Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-07-2012, n. 13294

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Lecce, in riforma della decisione 18 febbraio 2002 del Tribunale, che aveva dichiarato la prescrizione del credito, con sentenza dell’1 marzo 2005, ha condannato il comune di Copertino al risarcimento del danno per l’occupazione espropriativa di alcuni terreni di proprietà di M.E. ubicati nell’ambito di un piano di zona 167/A (in catasto al fg.43, part. 326, 330 e 2578) ed appresi con decreti sindacali 5 e 6/1978. Ha liquidato detto danno nella misura complessiva di L. 413.469, comprendente la svalutazione monetaria, cui ha aggiunto l’indennità per l’occupazione temporanea protrattasi per la durata di 6 anni, in L. 75.684.000, sottraendo, infine, le somme versate dall’ente pubblico in occasione di un accordo sulla indennità di espropriazione, poi caducatosi per la mancata adozione del decreto ablativo.

Per la cassazione della sentenza, il comune ha proposto ricorso per 5 motivi; cui resiste la M. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso,il comune di Copertino, deducendo violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè illogicità della motivazione, si duole che la sentenza impugnata abbia liquidato il risarcimento del danno per l’avvenuta occupazione espropriativa dei terreni M. con riguardo a tutte le aree trasformate, e non soltanto a quelle oggetto del decreto sindacale di occupazione 5/1978, cui soltanto in effetti la proprietaria si era riferita: in forza di interpretazione estensiva che nel caso si era tradotta in un vizio di ultrapetizione, anche per la tempestiva opposizione di esso ente.

La censura è parte inammissibile, parte infondata. Inammissibile perchè l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata, avuto riguardo all’intero contesto dell’atto e senza che ne risulti alterato il senso letterale: tenuto conto, in tale operazione, della formulazione testuale dell’atto nonchè del contenuto sostanziale della pretesa in relazione alle finalità che la parte intende perseguire, elemento rispetto al quale non assume valore condizionante la formula adottata dalla parte medesima.

Proprio a questi principi si è attenuta la Corte di appello che, avuto riguardo al contenuto suddetto della pretesa risarcitoria della M., come desunta anche dalla natura delle vicende dalla stessa dedotte e rappresentate, ha correttamente incluso nella richiesta risarcitoria non soltanto i terreni appresi dal comune in conseguenza del decreto di occupazione temporanea 5/78 cui l’espropriata aveva fatto riferimento nella parte iniziale della citazione, ma anche quelli successivamente occupati al di fuori di detto provvedimento ablatorio, posto che la proprietaria, come riconosciuto dal comune (pag. 3 ric), li aveva successivamente menzionati nello stesso atto, ponendo in rilievo che anch’essi erano stati oggetto di occupazione e di successiva trasformazione; tant’è che nel petitum aveva chiesto il risarcimento del danno per tutte indistintamente le aree utilizzate dall’ente pubblico per interventi di edilizia economica e popolare: perciò necessariamente comprendenti anche quelle apprese in via di mero fatto o in conseguenza di altri decreti. In relazione alle quali conclusivamente, la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di omesso esame ove questo avesse limitato alla sola vicenda riferita nella prima parte dell’atto introduttivo, escludendone lo sviluppo ed il prosieguo, pur essi inclusi nel medesimo atto ab origine (Cass. 23794/2011; 3012/2010; 22893/2008).

Del tutto inconsistente è il secondo motivo con cui il comune addebita alla decisione impugnata il vizio di ultrapetizione ex art. 112 cod. proc. civ. per avere la stessa liquidato l’indennità di occupazione temporanea alla proprietaria che invece si era limitata a chiedere il valore dei frutti non percepiti durante il periodo suddetto: non avendo l’ente pubblico considerato che i frutti richiesti costituiscono per giurisprudenza costante da decenni proprio il parametro principale e più diffuso cui commisurata l’indennità di occupazione temporanea e d’urgenza.

Posto, infatti, che il provvedimento di occupazione temporanea preordinata all’espropriazione, di un immobile privato attribuisce immediatamente alla P.A. il diritto di disporne allo scopo di eseguire l’opera pubblica per la quale è stato emanato ed incide in misura corrispondente sui poteri dominicali del titolare del bene, privandolo (temporaneamente) in tutto o in parte delle facoltà di godimento; e perciò stesso attribuendogli ad un indennizzo volto a a compensare ex art. 42 Cost., per tutta la durata dell’indisponibilità del bene, fino all’esproprio, il detrimento dato dal suo mancato godimento, la L. n. 2359 del 1865, art. 72 non aveva indicato uno specifico criterio per determinarlo. Sicchè la giurisprudenza (cfr. Cass. 6370/1988; 784/1985; 6913/1982; 3870/1981;

115/1980 ecc.) muovendo dal T.U. 1399 del 1917, nonchè dal R.D. n. 2119 del 1923 lo ha sempre quantificato in misura corrispondente ai frutti che il proprietario dimostri di aver perduto per la sottrazione temporanea del godimento del fondo; ed in mancanza di detta prova nell’importo dei frutti civili (Cass. 10561/1993) calcolati in misura pari agli interessi legali sull’indennità di espropriazione e/o sul valore venale del fondo (Cass. 7767/1993).

Proprio questo meccanismo è stato recepito dalla L. n. 865 del 1971, art. 20 (ora trasfuso nel T.U. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, art. 50), per tutte indistintamente le categorie di occupazione temporanea: perciò divenuto sinonimo del relativo indennizzo (cfr.

Cass. sez. un. 483/1998 e succ.), con la conseguenza che invocando il proprietario quest’ultimo, il giudice è tenuto ad adottare il parametro stabilito dalla legge (pur se non menzionato); e per converso, che, ove siano invocati i frutti naturali o civili non percepiti per lo spossessamento del fondo conseguente a decreto di occupazione temporanea, la causa petendi è necessariamente ravvisabile ex art. 42 Cost. nell’indennizzo che il precetto costituzionale ha attribuito al proprietario per compensarlo della compressione del suo diritto dominicale.

Con il terzo motivo,deducendo violazione degli artt. 1224 e 2043 cod. civ. il comune censura la sentenza impugnata per avere rivalutato, come si verifica nei debiti di valore, l’indennizzo corrispondente al valore venale dei terreni espropriati all’epoca della sentenza senza considerare la decisione 4766/2002 di questa Corte che aveva dimostrato come lo stesso rientrasse fra i debiti di valuta, perciò non automaticamente rivalutabili; e che tale natura è a maggior ragione sostenibile dopo le note decisioni 369/1996 e 148/1999 della Corte Costituzionale sull’indennizzo suddetto, sostanzialmente equiparato all’indennità di espropriazione, nonchè in base alla sua configurazione nel nuovo T.U. sulle espropriazioni.

Anche questo motivo è infondato essendo detta decisione rimasta del tutto isolata, riferita, come riconosciuto dal comune proprio al fatto che la L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 65 aveva equiparato in tutto e per tutto le due indennità per l’espropriazione legittima ed illegittima; e che il successivo L. n. 359 del 1996, art. 3, comma 65 si era limitata ad aumentare la prima del 10% onde ottenere il risarcimento del danno per l’occupazione espropriativa.

Ma la differenza ontologica fra le due tipologie di espropriazioni è stata riaffermata da tutte le successive decisioni di questa Corte, rese anche a sezioni unite, le quali hanno rilevato, per un verso, che nell’occupazione acquisitiva "il fatto generatore del danno è costituito dalla condotta illecita della p.a. espropriante, concretatasi anzitutto nell’apprensione degli immobili senza alcun titolo e, quindi, nel perdurare della detenzione abusiva ed irreversibile senza più rimettere i beni nella disponibilità del proprietario…" (Cass. sez. un. 24397/2007; 6769/2009). E per altro verso che l’indennizzo dovuto a tale titolo si diversifica dall’indennità di espropriazione proprio per la sua natura risarcitoria, necessariamente ancorata all’intero valore venale dell’immobile che non tollera il ricorso a criteri riduttivi per la sua liquidazione (Corte Costit. 179/1999; 349/2007). Sicchè soprattutto dopo l’autorevole avallo a tale sistema risarcitorio, da parte della Grande Chambre della Corte Edu (sent. 4 gennaio 2010), che lo ha ritenuto conforme all’art. 1 all. 1 alla Convenzione europea anche perchè assicura al danneggiato l’adeguamento del danno sofferto ai valori monetari sussistenti al momento in cui l’indennizzo viene corrisposto (o giudizialmente liquidato),non è più consentito dubitare della sua natura risarcirtoria, peculiare dei debiti di valore; con la conseguenza che del tutto correttamente la decisione impugnata ha rivalutato il relativo importo alla data della sentenza, anche perchè in questa tipologia di occupazione appropriativa l’obbligo di corrisponderla automaticamente è imposto direttamente dalla L. 458 del 1988, art. 3, comma 2.

Fondato è invece il quarto motivo del ricorso, con cui il comune, deducendo violazione dell’art. 1224 cod. civ., si duole che sia stato rivalutata automaticamente anche l’indennità di occupazione temporanea: invece da sempre inclusa da dottrina e da giurisprudenza fra i debiti di valuta e quindi ritenuta soggetta alla regola dell’art. 1224 c.c., comma 2.

La Corte di appello mantenendo indistinti gli indennizzi per l’occupazione temporanea degli immobili M. a seguito dei decreti di occupazione temporanea del 1978, e quello per il protrarsi dell’occupazione senza più titolo dopo la scadenza del relativo periodo, non si è avveduta che il primo di essi, al pari dell’indennità di espropriazione, rappresenta debito di valuta sia per la parte originariamente fissata nel provvedimento ablatorio, sia per la parte successivamente liquidata nel giudizio di opposizione alla stima; e pertanto non è suscettibile di automatica rivalutazione in correlazione al deprezzamento della moneta, il quale può solo giustificare il riconoscimento in aggiunta agli interessi, del maggior danno per effetto della mora del debitore, ai sensi e nei limiti di cui all’art. 1224 cod. civ..

Pertanto, siccome nella specie non risulta che la proprietaria abbia dimostrato la sussistenza dei presupposti richiesti da tale ultima norma per il riconoscimento oltre agli interessi legali del maggior danno di cui alla menzionata norma (Cass. sez. un. 19499/2008), la sentenza impugnata va cassata limitatamente alla statuizione che lo ha automaticamente attribuito, peraltro cumulandolo agli interessi legali.

Assorbito, pertanto l’ultimo motivo, relativo alla liquidazione delle spese processuali, non essendo necessari ulteriori accertamenti, il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. escludendo dalla sentenza impugnata la statuizione relativa alla rivalutazione monetaria con riguardo alla somma determinata a titolo di indennità per l’occupazione legittima.

La soccombenza va determinata considerando l’esito globale della lite sfavorevole al comune di Copertino, che va conseguentemente condannato al pagamento delle spese processuali. Mentre l’accoglimento del motivo concernente il danno da svalutazione monetaria con riferimento alla sola indennità di occupazione temporanea induce la Corte a dichiarare compensate tra le parti in ragione di un quarto quelle del giudizio di appello nonchè del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi,accoglie il quarto,assorbito l’ultimo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto,e pronunciando nel merito, esclude la rivalutazione monetaria dalla liquidata a titolo di indennità di occupazione temporanea.

Condanna il comune al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, per intero in favore della M., che liquida in complessivi Euro 10.200,00; nonchè quelle del giudizio di appello e le spese del giudizio di legittimità in ragione di 3/4 che liquida in favore della controparte, per l’intero, rispettivamente in Euro 15.180,00 ed Euro 7.200,00, oltre spese generali ed accessori come per legge. Dichiara interamente compensato tra le parti il restante quarto.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012


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