Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-01-2013) 01-03-2013, n. 9845

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione S.F. e L.R. avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari in data 5 novembre 2010 con la quale, a parte una modifica del trattamento sanzionatorio riguardante il primo ricorrente, è stata confermata la condanna inflitta in primo grado (nel 2007), in ordine a due distinte imputazioni di bancarotta fraudolenta impropria in concorso, nelle forme sia patrimoniale che documentale, concernenti due società aventi simile oggetto sociale (il commercio all’ingrosso di frutta).

Tali reati sono stati ritenuti commessi, il primo, con riferimento al fallimento della Inserfrutti S.r.l., dichiarato il 25 marzo 1998- essendone stato il S. a vario titolo amministratore di diritto e/o di fatto, ed avendo agito, la L., in concorso, quale extranea, essendo peraltro convivente del primo, madre dei suoi figli e, in seguito anche moglie; il secondo reato di bancarotta è stato invece configurato con riferimento al fallimento di Frutta Si S.r.l., dichiarato l'(OMISSIS), essendone stato il S. amministratore legale alternativamente alla L. ed avendo quest’ultima agito anche quale extranea concorrente con il S..

Le distrazioni addebitate al S. (Capo A) avevano avuto ad oggetto, quanto al primo fallimento, i crediti verso clienti per oltre L. 1 miliardo, nonchè giacenze di cassa per circa L. 800 milioni.

Più in particolare, con riferimento a tale fallimento, era stata addebitata ad entrambi – e cioè al S. quale amministratore e alla L. quale extranea ( Capo B) – la distrazione della somma di oltre 424 milioni di lire versata, tra la fine del 1996 e l’inizio del 1997, per il pagamento di un debito che Standa spa aveva contratto nei confronti della Inserfrutti, ma che era stata acquisita alle casse della Frutta Si, all’epoca amministrata dalla L..

Le alterazioni contabili concernenti tale procedura fallimentare – contestate al solo S. – avevano riguardato la contabilizzazione di ammortamenti per il 1994,95 e 96 in modo tale da far risultare fittiziamente un minor passivo e la contabilizzazione degli incassi dei crediti.

Le distrazioni relative al secondo fallimento – addebitate in concorso ai due imputati (Capo Q – avevano inoltre avuto ad oggetto un immobile sito in (OMISSIS), venduto probabilmente in forma simulata – giacchè in realtà si era trattato di una cessione a titolo gratuito – ad una società appartenente per il 90% alla L. (società Centro Frutta), per un prezzo mai incassato dalla società alienante, nonchè impianti ed attrezzature registrate bilancio per un valore di 289 milioni di lire, non ritrovate dal curatore e ritenute distratte sia dal S. che dalla L., quest’ultima sia nella qualità di amministratore di diritto che, successivamente, quale extranea concorrente con il S..

La bancarotta documentale aveva invece riguardato la tenuta assolutamente irregolare delle scritture contabili fino al 1997 e la assenza di quelle successive.

Ad entrambi gli imputati è stata contestata la aggravante della causazione di un danno di rilevante gravità e la recidiva reiterata, poi ritenute nel computo della pena e, nei confronti della sola L., cadute in bilanciamento con le attenuanti generiche, in termini di equivalenza.

Deduce la difesa di S.:

1) il vizio della motivazione in ordine alla attribuzione, al S., della qualità di amministratore di fatto dal 7 ottobre ’95 al 9 dicembre 2006, essendo successivamente nuovamente divenuto, pacificamente, amministratore di diritto.

La difesa lamenta in primo luogo la mancata risposta, da parte della Corte d’appello, alle censure con le quali si era segnalato che la anzidetta qualità non era stata motivata con riferimento ai criteri previsti dall’art. 2639 c.c.; inoltre non si erano tenute nel debito conto le contrarie deposizioni dei dipendenti della società, essendo state valorizzate quelle – generiche o inconferenti – di altri testi.

Infatti, rileva la difesa che le dichiarazioni del sindaco della società, B., avevano riguardato un potere di amministrazione del S., sicuramente esercitato anche formalmente fino ad ottobre ’95 e dopo il gennaio 97, senza dunque precisare se le sue osservazioni avessero riguardato anche il periodo intermedio.

D’altra parte, lo stato di malattia della sorella S.E. non può che essere stato successivo alla esecutività delle sue dimissioni, posto che, precedentemente, essa era comparsa in numerosi atti di gestione.

In particolare, come affermato dal teste P. (con dichiarazioni asseverate da documenti allegati al ricorso dal n. 4) al numero 11)), S.E. aveva formalmente gestito i versamenti della Standa spa effettuati tra ottobre 1996 e gennaio 1997, compreso l’ultimo che, perciò – osserva la difesa – diversamente da quanto sostenuto in sentenza, essendo realizzato il 22 gennaio ’97, non poteva essere riconducibile ai poteri di gestione dell’imputato.

Anche il teste Simula, dipendente bancario, aveva dichiarato di non avere avuto a che fare con l’imputato.

Inoltre la deposizione del teste G., dipendente del Banco di Sassari, era stata travisata dalla Corte in quanto quello si era limitato a dare conto di qualche rapporto di sportello avuto con l’imputato, ma non anche ad escludere che S.E. avesse svolto il proprio ruolo di amministratrice.

Il teste M., ingiustamente svalutato dalla Corte territoriale, era stato invece preciso nella distinzione dei ruoli di S. E. e di suo fratello che si occupava soltanto del settore degli acquisti.

Inoltre la difesa denuncia l’errore, in cui sarebbe incorsa la stessa Corte, nel ritenere che il S. avrebbe (ri)assunto la qualità di amministratore formale della Inserfrutti a partire dal 9 dicembre 2006 mentre era emerso dalla stessa relazione del curatore, Dott.ssa La., che il 9 dicembre era la data del verbale di assemblea ordinaria in cui era stata attestata la cessazione dalla carica da parte di S.E., sorella dell’imputato, la quale, fino a quella data, aveva operato e firmato atti societari nella qualità:

soltanto il 30 gennaio 2007 il verbale era stato trascritto nel registro delle imprese, con assunzione della carica da parte del ricorrente;

2) il vizio della motivazione con riferimento all’attività distrattiva di cui al capo A) primo punto (crediti).

Nessuna motivazione contiene la sentenza in ordine alla qualità, quantità e valore dei beni strumentali che si dicono distratti.

Lo stesso rilievo di genericità della motivazione è formulato con riferimento alla presunta distrazione dei crediti della società, con riferimento ai quali, peraltro, il curatore nella sua relazione ha chiarito che sono stati incassati principalmente nel 1996 ossia quando amministratore formale e sostanziale era S.E. che si occupava essenzialmente della gestione dei danari e della contabilizzazione.

Inoltre quei crediti – a parte quelli concernenti la Standa – non erano stati dettagliatamente indicati in motivazione, nè risulta allegato al processo alcun atto societario (bilancio o libro degli inventari o altro), dal quale possa ricavarsi un dato preciso in tal senso.

Pertanto, se si eccettuano le indimostrate dichiarazioni del curatore, risulta non rispettato, ad avviso della difesa, il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità (sent. n. 39942 del 2008 e il n. 1200 del 2010) secondo cui la distrazione non può che riguardare beni di cui il giudice abbia accertato la pregressa esistenza nella disponibilità della società, valutando a tal fine anche l’attendibilità delle scritture contabili, peraltro nel caso di specie mancanti. La difesa segnala anche la sent. n. 2132 del 2010 nella quale si chiarisce che la eventuale iscrizione di un credito nel libro giornale va valutata ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2, come indizio della esistenza del credito, non potendo trovare applicazione le norme civilistiche sulla opponibilità ai terzi delle iscrizioni stesse (art. 2710 c.c.).

La difesa critica altresì la conclusione della Corte territoriale sulla distrazione di incassi testimoniati dalle ditte debitrici della società, non essendo stata rinvenuta alcuna ricevuta o traccia documentale in tal senso.

I suddetti rilievi e specialmente il riferimento dei presunti incassi, per dichiarazione del curatore, ad epoca nella quale la carica di amministratore formale e sostanziale era riferibile a S.E., avrebbero dovuto portare il giudice del merito a non ritenere addebitabile all’imputato la bancarotta documentale commessa omettendo la contabilizzazione degli incassi stessi, essendo, tale condotta, addebitabile esclusivamente all’amministratore legale;

3) il vizio di motivazione con riferimento all’attività distrattiva di cui al capo A) punto due (giacenze di cassa).

L’addebito è stato motivato sulla base del dato della giacenza di cassa risultante dal libro giornale al gennaio 1998, ma di tale libro, solo riportato nella relazione del curatore, non vi è traccia in atti, così mancando uno degli elementi indizianti per l’affermazione di responsabilità. D’altra parte, la Corte territoriale si era liberata troppo sbrigativamente della affermazione dell’imputato secondo cui quel libro giornale recava scritture non aggiornate e comunque tali da non tenere conto di tutta un’attività di pagamento in nero di debiti societari;

4) il vizio della motivazione con riferimento all’attività distrattiva riguardante i crediti verso Standa (capo A) prima parte).

La difesa aveva lamentato in primo luogo la illogicità della presunzione della distrazione che, se realmente voluta, non sarebbe stata realizzata in modo così eclatante.

La verità dei rapporti tra le due società fallite, mai accertata dai curatori che non si erano coordinati fra di loro, era quella della esistenza dei rapporti stessi, di natura sia commerciale e finanziaria.

E tanto si poteva desumere dalla relazione del curatore Dott. A. nella quale si evidenziava come le due società operassero compensazioni dei reciproci debiti di crediti.

Con riferimento alla posizione del S. la difesa si richiama a tutti i rilievi sopra svolti per contestare la esistenza di una valida motivazione concernente il ruolo di amministratore di fatto, dal quale si è fatta discendere la responsabilità dell’ammanco.

Nel merito, comunque, denuncia come manifestamente illogico il ragionamento della Corte territoriale la quale, pur avendo ammesso l’esistenza di rapporti commerciali fra le due società fallite, documentati anche nella relazione del curatore, con parziale compensazione di debiti e crediti, aveva poi immotivatamente escluso la tesi della esistenza di crediti da parte di Frutta Si, beneficiaria dei bonifici della Standa: una tesi dalla quale, invece, doveva scaturire la configurabilità della sola bancarotta preferenziale (reato prescritto) che pure era stata inizialmente presa in considerazione dal pubblico ministero e che il consulente da questi officiato, Dott. D., nella sua relazione non si era dichiarato in grado di poter escludere.

In conclusione la difesa sostiene che sia del tutto illogico escludere, come ha fatto la Corte d’appello, che tra le due fallite non fossero stati realizzati reciproci finanziamenti, essendo stato da essa sottoposto ai giudici del merito il dato secondo cui al 30 dicembre 1996 erano risultati due pagamenti di debito da Frutta Si ad Inserfrutti, per un complessivo ammontare di circa L. 400 milioni, evidentemente – sostiene la difesa – in restituzione di un pari ammontare dei finanziamenti fatti da Inserfrutty a Frutta Si.

A parte segnala il pagamento, successivo, mediante il bonifico incassato alla fine di gennaio 1997 che, secondo la difesa "potrebbe rappresentare un pagamento preferenziale ulteriore".

La difesa contesta altresì, alla luce degli argomenti già svolti, che vi sia una valida motivazione sulla riferibilità della condotta di bancarotta fraudolenta documentale relativa alla omessa contabilizzazione di incassi di crediti, contestata al capo A).

5) il vizio di motivazione con riferimento alla bancarotta documentale contestato al capo A) relativamente alla omessa contabilizzazione degli ammortamenti.

La difesa denuncia al riguardo il vizio di motivazione in quanto la Corte d’appello non ha in indicato, nonostante i rilievi della difesa, quali sarebbero stati i valori di ammortamento erroneamente omessi e, a monte, quale sarebbe l’accertamento dell’abbattimento di valore dei beni della società. Sul punto, la risposta del giudice dell’appello è stata assertiva e semplicemente recettiva delle conclusioni del curatore, tenuto conto che non vi sono in atti i bilanci o gli allegati sui quali il curatore si è espresso, essendosi consentito al curatore, senza il vaglio del giudice, di sostanziare la affermazione di responsabilità;

6) la falsa applicazione della L. Fall., art. 216 con riferimento all’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale di cui al numero che precede.

In particolare, secondo la difesa è rimasta priva di riscontro l’affermazione del curatore secondo cui i beni mobili della società avrebbero perso di valore perchè utilizzati e comunque si tratterebbe di un omessa contabilizzazione che non è in grado di integrare il reato addebitato;

7) il vizio di motivazione con riferimento alla bancarotta per distrazione di cui al capo C) (immobile di (OMISSIS)).

Sostiene la difesa che, pur essendosi fatto notare nei motivi d’appello che la vendita dell’immobile di (OMISSIS) era stata dovuta alla necessità di evitare che fosse venduto all’asta a causa di debiti insoluti della società per un mutuo contratto, e che comunque, era stata seguita dalla corresponsione di un anticipo di 97 milioni di lire, da parte dell’acquirente, i giudici avevano ritenuto sufficiente rilevare che non vi era prova di come quella somma fosse stata utilizzata dalla fallita mentre si sarebbero dovuti limitare a verificare se vi fosse prova contraria dell’avvenuto effettivo pagamento di quel prezzo e quindi del suo incasso da parte della fallita, come del resto attestato nel rogito.

Ancora una volta i giudici avevano recepito le affermazioni del curatore o del consulente del pubblico ministero, i quali tuttavia non avevano messo a disposizione del giudice e della difesa tutti i libri contabili.

Ed invece erano stati segnalati, dalla stessa difesa, tantissimi versamenti effettuati dal ’95 al ’97 da Frutta si in favore di Inserfrutti, del tutto trascurati dal curatore e dal consulente del Pm.

Allo stesso modo si era proceduto per presunzioni mentre è l’accusa che deve dare la prova della cattiva utilizzazione dei beni della società.

Ancora, non era stata valutata la documentazione prodotta della difesa a dimostrazione del fatto che era stata esercitata l’azione revocatola relativa all’immobile e che questo è stato nuovamente venduto alla società Centro frutta dopo il fallimento di Frutta si, la quale, dunque, non poteva dirsi mai privata del bene a garanzia dei creditori.

In ogni caso, poi, mancava l’elemento psicologico del reato poichè il bene era stato venduto non già per sottrarlo ai creditori della società ma con l’intento esattamente opposto, ossia per impedire che il bene fosse acquisito dalla banca creditrice;

8) il vizio di motivazione e la falsa applicazione dell’articolo 217 legge fallimentare con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo C).

Sostiene la difesa che la fittizietà delle annotazioni è stata affermata dalla Corte di merito semplicemente recependo talune osservazioni del curatore ma senza potere capillarmente valutare la documentazione, essendo rimasta una affermazione apodittica quella secondo cui le poste iscritte non erano giustificate da reali rapporti sottostanti. D’altra parte lo stesso dottor D., c.t.

del Pm, in udienza non aveva affermato il carattere fittizio delle operazioni ma solo la inaffidabilità della data delle iscrizioni.

Per quanto concerne la parte della contestazione inerente al omessa consegna delle scritture contabili al curatore, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto dei rilievi della difesa secondo cui l’imputato non aveva mai ricevuto la lettera del curatore che gli comunicava il fallimento e comunque non era nel possesso della documentazione della società che si trovava, invece, in buona parte presso la società Prosoft, come il curatore ben sapeva per averlo appreso dalla Guardia di Finanza, essendo oltretutto l’unico legittimato a richiedere ed ottenere la documentazione stessa del relativo depositario;

9) il vizio della motivazione con riferimento alla bancarotta per distrazione dei beni strumentali di cui al capo C).

Sostiene la difesa che la individuazione dei beni in questione attraverso la loro menzione nei bilanci della società sia il frutto di un errore percettivo da parte della Corte d’appello tenuto conto che i bilanci che si dicono acquisiti, invece non sono in atti e d’altra parte le affermazioni del consulente del pm, dottor D., sono rimaste generiche.

Non sono in atti, d’altra parte, i documenti dell’acquisto dei beni o il libro degli inventari, sicchè può dirsi che la Corte d’appello non abbia rispettato l’orientamento giurisprudenziale che pone a carico del giudice l’onere di dimostrare, al di là della iscrizione nelle scritture contabili, la effettiva disponibilità del bene da parte della società;

10) il vizio della motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche, avendo, la Corte, soprattutto omesso di valutare il fattivo e determinante contributo reso dal ricorrente ai fini della ricostruzione delle vicende societarie.

Deduce la difesa di L.:

1) la nullità dell’ordinanza in data 20 marzo 2009 con la quale, in sede di appello, è stata dichiarata la contumacia.

Tale ordinanza è stata emessa da un collegio composto, tra gli altri, da due giudici che successivamente si erano dichiarati incompatibili venendo sostituiti.

Si era trattato, dunque, di una decisione adottata da un giudice non imparziale e pertanto in violazione dell’art. 6 della Cedu e dell’art. 47 della Carta di Nizza: due fonti da ritenere comunitarie e quindi capaci di comportare la disapplicazione della giurisprudenza che interpreta le norme di rito nazionali come idonee a giustificare la dichiarazione di contumacia e comunque capaci di determinare la remissione degli atti alla Corte costituzionale per violazione dell’articolo 117 Cost. ad opera delle menzionate norme di diritto.

Invero, sottolinea la difesa, come la dichiarazione di contumacia sia conclusiva di una fondamentale procedura di controllo della regolare costituzione delle parti e non un provvedimento meramente ordinatorio.

Tale insanabile irritualità aveva fatto sì che quando, per l’udienza del 6 maggio 2009, la difesa dell’imputata aveva fatto valere un impedimento assoluto di costei, il rinvio a nuova udienza, pure concesso e disposto, avrebbe dovuto comportare la notifica dell’avviso all’imputata che non poteva ritenersi contumace e quindi neppure rappresentata dal difensore.

Tale avviso invece era mancato, con conseguente nullità assoluta dell’udienza e di quelle successive.

Oltre a ciò la difesa evidenzia che l’imputata, anche ove fosse stata regolarmente dichiarata contumace, avrebbe avuto diritto alla notifica dell’avviso dell’udienza di rinvio, posto che sia l’articolo 6 della Cedu che la carta di Nizza, prevedendo il diritto dell’imputato di vedere realizzata una diretta e personale partecipazione al processo, comportano la impossibilità di ritenere che l’imputato contumace sia considerato rappresentato dal difensore, specie ai fini dell’avviso per l’udienza di rinvio;

2) il vizio di motivazione con riferimento all’attività distratti va contestata al capo B), relativa ai crediti diversi da quelli vantati da Inserfrutti verso Standa spa.

Sostiene la difesa che tale imputazione prevedeva la contestazione alla ricorrente del concorso, col marito S., nella distrazione non solo dei crediti vantati verso la Standa, ma anche di quelli ulteriori indicati nel capo A): una distrazione che non poteva però essere ricondotta alla ricorrente sotto nessun profilo.

Sul punto la difesa non ritiene logica la attestazione della Corte d’appello secondo cui la distrazione dei crediti di Inserfrutti, diversi da quelli vantati verso la Standa, non sarebbe stata contestata o addebitata all’imputata L.. L’affermazione contraria si trovava infatti a pagina 20 terzo capoverso della sentenza di primo grado e tale rilievo comportava la mancanza assoluta di motivazione della sentenza impugnata riguardo al motivo di appello in questione dovendosi considerare che la L. non aveva mai rivestito cariche formali o di fatto all’interno della società Inserfrutti, cosicchè la sua eventuale compartecipazione a titolo di extranea concorrente avrebbe dovuto poggiare su un corredo probatorio adeguato anche sotto il profilo dell’elemento psicologico;

3) Il vizio di motivazione con riferimento alla distrazione dei crediti verso Standa (capo B), sulla base degli argomenti già esposti a sostegno del motivo n. 4), articolato nell’interesse di S.;

4) il vizio di motivazione con riferimento alla bancarotta per distrazione dell’immobile di (OMISSIS), contestata al capo C).

Evidenzia la difesa che tale attività distrattiva era stata imputata alla ricorrente in concorso con suo marito, senza chiarire, con riferimento all’atto della presunta distrazione, quale fosse l’esatta posizione giuridica della L.: invero, se si fosse trattato della posizione dell’extraneus concorrente con l’amministratore legale (la ricorrente era stata amministratrice legale dal maggio del 1995 fino al 16 febbraio 1998, mentre il marito lo era stato nel periodo antecedente ed in quello successivo fino al fallimento), la sentenza avrebbe dovuto dare conto del contributo causale e dell’elemento psicologico propri dell’exstraneus secondo i principi esposti dalla Cassazione nella sent. n. 41333 del 2010.

In punto di fatto, la difesa oltre a riportare tutte le argomentazioni sopra già sviluppate al motivo numero 7) concernente il ricorso di S., aggiunge che la ricorrente, all’atto della vendita stipulata dall’amministratore S., non era più amministratrice della società Frutta si da 10 mesi, così come era estranea alla compagine di gestione della società acquirente: aveva dunque agito da concorrente exstraneus nel reato proprio commesso da S., avendo diritto a vedere motivata la propria partecipazione al reato.

Essa non aveva neppure partecipato alla stipula del contratto mentre l’essere titolare del 90% delle quote sociali non giustificava alcuna presunzione di concorrenza nel reato;

5) il vizio di motivazione con riferimento alla bancarotta fraudolenta relativa i beni strumentali (capo C), e alla bancarotta documentale di cui ai capi B) e C).

La ricorrente non era stata amministratore neppure di fatto della società Inserfrutty, con la conseguenza che mancava del tutto la motivazione sul suo apporto causale dei comportamenti del S., essendosi la corte limitata a lumeggiare la consapevolezza dello stato di dissesto della società menzionata.

Inoltre, come sopra già rilevato al punto 8) del ricorso di S., è risultata destituita di fondamento, soprattutto alla luce delle generiche osservazioni del consulente tecnico del pubblico ministero, che le annotazioni contabili fossero fittizie, non essendo stata effettuata una ricerca capillare per sostenere tale assunto.

Si riportano i rilievi sopra articolati al punto 9) del ricorso di S. a proposito della distrazione di beni strumentali, sottolineando, con riferimento la posizione della ricorrente, che era mancata la motivazione il suo contributo causale al riguardo, essendo essa cessata dalla carica un anno prima;

6) il vizio della motivazione con riferimento alla richiesta di concessione della prevalenza delle attenuanti generiche.

Era stato, invero, presentato un successivo atto di appello in data 2 novembre 2001 (rectius, 2010), nel quale era stata dedotta la illegittimità della recidiva reiterata e infraquinquennale: infatti alla data dei commessi reati, risalente al più tardi al 1999, non poteva dirsi che l’imputata fosse nella suddetta condizione, tenuto conto che le condanne da essa riportate erano relative a reati contestati con decreti penali del 2002, 2003 e 2004.

Inoltre la determinazione della pena era errata perchè non era stata computata la diminuzione dovuta per le attenuanti generiche nonostante che il reato più grave fosse stato considerato quello sub C), non prevedente l’aggravante del danno di rilevante gravità e invece aggravato dalla recidiva che non sussisteva.

Tali motivi di appello erano stati presentati del tutto tempestivamente se si fosse riconosciuto che la notifica dell’avviso di deposito della sentenza impugnata era stato irregolare e quindi il termine per l’impugnazione non aveva cominciato a decorrere. Invero aveva sostenuto la difesa che non era presente in atti la ricevuta di ritorno della seconda raccomandata contenente l’avviso di mancato recapito e di deposito presso l’ufficio postale del primo plico raccomandato, con l’atto da notificare.

La Corte d’appello aveva replicato osservando che era stata data applicazione all’art. 157 c.p.p., norma che non prevede la necessità di una seconda raccomandata.

Senonchè, rileva la difesa come la questione sottoposta alla Corte non fosse quella della citazione in appello e tantomeno della operatività dell’articolo 157cpp: si trattava di bensì del tema della notifica, con il servizio postale ai sensi dell’art. 170 c.p.p., dell’estratto contumaciale della sentenza. Una norma che prevede l’applicazione di quelle speciali e quindi della L. n. 890 del 1982.

Ribadisce dunque la difesa che non vi è in atti la ricevuta di spedizione della raccomandata con cui veniva comunicato alla L. il tentativo di notificazione della sentenza e il deposito presso l’ufficio postale: è presente soltanto la insufficiente attestazione in tal senso dell’ufficiale giudiziario, tratta da un estratto del registro unico notifiche (sentenza numero 2941 del 2008).

Ad ogni buon conto manca anche la ricevuta di ricevimento della predetta raccomandata, non potendosi ritenere sufficiente il decorso di 10 giorni dall’invio.

E ciò alla luce dell’art. 6 della Cedu e dell’art. 47 della carta di Nizza che richiedono una conoscenza non solo formale dell’atto da notificare (vedi sentenza della Corte di giustizia Collazzo c/ Italia del 12 febbraio 1985 e la sentenza Seidovic c/ Italia del 10 novembre 2004).

In conclusione la difesa sostiene la contrarietà alle norme internazionali, dell’art. 8 c.p.c., comma 2, secondo cui la notifica si perfeziona con il semplice invio della raccomandata: norma che pertanto va disapplicata o rimessa alla Corte Costituzionale.

La difesa prospetta anche una questione di legittimità costituzionale delle norme del codice di rito nonchè della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, ove interpretate nel senso di ritenere che possa decorrere il termine per l’esercizio di un diritto anche nel caso in cui non vi sia prova della conoscenza dell’atto da cui scaturisce il diritto stesso: e in particolare che possa decorrere dalla perfezionata giacenza dopo il decorrere dei 10 giorni.

La sentenza doveva dunque essere riconosciuta carente di motivazione sul motivo d’appello con cui era stata dedotta la ritualità della recidiva.

Inoltre la Corte aveva irritualmente ritenuto che la individuazione del reato più grave, da parte del primo giudice, fosse il frutto di un semplice errore materiale mentre si era in presenza, semmai, di una nullità, incompatibile con l’errore: invece proprio il reato sub C) era il più grave perchè conteneva la contestazione di più fatti di bancarotta.

I ricorso di S. è infondato e deve essere rigettato.

In ottanta pagine di ricorso la difesa sottopone a questa Corte censure nella massima parte attinenti al vizio della motivazione che, nella forma della mancanza o della manifesta illogicità o ancora del travisamento, riguarderebbe le tematiche fondamentali affrontate dei giudici del merito con riferimento alla affermata responsabilità dell’imputato, anche come amministratore di fatto, in relazione alle due ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale contestate relativamente ai fallimenti delle società Inserfrutta e Frutta si, risalenti rispettivamente al 1998 e al 1999.

Si tratta, tuttavia, di censure formulate al limite della inammissibilità in quanto, pur denunciando i vizi in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), finiscono per sostanziarsi in una sollecitazione, rivolta al giudice di legittimità, a procedere ad una valutazione autonoma ed alternativa delle risultanze di prova, in realtà già adeguatamente esaminate dal giudice del merito e per questo sottratte al sindacato della Cassazione.

Giova ricordare che in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (rv 215745).

E così, relativamente alla denuncia di mancanza di motivazione sulla qualità di amministratore di fatto, la Corte d’appello ha preso le mosse-condividendolo – dal rilievo del primo giudice, riportato a pagina 6 e seguenti della sentenza impugnata, secondo cui almeno due testi – dei quali uno particolarmente qualificato nelle conoscenze dei fatti societari essendone stato sindaco – avevano reso dichiarazioni nel senso della ipotesi accusatoria: e cioè che l’imputato S. – del quale gli era nota la qualità di amministratore della società dal ’92 al ’95 e poi dall’inizio del 1997 al fallimento – aveva operato quale amministratore – evidentemente di fatto – anche nel periodo intermedio poichè aveva rappresentato in concreto gli interessi della società in tutte le sedi che lo richiedevano. Oltretutto facendo notare come in detto periodo intermedio, la concorrente carica formale in capo alla sorella E., non poteva essere citata come sintomo di incompatibilità, posto che la concorrenza della gestione in capo ai due fratelli trovava giustificazione anche nel fatto che la amministratrice formale era, in quei tempi, affetta da una grave malattia ed aveva inviato una lettera di dimissioni, "suscitando nel fratello solo una reazione infastidita", per essere poi sostituita soltanto a distanza di mesi.

La Corte, in altri termini, ha preso atto delle censure sul punto articolate dalla difesa – comprese quelle afferenti i testi che avevano reso dichiarazioni utili per essa – ed ha congruamente replicato effettuando la valutazione delle prove che le competeva, mediante la selezione di quelle che ha ritenuto motivatamente attendibili e decisive.

In particolare ha sottolineato come la deposizione del sindaco B. non fosse affatto generica ma avesse inteso coprire l’intero periodo di rilievo a sostegno della tesi dell’accusa.

Le critiche della difesa sul punto risultano, in conclusione articolate sul piano fattuale e volte a contrapporre alle scelte valutative della Corte d’appello quelle che, diversamente, sarebbero favorevoli alla propria tesi.

La disamina della questione si chiude con l’osservazione – tratta dalla costante giurisprudenza- che il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall’art. 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore "di fatto" di una società è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore "di diritto", per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili (Sez. 5, Sentenza n. 15065 del 02/03/2011 Ud. (dep. 13/04/2011) Rv. 250094).

Con riferimento, in particolare, alle questioni relative alla responsabilità per le ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, le censure della difesa appaiono ugualmente toccare il limite della inammissibilità, non essendo qui in discussione la condivisibilità dei principi da essa evocati in linea di principio e che sono compendiabili nel seguente: la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richiede l’accertamento della previa disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa; accertamento non condizionato dalla presunzione di attendibilità del corredo documentale dell’impresa che non obbedisce – per quel che concerne il delitto in questione – alla qualificazione in termini di prova, ex art. 2710 cod. civ.; infatti, ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., la risultanza deve essere valutata (anche nel silenzio del fallito) con ricerca della relativa intrinseca attendibilità, secondo i consueti parametri di scrutinio, di cui deve essere fornita motivazione (Sez. 5, Sent. n. 7588 del 26/01/2011, Rv. 249715; conformi: N. 40726 del 2006 Rv. 235767, N. 22787 del 2010 Rv. 247520, N. 35882 del 2010 Rv. 248425).

Senonchè, si rinviene, nella sentenza impugnata, un adeguato giudizio sull’accertamento della esistenza dei crediti della società e delle giacenze di cassa di cui non è stata trovata traccia, in seguito, dal curatore. In particolare, i crediti verso la società Stantia non sono neppure oggetto di tale censura essendo pacifica anche per il ricorrente la loro insorgenza in favore della Inserfrutti.

Per quanto concerne i crediti ulteriori, il giudice dell’appello ne ha motivatamente desunto la esistenza non solo del fatto che risultavano iscritti nel libro giornale al 31 dicembre 1997, ma soprattutto dal rilievo che il curatore ne aveva verificato l’incasso "presso ciascun creditore" per un importo complessivo di circa L. 1 miliardo e mezzo.

Al riguardo, le numerose censure del ricorrente volte a sostenere che non vi sarebbero in atti le scritture contabili verificate dal curatore e che non risulterebbero acquisite le prove documentali dei detti pagamenti non sono apprezzabili da parte della Cassazione, poichè attengono alle modalità di formazione della prova utilizzata dalla Corte di merito e potevano e dovevano trovare spazio, dunque, esclusivamente nella sede di formazione della prova stessa attraverso contestazioni rivolte, eventualmente, al curatore e poste a fondamento di specifiche e rilevanti censure rivolte sia al giudice di primo grado che a quello d’appello.

La deposizione del curatore a proposito della attività di verifica contabile e storica da esso effettuata è stata valutata dal giudice del merito nella sua attendibilità e nelle sue conclusioni e non può pertanto costituire oggetto di nuovo apprezzamento di merito da parte di questa Corte, una volta che non risulti denunciata tempestivamente la sua eventuale falsità oppure la insuperabile carenza degli accertamenti, ben potendo una prova orale essere considerata dimostrativa anche in sostituzione della non sempre esistente prova documentale.

In ordine, poi, alla tematica affrontata dalla difesa in relazione alla distrazione dei crediti vantati da Inserfrutty nei confronti di Stantia, è appena il caso di rilevare come il motivo di ricorso si collochi, in maniera evidente, nell’area della inammissibilità in quanto con esso si sostiene, da parte della difesa medesima, addirittura, non la esistenza ma la mera possibilità della esistenza di una versione alternativa della vicenda: e cioè quella secondo cui i crediti sarebbero stati girati in favore di una società terza probabilmente a titolo di pagamento o di restituzione di somme da quella in precedenza versate alla prima. Con il che si è sostenuta la richiesta di qualificazione del fatto come bancarotta preferenziale. Si ricava, in vero, dalla stessa rappresentazione del motivo di ricorso che la tesi accreditata dalla Corte territoriale non è censurabile.

La difesa non ha infatti potuto validamente contrastare o dimostrare la manifesta illogicità dell’assunto sostenuto in sentenza secondo cui non è stata acquisita alcuna prova o anche soltanto alcun indizio serio del fatto che il trasferimento delle somme pagate da Standa, in favore di una società diversa dalla creditrice Inserfrutty, fosse stato giustificato da un interesse imprenditoriale di quest’ultima ovvero da uno specifico e dimostrato rapporto di debito che questa avesse contratto con la società che aveva incassato il valore dei crediti e cioè Frutta Si.

E’ la difesa, infatti, a sostenere, con argomentazioni che essa stessa definisce meramente sintomatiche ma non dimostrative, che le due società fallite avevano scambi commerciali e finanziari i quali, tuttavia, non sono stati ricostruiti nel dettaglio e comunque non in termini utili a dimostrare una valida causale per il passaggio della somma di oltre 400 milioni di lire dalla legittima titolare ad una società terza, oltretutto in un periodo nel quale i giudici del merito hanno accertato che la prima si trovasse, già, in una grave e irreversibile situazione economica a causa della perdita del maggior cliente.

Per quanto infine concerne la responsabilità per il reato di bancarotta documentale, valgono le osservazioni sopra formulate a proposito della completezza dell’accertamento operato dal giudice del merito, sulla base delle dichiarazioni e del lavoro espletato, al riguardo,dal curatore.

In particolare, risultano versate in fatto e comunque generiche e non documentate le osservazioni della difesa secondo cui non rappresenterebbe un’irregolarità contabile la omessa annotazione degli ammortamenti.

Sul tema appare immune da vizi logici il ragionamento accreditato dal giudice del merito secondo cui le immobilizzazioni del capitale in beni strumentali avevano subito un abbattimento di valore per effetto del relativo costo di utilizzazione, registrato negli anni dal 1994 – 1997, ma non contabilizzato come si sarebbe dovuto.

Passando quindi alle censure sulla motivazione in tema di responsabilità, con riferimento la seconda bancarotta (Frutta Si), non possono che formularsi osservazioni analoghe.

Sul tema, in particolare, la Corte ha ritenuto motivatamente integrato il reato di bancarotta per distrazione, una volta che ha ritenuto accertata la cessione ad altro soggetto giuridico, dell’immobile appartenente al patrimonio societario, e il mancato introito, da parte della società fallenda, di un corrispondente utile. Tale cessione è stata ritenuta, dalla Corte, a titolo gratuito e quindi di natura distrattiva in quanto non è stata trovata traccia alcuna del pagamento del corrispettivo dell’immobile, oltretutto entrato nella disponibilità di una società la quale apparteneva, per il 90% delle quote, alla moglie del S., sua coimputata nel presente processo.

Correttamente, poi, la stessa Corte si è fatta carico della ipotesi eventuale dell’effettivo versamento dell’importo di 97 milioni di lire, dichiarato nel contratto, ed ha posto in evidenza, in linea con la giurisprudenza costante di questa Corte, che anche in tale ipotesi di reato sussiste poichè, sul piano fattuale, l’imputato, pur sostenendo di avere ricevuto, nella qualità, la somma in questione non ha dato prova del suo utilizzo secondo gli interessi della società venditrice che egli rappresentava. Le critiche della difesa riguardo a tale osservazione sono del tutto infondate, posto che il giudice del merito ha dato applicazione al principio secondo cui in tema di prova del delitto di bancarotta fraudolenta, il mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari costituisce valida presunzione della loro dolosa distrazione, rilevante, ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., al fine di affermare la responsabilità dell’imputato. Non costituisce pertanto inversione dell’onere della prova il fatto che sia rimessa all’interessato la dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato (Sez. 5, Sentenza n. 2876 del 10/06/1998 Ud.

(dep. 03/03/1999) Rv. 212606 N. 7569 del 1999; Rv. 213636, N. 3400 del 2005 Rv. 2314119).

Ed inoltre, quanto all’argomento dell’essere stato l’immobile, nuovamente venduto, dal curatore, vale il principio giurisprudenziale secondo cui ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta, il pregiudizio ai creditori deve sussistere al momento della dichiarazione giudiziale di fallimento. Con la conseguenza che può non integrare un fatto punibile come bancarotta per distrazione soltanto la condotta, ancorchè fraudolenta, la cui portata pregiudizievole risulti annullata per effetto di un atto o di un’attività di segno inverso, capace di reintegrare il patrimonio della fallita prima della soglia cronologica costituita dall’apertura della procedura, quantomeno, prima dell’insorgenza della situazione di dissesto produttiva del fallimento (Sez. 5, Sentenza n. 8402 del 03/02/2011 Ud. (dep. 02/03/2011) Rv. 249721 Conformi: N. 7212 del 2006 Rv. 233604, N. 3622 del 2007 Rv. 236051, N. 39043 del 2007 Rv.

238212). Il recupero del bene distratto a seguito di azione revocatola non spiega alcun rilievo sulla sussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta, il quale – perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore – viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero della "res" rappresenta solo un "posterius" – equiparabile alla restituzione della refurtiva dopo la consumazione del furto – avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che è tutelata anche la mera possibilità di danno per i creditori (Sez. 5, Sentenza n. 39635 del 23/09/2010 Ud. (dep. 10/11/2010) Rv. 248658; Conformi: N. 6168 del 1987 Rv. 175976, N. 4739 del 1999 Rv. 213120, N. 4150 del 2001 Rv.

219663, N. 17384 del 2005 Rv. 231853).

Infine appare destituito di fondamento anche il motivo di ricorso concernente la mancata concessione delle attenuanti generiche, posto che tale statuizione risulta supportata da un motivato bilanciamento degli elementi riguardanti la personalità del prevenuto, essendo stati ritenuti prevalenti e decisivi quelli di segno negativo.

Il ricorso di L. è invece fondato nei termini che si indicheranno.

Il primo motivo è invero da rigettare.

La declaratoria di contumacia da parte di un collegio composto da giudici che, poi, in parte, si astengano, non necessita di essere reiterata.

Infatti – a differenza della rimessione il cui accoglimento comporta lo spostamento del processo in altro ufficio giudiziario – l’astensione o la ricusazione riguardano la sola persona del giudice, la cui sostituzione non comporta la inefficacia degli atti precedentemente compiuti, in quanto ai sensi dell’art. 42 cod. proc. pen., comma 2, è prevista in modo specifico la possibilità di stabilire con lo stesso provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, quali atti del processo conservano efficacia. Ne consegue che, qualora nel corso del processo si sia verificata la dichiarazione di astensione o di ricusazione di uno dei componenti del collegio giudicante, il giudice chiamato a giudicare resta sempre lo stesso anche se, trattandosi di organo collegiale, viene sostituita la persona fisica del giudice astenuto o ricusato da altro magistrato dello stesso ufficio designato secondo le leggi dell’ordinamento giudiziario (Rv. 207588). Inoltre si è affermato che anche l’accoglimento da parte della Corte d’appello di una istanza di ricusazione non comporta l’inefficacia di tutti gli atti del giudizio, ma solo di quelli compiuti dall’emissione del provvedimento di accoglimento della dichiarazione di astensione o di ricusazione in poi, i cui effetti si producono dunque "ex nunc" e non "ex tunc", in conformità a quanto previsto dall’art. 42 cod. proc. pen., comma 2 che disciplina le modalità di conservazione dell’efficacia degli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato (Rv. 232936).

Certamente, poi, come bene messo in risalto dal Procuratore generale di udienza, quello della indispensabile terzietà del giudice è principio che, in caso di astensione per precedente pronuncia sulla stessa vicenda processuale, non può ritenersi leso neppure nella prospettiva internazionale, dal mantenimento della declaratoria di contumacia effettuata dal giudice collegiale in parte poi astenutosi:

infatti la astensione, come il più generale principio di terzietà, nel caso in esame, si valorizzano per evitare una nuova pronuncia sul merito del processo da parte del giudice che ha già statuito al riguardo e dunque per impedire un nuovo apprezzamento del merito delle prove da parte di chi si è già espresso e non hanno, viceversa, a che vedere con la prodromica fase della verifica della regolare costituzione delle parti.

Risulta evocata impropriamente al riguardo la normativa pattizia internazionale posto che il giudizio contumaciale e le sue regole non sono bandite, in quanto tali dalla medesima.

Si è in realtà evidenziato più volte, dalla Corte edu, che è rilevabile la violazione dell’art. 6, par. 1 e 3 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo, quando al condannato in contumacia, del quale non era provata la volontà di sottrarsi alla giustizia o l’inequivoca rinuncia al diritto a comparire in giudizio, l’ordinamento non offra la possibilità di chiedere che un altro giudice statuisca nuovamente, nel rispetto del diritto alla difesa, sul merito della imputazione. Ed invero, quando un soggetto è condannato all’esito di un procedimento svolto in violazione dell’art. 6 CEDU, un nuovo processo o la riapertura del precedente a domanda dell’interessato rappresentano in via di principio il mezzo appropriato di riparazione della violazione constatata (vedi tra le molte, sentenza 11 sezione, 12 giugno 2007, Pititto contro Italia).

E tale profilo non riguarda il caso di specie nel quale la questione della irritualità della contumacia è posta con riferimento al giudizio di secondo grado, nel quale oltretutto risulta che la imputata è stata difesa di fiducia, avendo introdotto con cospicui motivi la fase del gravame, ed ha fatto valere come detto, anche una causa di impedimento legittimo, regolarmente recepita; essa inoltre era da considerarsi presente perchè rappresentata, per legge, dal difensore di fiducia ed è stata poi in grado di proporre ricorso per cassazione.

Deve dunque ribadirsi che alla udienza del 6 maggio 2009 bene si è regolato il Collegio nel disporre il rinvio per impedimento della imputata, ma comunicando la data al solo difensore presente che rappresentava la contumace (Sez. U, Sentenza n. 8285 del 28/02/2006 Ud. (dep. 09/03/2006)).

Con riferimento, poi, alla censura relativa alla motivazione in tema di corresponsabilità per le distrazioni dei crediti della società Inserfrutti, se ne rileva la parziale fondatezza.

Per vero, relativamente alla responsabilità della ricorrente in ordine alla distrazione dei crediti della Inserfrutty verso Standa, la motivazione della Corte di merito è adeguata e completa. Essa è in linea con i principi di diritto, frutto di un orientamento costante della giurisprudenza di legittimità in materia, e che di seguito si ricordano.

In primo luogo, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non richiede l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il dissesto dell’impresa, in quanto, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, detti fatti assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche quando l’impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza (Rv. 253490 Conformi: N. 11899 del 2010 Rv. 246356).

In secondo luogo, e nella stessa prospettiva, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione va considerato come reato di pericolo e non è dunque necessario, per la sua sussistenza, la prova che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori, il quale rileva esclusivamente ai fini della eventuale configurabilità dell’aggravante prevista dalla L. Fall., art. 219 (Rv. 252307 Conformi: N. 12897 del 1999 Rv. 214860).

Ed invero, il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è, come detto, reato di pericolo ed è pertanto irrilevante che al momento della consumazione l’agente non avesse consapevolezza dello stato d’insolvenza dell’impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato. (Rv. 251214).

Per configurare il reato di bancarotta fraudolenta a carico della persona estranea al fallimento, occorre che la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa (Conformi: N. 2501 del 1999 Rv. 212729;

Conformi: N. 2501 del 1999 Rv. 212729).

Ciò posto, non può non rilevarsi come la motivazione esibita dalla Corte di merito a giustificazione del giudizio di responsabilità formulato a carico della ricorrente in ordine al concorso nella distrazione dei crediti vantati da Inserfutty verso Standa è immune da censure, essendo indicativa del fatto, decisivo, che non è stata trovata giustificazione della corrispondente acquisizione patrimoniale da parte della società terza, amministrata dalla ricorrente e del fatto che costei, dunque, correttamente è stata riconosciuta effettiva beneficiaria e quindi concorrente nel reato.

A dimostrazione della sussistenza dell’elemento psicologico in capo alla ricorrente, la Corte ha anche posto esattamente in evidenza i suoi stretti legami familiari con l’imputato S., dal quale aveva avuto due figlie nate prima dei fatti in esame e cioè nel 1995 e nel 1996 e del quale era convivente prima ancora di sposarlo, così dando prova di strettissimi rapporti non solo professionali ma anche personali con il coimputato.

Analoghe osservazioni debbono essere effettuate con riferimento all’addebitato concorso nella bancarotta per distrazione relativa al fallimento di Frutta si, avente ad oggetto l’immobile di (OMISSIS), posto che la motivazione sulla corresponsabilità della ricorrente è stata fondata, motivatamente ed essenzialmente sul rilievo che essa era proprietaria al 90% della società beneficiaria della distrazione.

Proprio i principi di diritto sopra richiamati ed essenzialmente l’ultimo non sembrano sostenere, invece, la motivazione sull’addebito alla L., delle ipotesi di bancarotta per distrazione che hanno avuto ad oggetto i crediti della società Inserfrutty, diversi da quelli verso Standa Spa di cui sopra si è detto, e i beni strumentali indicati nel capo C), con riferimento cioè alla bancarotta relativa al fallimento di Frutta si.

Sono dunque fondati, in tali limiti, i motivi di ricorso sopra è riportati come 2 e come 5.

Risulta, quanto al primo punto, che la Corte d’appello ha escluso di dovere motivare (v. pag. 11) in ordine alla riferibilità anche alla L. della distrazione dei crediti di Inserfrutty diversi da quelli verso Standa spa, in quanto si tratterebbe di una condotta, al pari di quella concernente la distrazione delle giacenze di cassa, non contestata alla imputata; a costei, infatti, secondo la Corte di merito, sarebbe stata contestata ed addebitata – salvo il capo C) – la sola distrazione della somma di oltre 400 milioni di lire corrispondente al credito vantato da Inserfrutty nei confronti di Standa.

Senonchè, sul punto è corretta la doglianza della difesa che evidenzia come il capo B) della imputazione, riguardante la specifica posizione processuale della L., contenga la contestazione del concorso nelle distrazioni di cui al capo A, lett. a) punto 1 (riguardante il S.): che sono appunto le condotte concernenti l’incasso senza contabilizzazione di crediti di diversi clienti, tra cui Standa spa, per un importo complessivo pari ad oltre L. un miliardo e trecento milioni.

D’altra parte, nella stessa sentenza di primo grado, si afferma, a pag. 20, che è rimasta ampiamente dimostrata la ipotesi delittuosa appena descritta, contestata al S. in concorso con L. R..

Su tale tema, dunque, il ricorso della imputata, nel denunciare la totale carenza di motivazione, è sicuramente apprezzabile e va accolto.

Ma anche la motivazione a sostegno dell’addebito di corresponsabilità della ricorrente per la distrazione dei beni strumentali della società Frutta si non più rinvenuti, pur essendo la stessa cessata dalla carica di amministratore un anno prima del fallimento, va censurata perchè meramente assertiva e gravemente carente su punti decisivi.

A pagina 22 della sentenza impugnata, invero, si afferma che la ricorrente è stata ritenuta responsabile di aver agito in concorso con il marito, per il periodo in cui non era e la stessa amministratore della Frutta si, quale soggetto exstraneus.

La ragione dell’affermazione di responsabilità starebbe dunque nel rilievo ù esplicitato – che l’imputata era perfettamente a conoscenza, in ragione dei suoi rapporti documentati con il marito, dello stato di decozione in cui si trovava la società.

Orbene, come sopra già rilevato, non è decisiva per la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, la consapevolezza dello stato di decozione della società, dovendosi qui richiamare tutta la giurisprudenza già citata sulla natura del reato di bancarotta fraudolenta come reato di pericolo.

Appare invece fondamentale e decisivo il rispetto del principio secondo cui, con riferimento alla distrazione operata dall’amministratore legale, il concorso dell’extraneus deve essere dimostrato non solo dal punto di vista dell’elemento psicologico ma anche con riferimento alla sua efficienza causale rispetto alla condotta materiale posta in essere dall’amministratore.

Si è infatti osservato che, in tema di reati fallimentari, è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa (Sez. 5, Sentenza n. 27367 del 26/04/2011 Ud.

(dep. 13/07/2011) Rv. 250409 Conformi: N. 2501 del 1999 Rv. 212729).

Il giudice del rinvio dovrà dunque procedere a nuova motivazione al riguardo uniformandosi al principio enunciato.

Non si rileva invece la denunciata carenza di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità per il reato di concorso nella bancarotta fraudolenta documentale.

Infatti, in sentenza è stato rilevato che l’imputata è stata amministratore della fallenda fino al febbraio del 1998 e che le gravi irregolarità contenute nelle scritture contabili di Frutta si sono state rilevate dal curatore ed apprezzate dal giudice del merito con riferimento agli anni 1995,1996 e 1997.

Si era trattato di operazioni incredibilmente compiute tutte in corrispondenza del 31 dicembre e sempre in contanti: per tale ragione ritenute inattendibili ed anzi fittizie.

Si tratta di una rilevazione che giustamente e fondatamente è stata riferita anche all’imputata in ragione della posizione di garanzia rivestita.

Infine è infondato l’ultimo motivo di ricorso.

La difesa sostiene che l’estratto contumaciale della sentenza di primo grado non è stato notificato alla imputata nel rispetto di tutte le formalità previste dall’art. 170 c.p.p. ossia con la seconda raccomandata, di cui non vi è prova in atti. Con la conseguenza che essa aveva diritto di presentare i motivi di appello per la prima volta anche tre giorni prima della pubblicazione della sentenza. Quelli presentati, dunque, andavano esaminati dalla Corte che invece li aveva ritenuti inammissibili.

Ebbene, occorre evidenziare che non si pone qui in discussione il principio secondo cui l’impugnazione proposta dal difensore nell’interesse dell’imputato contumace non fa decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti di quest’ultimo, in caso di illegittima notificazione dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado (v. Corte cost. n. 317 del 2009) (Rv. 248521).

Tuttavia, si ritiene di risolvere il caso alla luce del principio, pure enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la notificazione dell’estratto contumaciale ha lo scopo di informare l’imputato dell’esistenza di una sentenza emessa in sua contumacia, affinchè possa acquisirne completa conoscenza per esercitare il proprio autonomo diritto di impugnazione, che non si esaurisce con la semplice presentazione dell’impugnazione da parte del difensore.

Qualora, tuttavia, la situazione processuale fornisca in concreto la dimostrazione che l’imputato abbia avuto conoscenza dell’esistenza del provvedimento impugnabile, sussista il conferimento di specifico incarico al proprio difensore di esercitare anche in sua vece il diritto di impugnazione e questi eserciti, pertanto, regolarmente, il proprio diritto di impugnazione, non essendo ancora decorso il relativo termine per la mancata notificazione dell’estratto contumaciale, l’appello del difensore determina la consumazione dell’autonomo diritto di impugnazione dell’imputato, il quale non può dolersi delle modalità con cui sia stata completata la notificazione dell’estratto contumaciale (Sez. 5, Sentenza n. 11651 del 23/01/2012 Ud. (dep. 27/03/2012) Rv. 252957).

Il predetto principio deve ritenersi valido, a maggior ragione quando, come nel caso di specie, l’imputata ha preso parte al processo di appello, facendo valere, tra l’altro, per il tramite del difensore di fiducia, – come sostenuto anche nel ricorso – un impedimento a comparire e quindi dando prova di aver raggiunto, quantomeno a quella data (2009), gli effetti conoscitivi della esistenza della sentenza di primo grado che si dovevano raggiungere con la notifica dell’estratto contumaciale.

Con la ulteriore conseguenza che, quantomeno con la decorrenza anzidetta, il termine per impugnare, pari al massimo a 45 giorni, doveva essere rispettato, non potendosi ammettere che un motivo di appello possa essere ritenuto tempestivo quando proposto dall’imputato dopo due anni dall’inizio del processo di appello nel quale egli abbia svolto, come detto, attività processuale.

Il tema del giudizio di bilanciamento delle attenuanti resta tuttavia sub judice, essendo dipendente, la sua soluzione, da quella che verrà data al punto specificamente devoluto al giudice del rinvio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di L.R., in ordine al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione dei crediti diversi da quelli verso Standa spa di cui al capo B) e dei beni strumentali di cui al capo C), con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari per nuovo esame sul punto. Rigetta nel resto il ricorso di L. e rigetta il ricorso di S. che condanna al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2013


Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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