Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 06-03-2013, n. 10412

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione E.M. avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce in data 14 ottobre 2011 con la quale è stata parzialmente riformata quella di primo grado e per l’effetto è stato diversamente qualificato il reato di cui al capo A), originariamente contestato come tentato omicidio ai danni di C.L., ritenuto dal giudice dell’appello come reato di lesioni personali aggravate; inoltre è stata confermata la condanna per il reato di detenzione e porto abusivi di una pistola, fatti commessi il (OMISSIS). La pena è stata conseguentemente ridotta da anni otto ad anni cinque di reclusione.

Deduce:

1) il vizio della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio individuato dopo la riqualificazione giuridica del reato di tentato omicidio, pur avendo la difesa richiesto il contenimento della pena e la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2.

Infatti, pur avendo il giudice dell’appello confermato che i danni causati alla persona offesa erano stati modesti, lo stesso aveva illogicamente emesso una condanna per lesioni gravi;

2) il vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato inerente la legge sulle armi.

La figlia dell’imputato, infatti, aveva dichiarato di non avere visto mai in casa dei genitori un’arma, sicchè appariva manifestamente illogica la decisione del giudice dell’appello di non credere alla versione difensiva secondo cui la pistola apparteneva alla persona offesa- per giunta arrivata da lontano per recarsi nel luogo dei fatti – e l’imputato se ne era semplicemente appropriato nella colluttazione;

3) il vizio della motivazione a proposito del diniego della circostanza attenuante dell’art. 62 c.p., n. 2 (provocazione), essendo rimasto accertato in atti che il C., prima della commissione dei fatti per i quali il processo, aveva aggredito il ricorrente.

Del tutto apodittica era invece l’affermazione del giudice dell’appello secondo cui tra l’una e l’altra aggressione era intervenuto un apparente accordo tra i due.

In data 11 gennaio 2013 è pervenuta una memoria a sostegno del terzo motivo di ricorso.

Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato e, in parte, versato in fatto.

La Corte d’appello non è incorsa in alcuna delle carenze o delle illogicità denunciate personalmente dal ricorrente.

In primo luogo non può non rilevarsi come l’addebito di lesioni gravi sia la conseguenza dell’accertamento della durata della malattia cagionata, superiore a gg 40.

In secondo luogo deve escludersi che sia carente la motivazione con la quale è stata giustificata la accusa di porto ingiustificato di arma da fuoco nei confronti dell’imputato.

Al contrario, la Corte d’appello ha dato atto espressamente dell’assenza di una dichiarazione della figlia dell’imputato a sostegno della versione dell’appartenenza dell’arma alla vittima ed ha altresì valorizzato circostanze di fatto (come quella dell’allontanamento del C., "con calma e senza manifestare segni di preoccupazione" prima di venire ferito dal ricorrente) ritenute plausibilmente indicative del fatto che egli non sapesse della presenza di un’arma sul posto.

In terzo luogo deve altresì rilevarsi la presenza di una congrua motivazione a sostegno della decisione di non riconoscere la circostanza attenuante della provocazione.

La difesa trascura del tutto che tale decisione è stata fondata anche ed essenzialmente sul rilievo che la circostanza attenuante in parola non ricorre ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale tra il fatto ingiusto e l’ira.

Il giudice dell’appello, infatti, ha posto in evidenza come le percosse che l’imputato avrebbe subito ad opera del C. non potevano comunque costituire da sole la giustificazione di una reazione talmente macroscopica e grave da rappresentarsi come causalmente indipendente rispetto al fatto precedente.

La pena base, fissata in misura mediana tra il minimo e il massimo previsti dall’art. 583 c.p., è stata individuata alla luce di una motivazione più che congrua, riferita all’allarmante gravità del fatto complessivamente considerato, alle conseguenze cagionate alla persona offesa e alla deteriore personalità dell’imputato, negativamente lumeggiata dai plurimi e gravi precedenti penali.

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 1000.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2013
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