Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-07-2012, n. 13295

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Bari, con sentenza del 23 novembre 2005 ha determinato in Euro 8.366,60 l’indennità dovuta dall’ANAS a titolo di conguaglio per l’espropriazione di un fondo di proprietà di N.M., n.q. di procuratore generale di D.B.C., ubicato nel territorio del comune di (OMISSIS) (in catasto al fg. 7, part. 59), a seguito della quale l’importo era stato provvisoriamente convenuto tra le parti ai sensi della L. n. 385 del 1980 nella misura di L. 16.200.000. Ha attribuito gli interessi legali a far data dalla domanda giudiziale, ed escluso il danno da svalutazione monetaria, determinando infine l’indennizzo per l’occupazione temporanea del terreno nella misura di Euro 10.683,00, corrispondente agli interessi annui su quella di espropriazione,calcolati al tasso dell’11% annuo.

Per la cassazione della sentenza, l’ANAS ha proposto ricorso per un motivo; cui resiste con controricorso il N., che ha formulato ricorso incidentale per 3 motivi.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso incidentale, da esaminare con precedenza, il N., deducendo violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis nonchè motivazione illogica e contraddittoria, censura la sentenza impugnata per aver calcolato il valore venale del terreno espropriato disattendendo il metodo c.d. sintetico- comparativo che imponeva di attenersi al prezzo di mercato di terreni similari, per un verso assumendo che le aree incluse nel PIP non ne avevano alcuno perchè destinati all’espropriazione; e dall’altro recependo i valori degli immobili di altro comune, perciò non rappresentativi del mercato immobiliare di (OMISSIS).

Il motivo è infondato, derivando dalla mancata comprensione da parte del ricorrente, del metodo sintetico-comparativo;il quale non consiste affatto nella ricerca dei valori più favorevoli nell’ambito di terreni vicini e comunque non distanti da quello espropriato, ma deve risolversi nell’attribuire al bene da stimare il prezzo di mercato di immobili "omogenei", con riferimento non solo agli elementi materiali – quali la natura, la posizione, la consistenza morfologica e simili – e temporali, ma anche e soprattutto alla condizione e disciplina giuridica urbanistica delle rispettive zone di appartenenza. Per cui, ciò che rileva non è la categoria degli atti da cui desumere il probabile valore di mercato dell’area, che non costituisce un numero chiuso, ma la circostanza che gli immobili che ne sono oggetto presentino indubbio carattere di omogeneità con quello da stimare (Cass. 20413, 7200 e 6001/2011; 3175/2008; 6122 e 4583/1990).

Proprio a questi principi si è attenuta la Corte di appello, la quale ha correttamente rinnovato l’indagine peritale perchè i primi accertamenti erano stati compiuti con riferimento al mercato immobiliare di quel centro abitato negli anni 2000-2003, e quindi recependo valori successivi di circa un ventennio, per tale ragione radicalmente mutati e privi di qualsiasi rappresentatività quanto meno sotto il profilo temporale rispetto ai prezzi dei primi anni 80 della zona PIP in cui era ubicato il fondo D.B.; così come giustamente ha rifiutato di prendere in considerazione quelli degli immobili della vicina zona residenziale assolutamente disomogenei per condizione urbanistica rispetto a quelli della zona industriale (quanto meno per i più elevati indici di edificabilità e di utilizzazione, nonchè per la diversa domanda attestata sia dalla sentenza, che dalle parti). Ed ha privilegiato, invece, i valori rinvenuti in atti dello stesso periodo riguardante identica zona urbanistica, peraltro quasi confinante con quella N. – D. B.; i quali nessuna contestazione hanno rivolto agli elementi suddetti, se non quella di appartenere al perimetro urbano del comune di (OMISSIS), da sola inidonea a dimostrare (in mancanza di prova, nel caso neppure prospettata dal ricorrente) che terreni ubicati nella medesima area geografica, interessata da condizioni economiche similari, dovessero perciò stesso riflettere mercati immobiliari tra di essi non comparabili. Con il ricorso principale, l’ANAS, deducendo violazione della L. n. 865 del 1971, art. 20, art. 1284 cod. civ. si duole della erronea determinazione dell’indennità di occupazione, in quanto la Corte di appello: a) ha calcolato l’indennizzo fino alla data del decreto ablativo, peraltro erroneamente individuata senza considerare che quello di occupazione ne disponeva la cessazione il 17 dicembre 1983; b) ha utilizzato quale criterio di stima il parametro degli interessi legali annui sul valore del fondo, tuttavia applicati senza alcuna motivazione nella misura dell’11%, in un periodo in cui il saggio legale era del 5%; c) non ha tenuto conto che il valore dell’immobile doveva essere accertato alla scadenza di ogni anno di occupazione; nè infine delle somme a tale titolo già corrisposte all’espropriato.

Le censure sono fondate.

E’ noto che il provvedimento di occupazione temporanea preordinata all’espropriazione di un immobile privato (L. n. 2359 del 1865, artt. 71 e 72), attribuisce immediatamente alla P.A. il diritto di disporne, allo scopo di accelerare la realizzazione dell’opera pubblica per la quale è stato emanato, ed incide in misura corrispondente sui poteri dominicali del titolare del bene, privandolo temporaneamente, in tutto o in parte, delle facoltà di godimento e di disposizione. Esso, pertanto, produce, ai sensi dell’art. 42 Cost., un’obbligazione indennitaria volta a compensare, per tutta la durata dello stato di indisponibilità del bene, il detrimento dato dal suo mancato godimento;che conseguentemente cessa per la scadenza del termine di efficacia indicato nel provvedimento autorizzativo (che comunque non può eccedere la durata di 5 anni: L. n. 865 del 1971, art. 20), ovvero, prima di tale termine, ove il terreno venga restituito al proprietario dall’amministrazione espropriante, ovvero ancora ove quest’ultima ne acquisti la proprietà con uno strumento pubblicistico (decreto di esproprio, cessione volontaria ecc.), o privatistico (contratto di compravendita o altro).

Pertanto, siccome nel caso entrambe le parti hanno dedotto che il decreto prefettizio di occupazione temporanea aveva autorizzato l’ANAS a detenere il fondo N. fino al 17 dicembre 1983 (cfr.

pag. 6 controric.) soltanto fino a tale data doveva essere corrisposta la relativa indennità al proprietario; e la circostanza che l’immobile aveva continuato ad essere detenuto anche per il periodo successivo dall’ente espropriante senza alcun titolo fino alla data del decreto di espropriazione, pronunciato nel corso dell’anno 1984, avrebbe potuto indurre il proprietario a richiedere al giudice competente per valore il risarcimento del danno per il protrarsi della detenzione, ormai illegittima; ma non legittimare la Corte territoriale ad indennizzare l’occupazione per un periodo diverso da quello per il quale era stata autorizzata dal decreto ablatorio.

Quanto, poi, ai criteri di stima, la giurisprudenza di questa Corte è fermissima anzitutto nel trarre dal precetto contenuto nella L. n. 359 del 1992, art. 5 bis la regola che la ricognizione legale del terreno (nel caso avente pacificamente destinazione edificatoria) deve essere compiuta al momento dell’adozione del relativo decreto; e che tuttavia, siccome il diritto all’indennità matura al compimento di ogni singola annualità, è a ciascuno di questi momenti che deve essere calcolato il parametro di riferimento costituito dal valore venale del bene passibile nel tempo di variazioni dipendenti dall’oscillazione del mercato immobiliare: e non a quello del decreto di esproprio, a meno che il giudice di merito non dimostri che negli anni in cui si è protratta l’occupazione, non si sia verificato alcun mutamento dei prezzi rispetto a quest’ultimo momento.

Vero è poi, secondo la medesima giurisprudenza, che l’indennità di occupazione temporanea e di urgenza delle aree edificabili deve essere liquidata in misura corrispondente ad una percentuale dell’indennità dovuta per l’espropriazione, che ben può corrispondere al saggio corrente degli interessi legali (Cass. sez. un. 493/1998 e succ.); e che ciò non implica, tuttavia, che essa debba necessariamente adeguarsi alle fluttuazioni di tale saggio nel periodo considerato, essendo quello degli interessi legali soltanto un generico criterio di valutazione lasciato al prudente apprezzamento del giudice di merito. Ma si è avvertito in tal caso che detto giudice è tenuto a dare congrua motivazione della scelta adottata, sicchè là dove ritenga di far ricorso al criterio sussidiario degli interessi legali per ogni anno di occupazione sulla somma corrispondente all’indennità di espropriazione del bene, argomentando dal "difetto di elementi comprovanti un diverso maggiore pregiudizio", non è obbligato a motivare ulteriormente la decisione di essersi avvalso di tale criterio, che rispecchia le caratteristiche oggettive dell’immobile e che risulta idoneo a fungere, in via presuntiva, da parametro pienamente reintegrativo del pregiudizio subito da chi ha dovuto sopportare l’occupazione medesima. Restando piuttosto lo stesso giudice obbligato a motivare congruamente l’adozione di ogni altro criterio di calcolo diverso da quello degli interessi legali (Cass. 2100/2011; 22395/2008; sez. un. 4211/2004).

Pertanto, nel caso la Corte di appello ben avrebbe potuto discostarsi dal saggio degli interessi legali annui corrente nel periodo dell’occupazione, che era pacificamente pari al 5%, e recepirne altri anche più elevati, come quello adottato dell’11% o ancora saggi intermedi; ma in detti casi era tenuta a fornire adeguata e convincente motivazione del parametro recepito, invece omessa del tutto dalla sentenza che contraddittoriamente ha dichiarato soltanto di tener conto del tasso legale dell’epoca: invece disapplicato.

Pertanto il giudice di rinvio dovrà rinnovare la stima detraendo, infine, dall’indennizzo determinato eventuali acconti che l’ANAS abbia dimostrato di aver già corrisposto al proprietario.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il N., deducendo violazione dell’art. 1224 cod. civ. censura la sentenza impugnata per aver respinto la sua richiesta ad ottenere il danno da svalutazione monetaria senza avvedersi che egli aveva altresì allegato e dimostrato i relativi presupposti costituiti dalla sua qualità di creditore occasionale che avrebbe certamente investito i propri risparmi, ove fosse venuto tempestivamente in possesso dell’importo ancora a dovutogli a titolo di conguaglio.

Con il terzo motivo, deducendo violazione anche dell’art. 1282 cod. civ. si duole che gli interessi legali gli siano stati attribuiti dalla domanda giudiziale, e non anche dal momento della cessione volontaria, malgrado l’evidente colpa in cui versava l’amministrazione espropriante, quanto meno dopo la declaratoria di incostituzionalità dei criteri riduttivi ad opera delle decisioni 5/1980 e 223/1983 della Corte Costituzionale, e l’obbligo di provvedere al versamento del conguaglio imposto direttamente dalla legge.

Le censure vanno accolte nei limiti appresso precisati.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che sul debito dell’espropriante relativo all’indennità di espropriazione (o di occupazione temporanea) costituente obbligazione di valuta, sono dovuti gli interessi legali per il fatto stesso che la relativa somma è rimasta a disposizione dell’espropriante, a prescindere quindi da una sua colposa responsabilità per il ritardo nel pagamento dell’indennità; che tali interessi, aventi natura compensativa, e non moratoria, decorrono coerentemente dal giorno dell’espropriazione, fino alla data dell’effettivo pagamento dell’indennità. E, tuttavia, che, ove la maggiore indennità venga riconosciuta, alla stregua della sopravvenienza delle sentenze della Corte Costituzionale n. 5 del 1980 e n. 223 del 1983, che hanno espunto i criteri indennitari della citata L. del 1971, art. 16, commi 5, 6 e 7 nonchè quelli reintrodotti in via provvisoria dalla L. 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 e reso applicabile il criterio del valore venale della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 35 ferma però restando l’operatività delle regole procedimentali della stessa L. del 1971 per la stima della indennità in sede amministrativa, la responsabilità dell’espropriante è configurabile soltanto a decorrere dalla pubblicazione della seconda delle citate sentenze della Corte Costituzionale, tenendo conto che, per il periodo anteriore, difetta la colpevolezza del ritardo nell’esatto adempimento (Cass. 4328/99).

Per l’ulteriore danno ex art. 1224 c.c., comma 2, invece, l’attribuzione della svalutazione monetaria sulla maggiore somma riconosciuta a titolo di indennità di esproprio presuppone necessariamente la mora dell’espropriante e, quindi, un suo comportamento colpevole ai sensi degli artt. 1218 e 1176 cod. civ..

Per cui detta "mora debendi" è configurabile soltanto a partire dalla data dell’inizio del giudizio di opposizione alla stima o di determinazione dell’indennità (o del conguaglio) poichè prima di ciascuno di detti procedimenti l’ente espropriante non ha alcuna facoltà di interferire nelle determinazioni amministrative, siano esse accettate dall’espropriato ovvero impugnate, in quanto completamente estranee alla sua sfera giuridico-economica e devolute per legge a organi terzi. Soltanto quando ciascuno di questi procedimenti giudiziari a carattere contenzioso inizia il suo corso, l’amministrazione espropriante, infatti, può comportarsi come qualunque parte convenuta in un processo e, quindi, a seconda dei casi, prestare adesione alla domanda negli esatti termini in cui è stata posta dall’attore o offrire un accordo transattivo (Cass. 4885/2006; 4844/1997; sez. un. 4669/1991).

La sentenza impugnata che non si è attenuta a questi principi va pertanto cassata anche per avere attribuito gli interessi compensativi a decorrere dalla domanda giudiziale, piuttosto che dalla data di pubblicazione della decisione 223/1983 della Corte Costituzionale; ed avere infine respinto la richiesta di svalutazione monetaria a decorrere dalla domanda giudiziale, in base alla mera considerazione che tratta vasi di debito di valuta; la quale comportava soltanto che il relativo riconoscimento non potesse avvenire automaticamente, ma previa dimostrazione da parte del debitore dei relativi presupposti, invece neppure presi in considerazione dalla Corte territoriale, non attenutasi alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui: a) il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali; b) ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva (Cass. sez. un., 19499/2008; 20753/2009; 12609/2010).

Il giudizio va quindi rinviato alla medesima Corte di appello di Bari, che in diversa composizione si atterrà ai principi esposti e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi e li accoglie nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012


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