Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-01-2013) 27-11-2013, n. 47185 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Il 07/09/2012, il Tribunale di Milano rigettava l’appello proposto ex art. 310 c.p.p., nell’interesse di M.S. avverso un’ordinanza emessa dal G.i.p. dello stesso Tribunale in data 16/07/2012: il provvedimento del G.i.p. era stato reiettivo di una richiesta della difesa volta a far dichiarare l’inefficacia della misura cautelare in atto a carico del prevenuto, nei confronti del quale era stato celebrato un processo con rito abbreviato definitosi con sentenza del 19/11/2011, recante la condanna del M. alla pena di anni 9 e mesi 2 di reclusione. Detto processo si riferiva ai reati contestati al M. ai capi 1, 24, 152, 153, 154, 155, 156, 157 e 158 della rubrica, e l’ordinanza ammissiva del rito speciale era intervenuta il 04/05/2011: a seguito di sospensione dei termini di restrizione ex art. 304, comma 2, la scadenza del termine di fase era stata prorogata al 24/11/2011, ergo la sentenza di condanna risultava pronunciata cinque giorni prima.

La difesa, rilevato che il giudicante si era assegnato termine di novanta giorni per il deposito della motivazione, poi prorogato dal Presidente del Tribunale di ulteriori sessanta giorni (fino al 17/04/2012), aveva segnalato che la sentenza risultava essere stata depositata solo nel giugno 2012, sostenendo dovesse derivarne la sopravvenuta inefficacia del titolo di restrizione in quanto il termine per il deposito della pronuncia avrebbe dovuto intendersi ricompreso nella relativa fase di giudizio, mentre il termine di fase previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. c) comincerebbe a decorrere solo a seguito della trasmissione degli atti alla Corte di appello.

Contrariamente all’assunto difensivo, il Tribunale di Milano – analizzata la ratio e il combinato disposto delle previsioni di cui all’art. 544 c.p.p., comma 3, e art. 154 disp. att. c.p.p., comma 4 bis, – richiamava la giurisprudenza di legittimità secondo cui il periodo di redazione della motivazione, oltre a determinare la sospensione dei termini di custodia cautelare laddove espressamente disposto, deve intendersi ricadere già nella fase successiva a quella conclusa, dal momento che il citato art. 303 c.p.p., comma 1, lett. c) fa riferimento alla data della "pronuncia" della sentenza.

2. Propongono ricorso per cassazione i difensori del M., deducendo violazione di legge processuale con riguardo agli artt. 303 e 304 c.p.p., nonchè carenza di motivazione del provvedimento impugnato.

La difesa, ribadite le scansioni cronologiche evidenziate dai giudici milanesi e confermata la circostanza che la scadenza del termine di restrizione del ricorrente era stato prorogato al 17/04/2012, fa rilevare che "la sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, disposta ai sensi dell’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c bis, durante il periodo previsto dall’art. 544 c.p.p., comma 3, e art. 154 disp. att. c.p.p., comma 4 bis, cessa alla scadenza del termine prorogato, ed è da tale data che riprendono a decorrere i termini di custodia cautelare (…). In vero, l’effetto sospensivo è limitato al lasso temporale contemplato dall’art. 544 c.p.p., commi 2 e 3, non estendendosi all’eventuale ritardo nel deposito della sentenza". Dalla premessa appena segnalata, e dalla conferma della tesi già prospettata secondo cui "il termine per il deposito della sentenza, nella fattispecie in disamina, rientra nella relativa fase di giudizio", i difensori deducono la contraddittorietà della decisione del Tribunale, che inspiegabilmente non avrebbe accolto il gravame.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.

Alla pagina 2 del ricorso presentato dalla difesa si coglie infatti un evidente contrasto logico fra le tesi sostenute e quelle che si ritengono le valutazioni operate dal Tribunale, laddove si afferma da un lato che "il termine per il deposito della sentenza, nella fattispecie in disamina, rientra nella relativa fase di giudizio" e subito dopo si precisa che questa sarebbe anche l’interpretazione fatta propria dai giudici di merito ("così come correttamente il collegio afferma, a pag. 4 della prefata ordinanza, richiamando quella giurisprudenza di legittimità che, in merito alla fase di operatività della sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, ha espressamente affermato che il periodo di redazione della sentenza – ovviamente se non si verifichi sospensione dei termini ex art. 304 – ricada già nella fase successiva a quella conclusa, ai sensi dell’art. 303, comma 1, lett. b) e c), dalla pronuncia della sentenza"). E’ evidente che la premessa non collimi con la conclusione: sostenere che il termine per il deposito della motivazione di una sentenza debba rientrare, ai fini del computo della scadenza della restrizione di un imputato in vinculis, "nella relativa fase di giudizio", è infatti l’esatto contrario dell’affermazione secondo cui quel termine ricade "già nella fase successiva a quella conclusa".

A riguardo, nell’interesse del ricorrente si citano due precedenti di questa Corte che risalgono al 1996, non a caso contenenti l’affermazione di principi in antitesi: in una occasione si sostenne che "la sospensione dei termini massimi di custodia cautelare per il tempo concesso per la redazione della sentenza, secondo quanto previsto dall’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), deve essere disposta dal giudice di primo grado, che può farlo anche dopo la pronuncia della sentenza, purchè non siano scaduti i termini di fase, ma incide sulla fase del primo grado e non su quella del giudizio d’appello per il quale i termini massimi di custodia cautelare decorrono dal giorno della pronuncia della sentenza di primo grado e non dal novantesimo giorno successivo a questo" (Cass., Sez. V, n. 4600 del 25/10/1996, Sanfilippo, Rv 206152); pochi mesi prima, pur ribadendo che "la competenza ad emettere il provvedimento sospensivo, ai fini della redazione della motivazione della sentenza, spetta al giudice che ha pronunziato la sentenza medesima", questa stessa Sezione aveva però rilevato che "per quanto concerne (…) la fase di operatività della sospensione, deve ritenersi che il periodo di redazione della motivazione ricada già nella fase successiva a quella conclusa, ai sensi dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b) e c) dalla "pronuncia" della sentenza; e pertanto ricada nella fase di appello" (Cass., Sez. 5, n. 3676 del 19/07/1996, Casciana, Rv 205556).

Il collegio ritiene di aderire a quest’ultimo indirizzo, che peraltro appare nettamente maggioritario nella giurisprudenza degli anni successivi. Si è infatti chiarito ulteriormente che "l’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), che prevede la sospensione dei termini di durata della custodia cautelare durante il tempo occorrente per la redazione della sentenza, la quale è necessariamente successiva alla pronuncia della decisione, non può che riferirsi al termine della fase in corso, e quindi, quando sia stata pronunciata sentenza di primo grado, a quello della fase di appello" (Cass., Sez. 6, n. 2366 del 13/06/1997, Interlici, Rv 208354; v. anche Cass., Sez. 3, n. 36396 del 15/07/2003, Ait Abdelmalk Hassan).

Appare altresì significativo prendere atto che anche il primo degli approdi cui era pervenuta questa Corte nella prima delle pronunce sopra ricordate risulta oramai superato, giacchè "in tema di misure cautelari personali, il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare può essere deliberato anche da un giudice diverso da quello dinanzi al quale si è verificata la causa che ha dato luogo alla sospensione, dovendosi rispettare, come unica condizione di legittimità del provvedimento sospensivo, che nel momento in cui venga adottato non siano già scaduti i termini di custodia cautelare che l’ordinanza intende sospendere" (Cass., Sez. 3, n. 3637 del 15/12/2010, M., Rv 249157; v. anche Cass., Sez. 5, n. 37656 del 07/06/2012, Scozzari, Rv 254556, secondo cui "compete al giudice di appello il potere di adottare il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare per la durata del tempo di redazione della sentenza di primo grado"). Le Sezioni Unite hanno peraltro risolto un ulteriore contrasto interpretativo in senso coerente a quest’ultimo indirizzo, affermando sotto altro profilo che "è legittimo il provvedimento di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, in pendenza dei termini per la redazione della sentenza, ex art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), assunto d’ufficio, senza il previo contraddittorio delle parti" (Cass., Sez. U, n. 27361 del 31/03/2011, Ez Zyane, Rv 249969).

Nel caso oggi in esame, pertanto, i termini di restrizione del M. non venivano a scadere – quanto alla fase del processo di primo grado – il 22/04/2012: non può infatti condividersi l’assunto difensivo secondo cui avrebbero dovuto computarsi cinque giorni in più rispetto alla scadenza risultante dal provvedimento assunto ex art. 154 disp. att. c.p.p., comma 4 bis, avendo il primo giudice pronunciato il dispositivo il 19/11/2011. A quella data, stando al ricorrente, mancavano ancora cinque giorni prima della scadenza in quel momento prevista, e sarebbe stato necessario tenere conto che la sospensione correlata al periodo di redazione della sentenza può operare solo nei limiti del termine assegnato dal giudicante od autorizzato dal capo dell’ufficio. Tuttavia, mentre quest’ultimo rilievo è senz’altro condivisibile, non è corretto imputare comunque il periodo in questione nella fase del processo di primo grado, che si conclude con la "pronuncia" della sentenza e che nella fattispecie era stata comunque definita in tempo utile per impedire la declaratoria di inefficacia della misura: ergo, la data del 17/04/2012 non può valere come dies ad quem (seppure differita di cinque giorni) in relazione al disposto dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b bis, bensì come dies a quo per il diverso ed ulteriore termine – qui, pari a un anno, in ragione dell’entità della pena inflitta – di cui alla successiva lettera e).

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Dal momento che alla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del M., dovranno curarsi gli adempimenti previsti dalla norma indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2013


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