Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 21-03-2013, n. 13291

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 11/11/2010, la Corte d’appello di Potenza ha confermato la sentenza del Tribunale di Matera del 20/04/2009, che aveva affermato la responsabilità di D.C.V. in relazione ai reati di cui al capo a), riqualificato in quello punito dagli artt. 582, 583, e 585 c.p., commesso in danno di T. F., e di cui al capo c), per il danneggiamento volontario del ciclomotore della vittima, e aveva condannato il primo alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

2. La Corte territoriale ha sottolineato che la ricostruzione compiuta nella sentenza impugnata era fondata sulle dichiarazioni della parte offesa, riscontrate dalle altre risultanze probatorie acquisite in giudizio. Al riguardo, pur muovendo dalla premessa che le affermazioni della vittima devono essere valutate con cautela, la sentenza impugnata ha rilevato: a) che gli accadimenti trovavano spiegazione nel rancore che il D.C. nutriva nei confronti della famiglia della vittima, un fratello del quale era stato condannato per l’omicidio del figlio del primo; b) che tale dinamica doveva ritenersi ancora più radicata nella subcultura delinquenziale del D.C., che per anni era stato un esponente di spicco della criminalità materana; c) che solo pochi mesi prima del fatto il D. C., in una missiva indirizzata anche agli organi giudiziari e di polizia, nel lamentare che uno dei coimputati dell’omicidio del figlio circolasse liberamente in (OMISSIS), aveva prospettato proprie "reazioni allo stato imprevedibili e conseguenze nefaste"; d) che in senso contrario non deponeva la difficoltà del consulente del P.M. di ricostruire la dinamica del sinistro attraverso i segni materiali ricostruiti ex post, in quanto le caratteristiche del luogo teatro del sinistro (ampio incrocio semaforizzato tra due strade rettilinee e pianeggianti, con semicarreggiate divise in corsie) rendevano piuttosto improbabile un investimento involontario della vittima, ferma con il suo ciclomotore al semaforo nel senso opposto di marcia;

e) che, del resto, il D.C. successivamente aveva poi prelevato un coltello con il quale era riuscito a colpire solo di striscio il giubbotto indossato dalla vittima.

La Corte territoriale ha aggiunto che doveva pertanto escludersi la sussistenza degli estremi della legittima difesa o dell’eccesso colposo, in quanto era stato il D.C. a cercare intenzionalmente il contatto fisico e a creare quindi la situazione di pericolo venutasi a creare. Del resto, era impensabile che fosse stata la vittima, con un’azione autolesionistica, a scagliarsi con il suo ciclomotore contro l’autovettura condotta dal D.C.. Sul piano sanzionatorio, la sentenza impugnata ha rilevato: a) che il diniego delle circostanze attenuanti generiche era correttamente motivato in considerazione della personalità dell’imputato, attinto da numerosi, gravi e specifici precedenti, mentre la pregressa assunzione della qualità di collaboratore di giustizia non assumeva rilievo, in quanto concerneva altri processi; b) che la pena irrogata era proporzionata alla gravità del fatto e alla personalità dell’imputato.

3. Nell’interesse del D.C. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), erronea applicazione della legge penale, carenza ed illogicità della motivazione e travisamento del fatto, in relazione all’art. 194 c.p.p., in quanto: a) dell’imponente coltello a serramanico impugnato, secondo la vittima dal D.C., non era stata trovata traccia, giacchè l’arma sequestrata nell’immediatezza era un piccolissimo coltello di circa sei centimetri; b) la sentenza di primo grado, recepita da quella impugnata quanto alla ricostruzione del fatto, dava atto che la medesima vittima aveva dichiarato di essersi prontamente rialzata dopo l’investimento, colpendo con un calcio il D.C.; c) il consulente del P.M. non era stato in grado di confermare la dinamica dell’incidente riferita dalla vittima.

Inoltre, la sentenza aveva trascurato di considerare il fatto che la persona offesa e suo fratello erano stati imputati per l’omicidio del figlio del D.C. e che il fratello della persona offesa aveva sparato allo stesso D.C..

3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ed e), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonchè manifesta illogicità e carenza della motivazione, in riferimento all’art. 62 bis c.p., dal momento che la Corte territoriale, confondendo le circostanze attenuanti generiche con quelle speciali previste per la collaborazione, aveva escluso le prime, erroneamente assumendo che la collaborazione riguardava altri processi e, in tal modo, aveva omesso di considerare il radicale cambiamento di vita di quest’ultimo e i plurimi benefici che gli erano stati concessi per questa ragione.

3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in riferimento agli artt. 157 e 159 c.p., dal momento che i reati dovevano ritenersi estinti per decorso del termine massimo di prescrizione, alla data del 04/11/2010.

4. In data 26/09/2011 sono stati depositati motivi aggiunti, con i quali si approfondisce la censura relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Con riguardo al primo motivo, occorre ribadire che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguenza che sono inammissibili in sede di legittimità le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del materiale probatorio (di recente, v. Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 19/12/2012, Consorte).

Con riferimento all’attendibilità della persona offesa, la Corte territoriale ha espresso una valutazione ispirata al principio di cautela, in ragione dei rapporti di rancore esistenti tra il D. C. e la famiglia del T.. E proprio in considerazione di questo profilo ha condotto un esame delle altre, convergenti risultanze probatorie (il movente del D.C., confermato dalla missiva da lui indirizzata anche ad organi giudiziari e di polizia, le caratteristiche del luogo teatro del sinistro).

Nell’unitaria ponderazione di tali elementi, i profili fattuali evidenziati dal ricorrente non sono idonei a mostrare una manifesta illogicità della motivazione o un travisamento della prova. Ed invero, quanto alle caratteristiche del coltello usato dal D. C., il fatto che quest’ultimo abbia – come risulta dall’allegato verbale di sequestro – spontaneamente consegnato un’arma diversa da quella descritta dalla persona offesa è elemento che la Corte territoriale ha considerato, sia pure al fine di escludere l’insussistenza della contravvenzione contestata (pag. 7). Escluso il travisamento della prova, deve aggiungersi che, anche a voler ammettere che l’arma consegnata sia quella usata in concreto – ciò che non emerge con sicurezza dalle produzioni allegate al ricorso -, comunque non appare viziata la logicità della motivazione che non ha tratto da tale errore di percezione della persona offesa un elemento idoneo a inficiare il quadro probatorio complessivo sopra descritto.

L’altro profilo segnalato dal ricorso, ossia l’impossibilità di una ricostruzione tecnica a posteriori della dinamica del sinistro, del pari, non scalfisce l’intrinseca logicità della motivazione, che affida, nel ragionevole esercizio del principio del libero convincimento del giudice, ad altri elementi le proprie conclusioni.

3. Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso, sviluppato nella memoria depositata in data 26/09/2011.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737), la concessione o non delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Le argomentazioni della Corte territoriale hanno riguardo alla personalità del prevenuto, a carico del quale esistono numerosi, gravi e specifici precedenti penali. E tali considerazioni appaiono idonee a sostenere la soluzione raggiunta.

Nella sentenza impugnata si sottolinea, peraltro, l’irrilevanza della pregressa assunzione della qualità di collaboratore di giustizia, concernente altri processi: tanto vale ad escludere un’omessa valutazione del percorso collaborativo del ricorrente, che, tuttavia, la Corte territoriale ha ponderato, con motivazione non manifestamente illogica, unitamente alle vicende pregresse e al concreto episodio delittuoso esaminato.

4. Con riferimento al terzo motivo di ricorso, deve ribadirsi il principio affermato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 23428 del 22 marzo 2005, Bracale, Rv 231164; di recente, v. Sez. 3, n. 42839 del 08/10/2009, Imperato Rv. 244999), secondo cui l’inammissibilità del ricorso preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., l’estinzione del reato per prescrizione pur maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non dedotta nè rilevata da quel giudice.

Inoltre l’inammissibilità del presente ricorso, implicando il mancato perfezionamento del rapporto processuale, cristallizza in via definitiva la sentenza impugnata, precludendo in radice la possibilità di rilevare di ufficio l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta successivamente alla pronuncia in grado di appello (cfr., tra le altre, Sez. U, n. 21 dell’11/11/1994, Cresci, Rv. 199903; Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011, Morrà, Rv. 250328, in motivazione).

5. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2013


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