, il ricorrente formula critiche di assoluta genericità.

3. Infondato è anche il secondo motivo. Secondo l’orientamento più volte espresso da questa Corte, infatti, il reato di minaccia è un reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, bastando che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale; la valutazione dell’idoneità della minaccia a realizzare tale finalità va fatta avendo di mira un criterio di medialità che rispecchi le reazioni dell’uomo comune (Sez. 5, n 8264 del 29/05/1992, Mascia, Rv. 191433 e, più di recente, Sez. 5, n. 1141 del 30/11/2012, D’Antona, in motivazione).

4. Al rigetto dell’impugnazione, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2013
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