Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 06-03-2013, n. 10415

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Hanno proposto ricorso per cassazione D.S.R. e G. R. avverso la sentenza della Corte di appello di Roma in data 10 aprile 2012 con la quale è stata parzialmente riformata quella di primo grado e, per l’effetto, quest’ultima è stata confermata soltanto in relazione al reato di lesioni volontarie gravi in concorso, commesso il 20 settembre 2007, in danno di T.V., nonchè al reato di illeciti detenzione e porto di una pistola semiautomatica utilizzata per la commissione del reato di lesioni.

Quest’ultimo, dunque è stato ritenuto aggravato sia dall’uso dell’arma che dalla circostanza aggravante della premeditazione. La recidiva contestata ad entrambi gli imputati non è stata applicata ai fini del computo della pena.

Ha dedotto il difensore di G. la erronea interpretazione dell’art. 110 c.p. e il vizio della motivazione sia con riferimento al ritenuto concorso nel reato materialmente commesso da altro soggetto, sia con riferimento alla circostanza aggravante della premeditazione.

Quanto al primo motivo di doglianza, ha posto in evidenza il difensore come la posizione del ricorrente sia stata ritenuta in tutto assimilabile a quella di D.S. senza però che ve ne fossero i presupposti.

In particolare erano state ritenute prova del suo concorso le dichiarazioni dei T., oggetto di intercettazione, senza però tenere presente che tali soggetti, al pari di S., erano già indagati per il reato di favoreggiamento nel processo in esame, sicchè le loro dichiarazioni dovevano essere valutate ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3, ossia alla luce di elementi di riscontro esterno.

Ed in effetti il solo elemento pacifico acquisito era che il ricorrente, assieme ad altre due persone, erano presenti alla gambizzazione della vittima ma non avevano utilizzato l’arma da fuoco.

D’altra parte, la sussistenza della circostanza aggravante era stata desunta soltanto dalla interpretazione del fatto effettuata nelle conversazioni intercettate.

Era emersa una repentinità dell’azione di fuoco, scarsamente compatibile con la premeditazione.

La condotta in contestazione, per giunta realizzata, come segnalato dalla difesa, in pieno giorno e di fronte a più persone, era stata la reazione ad uno sputo del T. verso il proprio interlocutore, sicchè era difficile giustificarne la preordinazione, incompatibile anche con il fatto era stata utilizzata la macchina dello S., agevolmente identificabile attraverso la targa e che comunque, in seguito, era stata cercata una forma di pacificazione.

Nell’interesse di D.S. era stato dedotto il vizio della motivazione con riferimento alla circostanza della premeditazione, al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 e al trattamento sanzionatorio.

Con dichiarazione scritta, formulata personalmente da D.S. e trasmessa alla Corte di cassazione dall’ufficio matricola del carcere di Frosinone ove lo stesso è ristretto, l’imputato ha dichiarato di rinunciare all’impugnazione.

Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, quanto alla posizione di D.S., per rinuncia all’impugnazione e, quanto alla posizione di G., deve essere rigettato.

In riferimento alla posizione di quest’ultimo si osserva che la sentenza impugnata è fondata su una motivazione del tutto congrua e plausibile oltre che rispettosa dei canoni della logica e delle norme del codice di rito, con la conseguenza che la stessa non si espone alle censure formulate dalla difesa di G..

In particolare vale la pena ricordare che la Corte d’appello ha affermato la assimilabilità della posizione di G. a quella dell’esecutore materiale dello sparo – D.S. – il quale nessun rilievo ha formulato neppure in appello con riferimento alla propria responsabilità per l’azione delittuosa, sulla base di una motivazione non censurabile e che è del tutto congrua anche con riferimento alle ragioni della denegata omogeneità della posizione del ricorrente con quella di S., ritenuto presente al fatto ma non responsabile penalmente.

Sono state valorizzate, al riguardo, le conversazioni del fratello della vittima con altri soggetti: conversazioni dalla quale si è ricavato, in particolare che il primo riferiva di aver appreso dallo S., che proprio G. gli aveva detto di avere litigato con T.V. e gli aveva chiesto uno scambio dei rispettivi veicoli: con la conseguenza che il fratello della vittima osservava anche, nella stessa intercettazione, come lo S. fosse stato "messo in mezzo" dei due odierni ricorrenti: utilizzando, cioè, la sua autovettura per avvicinare con tranquillità la persona offesa.

Lo stesso, in una successiva conversazione, aveva anche commentato con stupore il ferimento del fratello adopera dei due imputati osservando come gli stessi fossero stati in precedenza aiutati proprio dalla vittima.

Inoltre T.V. aveva anche parlato con i propri interlocutori della causale dell’aggressione, risalente ad alcuni giorni prima e da individuarsi nell’interesse degli imputati ad alcuni cantieri nella zona dell’Infernetto, rispetto ai quali avevano fatto sapere alla vittima di farsi da parte perchè loro erano ben appoggiati.

Rispetto a tale articolata ed esaustiva ricostruzione, le censure della difesa risultano in parte infondate in diritto e in parte volte a contestare la concludenza, sul piano probatorio, del significato delle conversazioni intercettate.

Quanto al primo aspetto della doglianza, la tesi secondo cui le dichiarazioni etero-accusatorie intercettate, provenendo da coindagati, dovrebbero essere riscontrate ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3 è contrastata dall’orientamento unanime della giurisprudenza di legittimità secondo cui alle indicazioni di reità provenienti da conversazioni intercettate non si applica la regola di valutazione di cui all’art. 192 cod. proc. pen., comma 3, ma quella generale del prudente apprezzamento del giudice, non essendo esse assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato del medesimo reato o la persona imputata in procedimento connesso rende in sede di interrogatorio dinanzi all’autorità giudiziaria (Sez. 2, Sentenza n. 4976 del 12/01/2012 Ud. (dep. 09/02/2012) Rv. 251812; Conformi: N. 36218 del 2010 Rv. 248290; Rv. 247447; N. 13614 del 2001 Rv. 218392, N. 603 del 2004 Rv. 227815, N. 35860 del 2006 Rv. 235020).

Per altro verso le doglianze della difesa contestano la valenza della interpretazione delle conversazioni mentre, ancora una volta alla luce del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, deve rilevarsi come la valutazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche costituiscono un giudizio di fatto che è devoluto esclusivamente al giudice del merito e non può essere messo in discussione dinanzi alla Corte di cassazione se non sotto il profilo- non evocato nel caso di specie- della manifesta illogicità dello stesso giudizio di merito o della sua carezza su un elemento decisivo.

Analoghe considerazioni debbano essere formulate con riferimento alla ritenuta circostanza aggravante della premeditazione, rispetto alla quale la difesa si limita a contrapporre alle osservazioni del giudice a quo, un’alternativa ricostruzione delle emergenze probatorie acquisite.

Ed invero il giudice dell’appello ha plausibilmente e razionalmente valorizzato il movente della condotta, maturato nel nei giorni precedenti con riferimento alla posizione di entrambi gli imputati oggi ricorrenti e il porto dell’arma da fuoco all’appuntamento concordato con la vittima, oltre alla modalità dell’azione delittuosa predisposta con l’uso di un mezzo di trasporto che non consentisse un immediato rintraccio degli autori dell’azione, compatibilmente dunque con la predisposizione dell’azione lesiva.

Rispetto a siffatte argomentazioni le censure della difesa consistono nella mera contrapposizione di elementi di fatto.

Alla inammissibilità del ricorso di D.D. consegue, ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare, in Euro 500.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso D.D. e rigetta il ricorso di G.; condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed altresì, D.S., a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 500.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2013
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