Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-07-2012, n. 13297

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Messina con sentenza del 17 novembre 2005 ha confermato la decisione 1 febbraio 2003 del Tribunale che aveva condannato l’ASL (OMISSIS) di Messina a corrispondere all’impresa Bauro Sebastiano cui con contratto del 27 settembre 1993 aveva affidato l’appalto dei lavori di manutenzione e ristrutturazione del laboratorio di igiene e profilassi, la complessiva somma di Euro 81.402,12 per lavori effettuati, oltre accessori e quella di Euro 67.000,00 a titolo di risarcimento del danno, osservando: a) che l’ASL si era illegittimamente avvalsa del procedimento di rescissione del contratto previsto dalla L. n. 2248 del 1865, All. F, art. 340 laddove la stazione appaltante era venuta meno all’obbligo di consegna dei locali liberi da persone e da cose; e che anche durante l’esecuzione dei lavori i relativi intralci si erano protratti rallentando il completamento anche per l’illegittima introduzione da parte della ASL di due varianti, in corso d’opera; b)che l’impresa aveva al riguardo formulato apposita riserva nel conto finale, comunque resa superflua dall’atto introduttivo del giudizio in precedenza notificato alla ASL; e che era esatto il calcolo degli interessi in conformità della disposizione dell’art. 35 Cap. o.p. appr. con D.P.R. n. 1063 del 1962; c) che era corretta anche la condanna al risarcimento del danno dell’Azienda sia per l’illegittima rescissione adottata, sia per l’inadempimento in cui era incorsa durante l’esecuzione dell’appalto.

Per la cassazione della sentenza, l’ASL (OMISSIS) ha proposto ricorso per 5 motivi; cui resiste l’impresa Bauro con controricorso.

Motivi della decisione

2. Con il primo motivo, l’Azienda, denunciando violazione delle disposizioni contenute nel R.D. n. 350 del 1895, D.P.R. n. 1063 del 1962, 1218, nonchè art. 1665 c.c. e segg., artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ. censura la sentenza impugnata per avere dichiarato illegittima la rescissione del contratto adottata ai sensi della L. n. 2248 del 1865, All. F, art. 340 e ritenuto che essa era rimasta inadempiente all’obbligo di tenere sgombri i locali in cui dovevano svolgersi i lavori, senza considerare: a) ben 10 ordini di servizio con cui durante lo svolgimento dell’appalto erano state contestate numerose e gravi inadempienze all’ATI che mai aveva mosso alcun rilievo in ordine alle proprie responsabilità; b)che tali risultanze erano state confermate dagli accertamenti del c.t.u. neppur essi presi in esame; c) che ulteriore conferma delle inadempienze della controparte si traevano dalla prova testimoniale, avendo i direttori dei lavori ribadito la mancata o ritardata esecuzione di alcune categorie di lavori, l’inosservanza dei termini concessi all’impresa ed inutilmente prorogati, nonchè altre violazioni delle disposizioni contrattuali sull’approvvigionamento di acqua e luce, e sulla copertura previdenziale degli operai; d) che l’impresa aveva accettato senza riserva alcuna anche le perizie di variante f sottoscrivendo gli atti di sottomissione. Ha riportato al riguardo trascrivendolo interamente il contenuto sia degli ordini di servizio, che delle risultanze della c.t.u., nonchè delle deposizioni testimoniali, evidenziando le numerose illogicità in cui era incorsa la decisione di appello nell’interpretarne il tenore comunque sfavorevole all’impresa; ed ha ricostruito lo svolgimento della fase esecutiva dell’appalto comprovante le numerose inadempienze dell’appaltatore che avevano reso legittimo il procedimento di rescissione.

Con il secondo, deducendo violazione della L. n. 2248 del 1865, All.

F, artt. 340 e 341 R.D. n. 350 del 1895, artt. 26, 27 e 28 addebita alla sentenza di aver disapplicato la normativa sul diritto della stazione appaltante di procedere alla rescissione del contratto.nel caso legittimamente applicata pur se fosse stato ritenuto giustificabile il ritardo dell’impresa nella esecuzione dei lavori, posto che la stessa era incorsa in una serie di inadempimenti correlati alla violazione di obblighi contrattuali, relativi all’approvvigionamento idrico ed elettrico, nonchè alla messa in regola dei propri operai cui non erano stati versati i contributi.

3. Le censure sono fondate.

La Corte di appello ha dichiarato illegittimo il provvedimento di rescissione del contratto adottato con Delib. 21 settembre 1995 del Direttore generale dell’Azienda, ritenuta invece inadempiente e causa del protrarsi dei lavori oltre il termine contrattuale (pur prorogato), per due ordini di ragioni: a) era rimasta provata la presenza durante il corso dei lavori nei locali dove avrebbe dovuto operare l’impresa, di arredi, strutture, e talvolta anche di personale dell’azienda che aveva arrecato intralcio ai lavori;

presenza protrattasi fino alla data di interruzione del rapporto; b) erano intervenute in corso d’opera due perizie di variante tecnica e suppletiva, l’ultima delle quali in data 2 maggio 1995: non consentite dalle normativa sull’appalto di o.p.. Muovendo da quest’ultima concomitante causa di addebito all’amministrazione appaltante, il Collegio deve rilevare che l’assunto della sentenza è smentito in radice dal R.D. n. 350 del 1895, art. 20 e D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 14 (obbligatoriamente applicabile agli appalti della Regione siciliana), che prevedono proprio la facoltà di variazioni ed addizioni al progetto approvato ed indicano gli organi competenti ad autorizzarle a seconda della loro entità; nonchè più in particolare dalla L.R. Siciliana n. 21 del 1985, art. 23 applicabile ai lavori in oggetto, che regola compiutamente lo jus variandi attribuito alla stazione appaltante (varianti, maggiori opere o lavori aggiuntivi), disciplinando specificamente le condizioni e le competenze a disporne l’esecuzione. Ed in punto di fatto dalle risultanze documentali, nonchè della ct. espletata dal primo giudice, il cui contenuto sul punto, è stato interamente trascritto dalla ASL e non contestato dalla controparte, dalle quali risulta: 1) che sono state disposte due perizie di varianti, la prima in data 31 maggio 1994 e la seconda in data 2 maggio 1995; e che in entrambe le occasioni l’impresa non soltanto non ha rivolto alcuna contestazione ai nuovi lavori, nè formulato al riguardo riserva alcuna, come era necessario anche per richiedere ulteriori compensi e/o un possibile aggravio dei costi, o infine un allungamento dei tempi di esecuzione;

ma ha accettato espressamente entrambe le varianti, la prima con atto di sottomissione del 23 giugno 1994, e la seconda con atto di sottomissione del 21 settembre 1995; 2) che nè la prima nè la seconda hanno provocato sospensioni con riprese dei lavori e che la seconda perizia, peraltro sollecitata dalla stessa ATI, non ha arrecato neppure aggravi perchè l’inserimento di nuove categorie di lavori era compensato dalla riduzione di alcune di quelle già previste (pag. 24 ric.); 3) che solo la prima aveva comportato l’aggiunta di nuovi lavori, tuttavia compensati dalla concessione di una proroga di 4 mesi all’impresa, pur essa accettata con i ricordati atti di sottomissione: a seguito dei quali conseguentemente, per la loro natura di patti aggiuntivi rientranti nell’autonomia dispositiva delle parti ex art. 1372 cod. civ., non era più consentito alla sentenza impugnata sovrapporsi alla loro comune volontà, e qualificare entrambe le perizie o soltanto una di esse quale causa o concausa di inadempimento della stazione appaltante (Cass. 12416/2004; 13068/2003; 8094/2000).

4. Ma la valutazione della Corte territoriale è ancor più errata con riguardo alla inadempienza principale, ravvisata nell’intralcio ai lavori provocato da arredi, strutture e personale della ASL: posto che se è vero in tema di rescissione del contratto di appalto ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. F, art. 340 che l’accertamento, da parte del giudice del merito, dei presupposti stabiliti da tale norma per l’esercizio del diritto di autotutela della P.A. è autonomo, e non vincolato alle risultanze sulle quali l’Amministrazione si è basata per far valere il suo diritto potestativo, è pur vero che lo stesso deve essere compiuto in base alla disciplina privatistica degli art. 1218 c.c. e segg.; art. 1453 c.c. e segg.; la quale non gli consente di isolare singole condotte di una delle parti e di stabilire se ciascuna di esse soltanto costituisca motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti, ma impone a detto giudice di procedere alla valutazione sinergica del comportamento di entrambe:

compiendo una indagine globale ed unitaria coinvolgente nell’insieme l’intero loro comportamento, anche con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell’inadempimento, perchè l’unitarietà del rapporto obbligatorio a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ognuna delle parti non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta del contraente, ma ne esige un apprezzamento complessivo.

La più qualificata dottrina e la costante giurisprudenza di legittimità hanno costantemente rilevato al riguardo, che il giudice del merito nel valutare la fondatezza della domanda di accertamento dell’inadempimento di uno dei contraenti, ovvero di risoluzione del contratto per inadempimento non può non tener conto (anche in difetto di una formale eccezione ai sensi dell’art. 1460 c.c.) delle difese con cui la parte contro la quale la domanda viene proposta opponga a sua volta l’inadempienza dell’altra parte.

Tale inadempienza deve essere considerata, quindi, nella sua interezza, perchè solo attraverso siffatta considerazione totale può risultare soddisfatta l’esigenza di completezza di quell’apprezzamento relativo e comparativo dei reciproci inadempimenti, nonchè della loro gravità che il giudice deve porre a fondamento della propria opzione valutativa ai fini della decisione. E se egli non è tenuto, in sede motivazionale, ad analizzare ogni singolo dato acquisito al processo – potendo ritenersi assolto l’obbligo della motivazione con la esauriente giustificazione delle ragioni della decisione in base a quelle risultanze che siano in concreto ritenute determinanti ai fini della soluzione adottata – è pur vero che non si può prescindere dalla necessità che dal contesto complessivo della motivazione emerga che il giudice abbia comunque considerato gli elementi suscettibili di incidere in maniera rilevante sull’equilibrio del contratto, rendendo conoscibile il fondamento logico e giuridico del proprio convincimento.

Tanto non è invece accaduto nella fattispecie, in cui dalle difese del comune, dagli ordini di servizio dell’appalto, nonchè dalla relazione di ct., per queste parti interamente riportati nel ricorso senza contestazione alcuna della controparte sul loro effettivo contenuto, risulta che la stazione appaltante poco tempo dopo la consegna dei lavori verificatasi il 19 ottobre 1993, e fino al provvedimento di rescissione ha adottato una serie di ordini di servizio – ben 10 – nei quali la Direzione dei lavori aveva contestato all’impresa numerose inadempienze, e più specificamente:

a) con un primo ordine di servizio, che dopo ben tre mesi dalla consegna suddetta non era stata ancora completata l’installazione dei ponteggi; e siffatta contestazione veniva nuovamente reiterata con i successivi ordini di servizio del 24 marzo e 3 maggio 1994; b) con un quarto ordine di servizio emesso il 6 giugno 1994, molteplici irregolarità nella esecuzione dei lavori, con diffida ad eseguirli a regola d’arte; c) con un sesto o.s. venivano contestati i danni provocati dall’impresa al LIP per essersi approvvigionata di acqua ed energia elettrica di detta struttura aziendale, in modo non consentito dal capitolato speciale; d) quindi a cominciare dal 5 ordine di servizio del 18 luglio 1994 e fino al decimo in data 4 aprile 1995, la D.L. contestava altresì che i lavori continuavano a procedere a rilento, che nessuno era completato nei tempi pattuiti, e soprattutto la mancata presenza continua degli operai in cantiere, peraltro neppure posti in regola dall’appaltatore con la normativa previdenziale.

Il contenuto di alcuni di detti o.s. veniva, poi, ribadito da specifiche note dell’Ing. capo di identico tenore, finchè a seguito di una nuova relazione della D.L. che le ribadiva, il Commissario straordinario dell’Azienda con nota dell’8 luglio 1995 dapprima intimava all’impresa di ultimare i lavori entro il termine già prorogato, pena la rescissione del contratto; quindi dopo un nuovo verbale di constatazione che la diffida era rimasta inadempiuta, iniziava la procedura di rescissione conclusa in danno dell’ATI con la ricordata Delib. 21 settembre 1995.

Ora, per quanto detti o.s. della Direzione Lavori (o dell’Ingegnere capo), non costituiscano atti pubblici, la Corte di appello non ha considerato che gli stessi non sono neppure equiparabili a mere comunicazioni o informative di parte, ovvero a deposizioni testimoniali interessate, prive di rilevanza giuridica, costituendo, come è noto per effetto della normativa sui lavori pubblici, esercizio di poteri o di diritti potestativi che all’amministrazione competono nell’esplicazione dell’ingerenza riservatale dal legislatore nell’esecuzione dell’appalto; ed aventi nel caso concreto proprio natura amministrativa in quanto dichiarativi del contenuto del contratto e nel contempo tendenti ad assicurarne la regolare esecuzione.

Agli stessi, infatti, per il disposto del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 12 (ora recepito dal D.P.R. n. 554 del 1999, art. 128), nonchè alle relative prescrizioni è tenuto ad uniformarsi l’appaltatore anche per le funzioni, le competenze specificamente tecniche e soprattutto le responsabilità dell’organo da cui provengono;al quale il R.D. n. 350 del 1895, artt. 1 e 2 attribuiscono una ingerenza diretta, nonchè specifici poteri di coordinamento e di supervisione nell’esecuzione dell’opera "… onde garantire che i relativi lavori, di cui è chiamato a certificare svolgimento e stati di avanzamento (art. 53), siano eseguiti a regola d’arte ed in conformità al progetto ed al contratto. Con conseguente assunzione di responsabilità, come si ricava dallo stesso R.D. n. 350, art. 3, per il quale grava sul D.L. "la responsabilità… della buona e puntuale esecuzione dei lavori in conformità ai patti contrattuali ed agli ordini dell’ingegnere capo" (art. 3). Nonchè dal successivo art. 13 secondo cui "Il direttore prenderà la iniziativa di ogni disposizione necessaria, acciocchè i lavori a cui è preposto, siano eseguiti a perfetta regola d’arte, ed in conformità dei relativi progetti e contratti".

La valenza degli ordini di servizio è, poi, riscontrabile anche sotto un profilo formale stabilendo quest’ultima norma e quella del menzionato D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 12 che gli stessi (in passato vistati anche dall’Ingegnere capo) debbano assumere necessariamente la forma scritta e quindi essere segnati con numero progressivo nello speciale registro di cui all’art. 39, contenente obbligatoriamente tutte le vicende ed i documenti dell’appalto. Senza che tuttavia l’appaltatore resti privo di tutela nei confronti di disposizioni ritenute errate o inesatte o comunque pregiudizievoli per i suoi interessi e non conformi ai relativi comportamenti, nonchè alle obbligazioni assunte: riconoscendogli lo stesso art. 39 (recepito dal D.P.R. n. 1063, art. 12, comma 2) il diritto-dovere di formulare con apposito processo verbale le opportune contestazioni ed i reclami, che devono essere egualmente trascritti nel medesimo registro; e che l’ATI aveva dunque l’onere, a salvaguardia della propria responsabilità, di avanzare onde escludere le numerose e persistenti inadempienze addebitatele, o in ogni caso per spiegarne le ragioni (quali gli asseriti intralci ai lavori provocati da controparte), che le giustificavano. Ed il combinato disposto degli art. 53, 54 e 64 quello di inserire specifica riserva con riguardo non solo a tutte le possibili richieste inerenti a partite di lavori eseguite, nonchè alle contestazioni tecniche e/o giuridiche circa la loro quantità e qualità, ma anche e soprattutto in merito ai pregiudizi sofferti ed ai costi aggiuntivi dovuti affrontare, sia a causa dello svolgimento (anomalo) dell’appalto, sia a causa delle carenze progettuali per le conseguenti maggiori difficoltà che le stesse hanno ingenerato sia, infine, per i comportamenti inadempienti della stazione appaltante: assolvendo, come è noto, l’onere della riserva proprio alla funzione di consentire la tempestiva e costante evidenza di tutti i fattori che siano oggetto di contrastanti valutazioni tra le parti e perciò suscettibili di aggravare il compenso complessivo, ivi comprese le pretese di natura risarcitoria (Cass. 15013/2011). Mentre ove fossero realmente insorte contestazioni fra l’impresa e la ASL, circa gli intralci da quest’ultima provocati al proficuo e celere svolgimento dei lavori gli artt. 42 e 46 approntavano opportuni rimedi amministrativi per la loro risoluzione: invece mai presi in considerazione dall’appaltatore.

La normativa ora ricordata è stata pertanto completamente disapplicata dalla Corte territoriale, la quale: a) ha ignorato del tutto i menzionati o.s., ed i relativi contenuti, attestanti lo svolgimento dell’appalto, sostanzialmente avallato dagli accertamenti compiuti dal c.t.u. (pag. 29 ric), che pure contestavano all’appaltatore gravi e reiterate inadempienze durante tutto lo svolgimento dei lavori; sui quali ha omesso in radice di pronunciarsi (art. 112 cod. proc. civ.); b) non si è avveduta che a nessuno degli ordini suddetti l’impresa aveva mosso osservazione o contestazione alcuna, come pure le imponeva la normativa citata: neppure quando gli addebiti che le venivano mossi, riguardando la lentezza o la mancata esecuzione dei lavori, avrebbero potuto trovare giustificazione, in tutto o in parte, nell’asserita parziale indisponibilità dei locali in cui dovevano eseguirsi; c) non ha considerato neppure che molte delle inadempienze contestate all’impresa, relative alla esecuzione dei ponteggi, a lavori non eseguiti a regola d’arte, alla vicenda dell’approvvigionamento dell’elettricità e dell’acqua, alla situazione previdenziale degli operai, non presentavano alcun collegamento nè eziologico, nè tanto meno cronologico, con la menzionata parziale occupazione di alcuni locali del laboratorio, neppure quale prospettata dalla nota dell’impresa 28 luglio 1995, di cui si dirà avanti: perciò rendendo giustificata la doglianza dell’ente ricorrente anche nel senso che l’omessa motivazione in radice sulle dedotte circostanze, sulle quali la stazione appaltante aveva richiamato l’attenzione della Corte di merito, e sugli atti e documenti che ne facevano fede, hanno fatto mancare la visione complessiva degli inadempimenti dell’appaltatore sia ai fini del giudizio dei suoi inadempimenti sia ai fini della comparazione con i pretesi inadempimenti della stazione appaltante.

5. La Corte deve rilevare, infine, che neppure l’isolata disamina della ritenuta inadempienza del comune per la parziale occupazione dei locali, si sottrae, di per sè, alle censure della ASL. Invero la stessa ATI, confermando quanto dedotto al riguardo dalla sentenza impugnata e dalla controparte, ha riferito che soltanto con la ricordata lettera del 28 luglio 1995, in risposta alla diffida 8 luglio 1995 del Commissario straordinario dell’Azienda, ed in concomitanza con l’inizio del procedimento di rescissione, aveva contestato il rallentamento o mancato completamento dei lavori, attribuendolo alla parziale indisponibilità dei locali in cui doveva effettuarsi la manutenzione, ed in particolar modo alla perdurante operatività durante i lavori, di quelli del laboratorio di igiene e profilassi.

Per quanto nessun’altra doglianza o riserva in tali sensi fosse stata avanzata in epoca precedente, e la stessa nota 28 luglio 1995 si riferisse esclusivamente alla categoria di lavori in atto in tale data, peraltro presso un locale circoscritto, la Corte territoriale da essa ha ricavato anzitutto l’inadempimento della controparte "all’obbligo primario della consegna dei locali"; e quindi che "la lamentata occupazione si era protratta per tutto il corso del rapporto……evidenziando l’impossibilità della regolare prosecuzione dei lavori….per il perdurare della indisponibilità di molti locali…" (pag. 10 sent.).

Ma la prima conclusione illogicamente ed apoditticamente ricavata da un evento cronologicamente successivo di circa due anni nello svolgimento dell’appalto, è smentita in punto di fatto, dal verbale di consegna 19 ottobre 1993 (pur esso riportato dalla AUSL. pag. 14), dal quale soltanto poteva essere documentata; che era stato invece sottoscritto ed accettato dall’appaltatore senza riserva alcuna.

La stessa poi si pone in palese contrasto con il combinato disposto degli R.D. n. 350 del 1995, art. 10 e D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 10 da cui si ricava che a fronte della mancata o parziale e comunque frazionata consegna dei lavori, il legislatore offre all’appaltatore soltanto una alternativa: facoltà di recedere dal contratto con diritto al solo rimborso dall’Amministrazione appaltante delle spese di cui al precedente art. 9 nonchè alle altre effettivamente sostenute nei limiti indicati dalla norma. Ovvero, in caso contrario, ove detta richiesta manchi deve presumersi che l’appaltatore abbia considerato ancora eseguibile il contratto, senza ulteriori oneri a carico della stazione appaltante (senza che possa rilevare neppure la tempestiva costituzione in mora del committente e l’iscrizione di riserva verbale:Cass. 11329/1997); ed egli potrà al più pretendere un prolungamento del termine di completamento dell’opera, senza che gli sia consentito aggirare la norma accettando la consegna irregolare e procedendo alla esecuzione del contratto, per poi pretendere i danni per la parziale o frazionata consegna (Cass. 7069/2004; 21484/2004; 26916/2008).

Eguali considerazioni valgono per il protrarsi dell’inconveniente nel corso successivo dei lavori, in relazione al quale la Corte territoriale ha trascurato del tutto la nota regola più volte enunciata da questa Corte e tratta da una serie di norme specifiche relative all’appalto di o.p. (D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 10, 14, 30 ecc.) per cui l’appaltatore che di fronte alla inadempienza della controparte, anzichè ricorrere alla domanda di risoluzione (o all’eccezione di inadempimento) ovvero iscrivere la necessaria riserva onde ottenere il risarcimento del danno, preferisce dare comunque esecuzione al contratto, dimostra con tale suo atteggiamento di non attribuire importanza nell’economia del negozio all’inadempimento della controparte, onde devesi escludere in tal caso che possa farlo valere successivamente per taluna di dette ragioni: in coerenza, del resto, con il principio, che a differenza dell’obbligazioni di mezzi, la quale richiede al debitore soltanto la diligente osservanza del comportamento pattuito, indipendentemente dalla sua fruttuosità rispetto allo scopo perseguito dal creditore, nell’obbligazione di risultato, propria dell’appalto, in cui il soddisfacimento effettivo dell’interesse di una parte è assunto come contenuto essenziale ed irriducibile della prestazione, l’adempimento coincide con la piena realizzazione dello scopo perseguito dal creditore, indipendentemente dall’attività e dalla diligenza spiegate dall’altra parte per conseguirlo. Pertanto siccome l’ATI Bauro malgrado l’asserito verificarsi e/o il protrarsi di ciascuna di detti intralci per circa due anni, aveva comunque scelto di continuare i lavori senza avanzare mai contestazione alcuna in merito al dovere di cooperazione e di collaborazione da parte della stazione appaltante, nè formulare apposite riserve per il maggior costo che i relativi rallentamenti comportavano, nè intraprendere iniziative procedimentali di alcun genere, ed aveva anzi sottoscritto ed accettato ben due atti di sottomissione con cui accettava anche la situazione in atto nel cantiere, per di più sollecitandoli, per insistere infine per il ripristino del contratto ed il completamento del programma dei lavori perfino dopo il provvedimento di rescissione, tale comportamento univoco e reiterato attestante l’interesse dell’impresa alla prosecuzione comunque dell’appalto ha reso inconfigurabile la successiva denuncia di andamento anomalo dello stesso quale causa di inadempimento dell’appaltatore nonchè di risarcimento del danno: posto che nella valutazione tipica degli opposti interessi delle parti contraenti, pur in presenza di una presunta ragione di inadempienza della stazione appaltante, il legislatore ritiene che ove l’appaltatore preferisca scegliere la prosecuzione anzicchè lo scioglimento o altre iniziative procedimentali, nonostante la causa di inadempimento, quest’ultima non abbia inciso in maniera apprezzabile sugli oneri derivanti per il medesimo con il contratto di appalto (Cass. 12416/2004; 2799/1997;

4630/1994, – 3712/1987; 4820/1984).

6. Assorbiti, pertanto i restanti motivi del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla medesima Corte di appello di Messina che in diversa composizione esaminerà l’impugnazione dell’AUSL (OMISSIS) attenendosi ai principi esposti e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie i primi due motivi del ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione agli stessi, ed assorbiti gli altri, rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *