Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-07-2012, n. 13300

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

T.G. nel 2009 aveva preso parte alla competizione elettorale per il Parlamento europeo, risultando primo dei non eletti; il 17 aprile 2010 era stato eletto sindaco di (OMISSIS); a seguito dell’approvazione in data 23 giugno 2010, da parte degli Stati membri dell’Unione Europea, di un Protocollo del Trattato di Lisbona, il numero dei rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo era passato da settantadue a settantatre; il Parlamento italiano aveva ratificato tale Protocollo con L. 14 gennaio 2011, n. 2 e l’Ufficio elettorale nazionale centrale presso la Corte di cassazione lo aveva proclamato eletto con provvedimento del 17 febbraio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 18 febbraio 2011.

La Corte d’appello di Roma, con ordinanza 28 febbraio – 8 marzo 2012, in accoglimento del ricorso proposto da P.P. e F.A. il 3 gennaio 2012, ha dichiarato il T. decaduto dalla carica di membro del Parlamento europeo e lo ha condannato alle spese processuali, in quanto incompatibile con la carica di sindaco di (OMISSIS).

La Corte ha respinto l’eccezione di irricevibilità o inammissibilità del ricorso depositato da P. e F. il 3 gennaio 2012, cioè – ad avviso del T. – oltre il termine di decadenza di sessanta o trenta giorni fissato, rispettivamente, dalla L. 24 gennaio 1979, n. 18, art. 44, comma 2, e del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 23 tenendo conto della data di pubblicazione della proclamazione (18 febbraio 2011): ha infatti qualificato l’azione proposta come appartenente al genus delle azioni popolari, caratterizzate da una legittimazione diffusa e fungibile, accordata dall’ordinamento a "qualsiasi cittadino elettore" in funzione dell’interesse pubblico alla regolare composizione e al retto funzionamento degli organi collegiali rappresentativi, che non tollera quindi l’imposizione di termini di decadenza per il suo esercizio. La Corte inoltre ha giudicato infondata la tesi del T. di avere tempestivamente optato, in data 7 gennaio 2012, per la carica di parlamentare europeo, scelta ritenuta inefficace, in quanto operata oltre il termine di trenta giorni L. n. 18 del 1979, ex art. 6, comma 2, decorrente sia dalla pubblicazione della proclamazione dell’elezione nella Gazzetta Ufficiale, sia dall’insediamento dell’eletto al Parlamento europeo con conseguente decadenza dalla suddetta carica, ai sensi della L. n. 18 del 1979, art. 6, comma 3.

Avverso la predetta ordinanza ricorrono il T. e la Procura generale presso la Corte d’appello di Roma.

P. e F. resistono con controricorso e ricorso incidentale illustrato da memoria.

Motivi della decisione

Nel ricorso di T. sono enucleabili quattro motivi, di cui il secondo è assorbente. Esso imputa all’ordinanza impugnata violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere giudicato inammissibile il ricorso di P. e F., in quanto proposto oltre il termine di sessanta o di trenta giorni dalla pubblicazione della proclamazione dell’eletto nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi della L. n. 18 del 1979, art. 44, comma 2, ovvero del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 23 con conseguente erronea applicazione all’elezione dei membri del Parlamento europeo di un principio – quello dell’inesistenza di termini perentori per la proposizione dell’azione popolare – riguardante l’elezione degli organi collegiali degli enti pubblici territoriali.

Il motivo è fondato.

La L. n. 19 del 1978, art. 44, comma 2, in tema di elezione dei rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo, nel disciplinare l’azione diretta a far valere le condizioni di ineleggibilità o incompatibilità dell’eletto (v. anche l’art. 44, comma 1), stabilisce che "L’azione si propone da parte di qualsiasi cittadino elettore con ricorso sul quale il presidente fissa, con decreto, l’udienza di discussione della causa in via di urgenza e provvede alla nomina del giudice relatore. Il ricorso deve essere depositato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei nominativi degli eletti…".

Il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, comma 27, lett. b), in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ha abrogato le parole contenute nel citato art. 44, comma 2, da "con ricorso sul quale…" sino alla fine del comma. Contestualmente, il medesimo D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 23 la cui rubrica è "Delle azioni in materia di eleggibilità e incompatibilità nelle elezioni del Parlamento europeo", ha disposto che le controversie previste dalla L. del 1979, art. 44 "sono regolate dal rito sommario di cognizione", che la competenza appartiene alla corte di appello e, soprattutto, al comma 3, che "Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei nominativi degli eletti a norma della L. 24 gennaio 1979, n. 18, art. 24 ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero". Inoltre, l’art. 34, co. 27, lett. a) e c), hanno sostituito il primo comma e abrogato dal comma 3 all’u.c. della L. del 1979, art. 44 questi ultimi riguardanti la disciplina del procedimento giurisdizionale.

Non v’è dubbio, quindi, che l’azione popolare di "qualsiasi cittadino elettore" avverso l’elezione per il Parlamento europeo è, a norma della L. n. 150 del 2011, art. 23, comma 3, soggetta al termine di trenta giorni dalla pubblicazione del nominativo dell’eletto nella Gazzetta Ufficiale, a pena di inammissibilità (il successivo comma 4 prevede poi un termine perentorio anche per la notifica del ricorso e la costituzione delle parti); prima dell’entrata in vigore di quest’ultima, essa era soggetta al termine di sessanta giorni, a pena di decadenza, a norma della L. del 1979, art. 44, comma 2.

L’ordinanza impugnata, alla quale aderiscono i controricorrenti e la Procura generale presso la Corte d’appello di Roma, desume dalla natura popolare dell’azione l’essere proponibile in ogni tempo, ritenendo che, sulle esigenze di certezza tutelate dalla fissazione di un termine perentorio, prevalga sempre l’interesse pubblico ad evitare il consolidamento di situazioni potenzialmente dannose per l’ente della cui elezione si tratta e per la stessa collettività.

Tale impostazione troverebbe conferma nella giurisprudenza di questa Corte che è ferma nell’escludere la soggezione dell’azione popolare al rispetto di termini perentori, stante la natura non impugnatoria della stessa (v., tra le tante, Cass. n. 20092/2008, n. 24021/2010).

La richiamata giurisprudenza riguarda, tuttavia, la diversa materia delle elezioni degli organismi elettivi degli enti pubblici territoriali, disciplinata da una legislazione che non prevede con chiarezza un analogo termine per l’esercizio dell’azione popolare a pena di decadenza o di inammissibilità (v. il D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, in tema di elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, artt. 82 e 9 bis, comma 3, quest’ultimo riguardante l’azione di "qualsiasi cittadino elettore"). Se è vero che il D.P.R. n. 570 del 1960, art. 9, comma 5 contiene un rinvio alle "norme di procedura e termini stabiliti dal medesimo D.P.R. del 1960, art. 82", esso è "da intendersi riferito esclusivamente al giudizio impugnatorio della delibera consiliare che decide sulla questione di ineleggibilità" (in tal senso è Cass. n. 15104/2005, la quale ha anche escluso la possibilità di giustificare l’applicabilità di termini perentori facendo leva sull’analogo rinvio alle "norme di procedura e termini stabiliti dall’art. 82" contenuto nel D.P.R. n. 267 del 2000, art. 70 riguardante l’azione popolare per la decadenza dalla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale).

E’ quindi la natura di stretta interpretazione della materia elettorale che, da un lato, ha indotto la Corte ad escludere l’esistenza di termini, a pena di inammissibilità o di decadenza, per l’esercizio dell’azione popolare, in mancanza di chiare e univoche disposizioni di legge in tal senso, come nel caso delle elezioni degli enti pubblici territoriali; e, dall’altro, induce ora la Corte ad affermarne l’esistenza in materia di eleggibilità e incompatibilità nelle elezioni del Parlamento europeo, in presenza di chiare disposizioni normative come sono quelle espresse dalla L. del 1979, art. 44, comma 2, e D.Lgs. n. 150 del 2011, e art. 23, comma 3. Tale conclusione non è contraddetta dalla natura non impugnatoria dell’azione (accertativa del jus ad officium dei singoli eletti alla carica elettorale in contestazione) ed è, per altro verso, corroborata dalla diversità delle elezioni del Parlamento europeo rispetto a quelle nazionali e locali, come dimostrato anche dal recente D.Lgs. n. 150 del 2011 che vi ha dedicato disposizioni recanti discipline contenutisticamente diverse (l’art. 22 riguarda le elezioni comunali, provinciali e comunali e l’art. 23 quelle europee).

Il ricorso di P. e F., volto a far valere la incompatibilità tra la carica di parlamentare europeo e quella di sindaco di un comune con popolazione superiore a quindicimila abitanti, L. n. 18 del 1979, ex art. 6, comma 1, lett. b quater), è inammissibile, in quanto proposto il 3 gennaio 2012, cioè ben oltre il termine di sessanta giorni, a pena di decadenza, decorrente dalla data (18 febbraio 2011) di pubblicazione del nominativo dell’eletto nella Gazzetta Ufficiale, a norma dell’art. 44, comma 2, allora vigente, della L. n. 18 del 1979 (e, a maggior ragione, oltre il termine di trenta giorni previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 23 a pena di inammissibilità). Non rileva nè la data (1 dicembre 2011) dell’insediamento al Parlamento europeo (evento non considerato dalla legge per gli effetti che si stanno esaminando) nè la questione circa l’ipotizzata sospensione del predetto termine di impugnazione – il quale infatti sarebbe comunque spirato – per il tempo (di trenta giorni) concesso all’eletto per presentare la dichiarazione di scelta di una delle cariche, a norma della L. n. 18 del 1979, art. 6, comma 2.

Restano assorbiti gli altri motivi del ricorso principale proposti dal T.: il primo, deducente violazione del diritto di difesa, per aver dovuto osservare un termine per la costituzione nel giudizio (di quindici giorni dalla notifica del ricorso ex art. 44, comma 4, della citata L. del 1979) più breve rispetto a quello (di dieci giorni prima dell’udienza di discussione) previsto dall’art. 702 bis c.p.c., comma 3, (applicabile – in tesi – D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 36); il terzo, deducente vizio di motivazione a proposito della tardività della scelta della carica; il quarto, deducente varie questioni di legittimità costituzionale riguardanti la L. n. 79 del 1979, art. 6, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 23 e L. n. 18 del 1979, art. 44, comma 2.

Restano assorbiti anche il ricorso della Procura generale presso la Corte d’appello di Roma, che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, sul presupposto che il T. avesse presentato tempestivamente la dichiarazione di scelta, nonchè il ricorso incidentale proposto da P. e F., diretto alla condanna del T. per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

In conclusione, la decisione impugnata va cassata senza rinvio, essendo inammissibile la domanda proposta da P. e F., con integrale compensazione delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio, tenuto conto della novità delle questioni giuridiche esaminate e delle ragioni della decisione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti gli altri motivi nonchè il ricorso della Procura generale presso la Corte d’appello di Roma e il ricorso incidentale; cassa senza rinvio l’impugnata ordinanza della Corte di appello di Roma;

compensa le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1 sezione civile, il 10 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012
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