Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-07-2012, n. 13291

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Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Trento, in accoglimento del gravame della X di X e X s.c.a.r.l. e in totale riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di revoca, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2 (nel testo anteriore alla novella di cui al D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80), di rimesse di conto corrente per somme pari ad Euro 538.781,60 eseguite dal 25 febbraio 1998 alla chiusura del conto nel dicembre dello stesso anno dalla X s.r.l., poi dichirata fallita il (OMISSIS).
La Corte ha escluso che il curatore avesse provato la sussistenza del presupposto della scientia decoctionis. Con riferimento agli elementi dedotti in giudizio, ha osservato che dai pur continui versamenti volti a ripianare le esposizioni non poteva dedursi, in mancanza di ulteriori elementi quali protesti, esecuzioni coattive, operazioni di svendita ecc, la conoscenza da parte della banca dello stato di insolvenza della X, ma solo una valutazione positiva delle potenzialità di sviluppo della società. Il complessivo contenuto della lettera inviata da quest’ultima alla banca l’11 maggio 1998, di cui il Tribunale aveva valorizzato, estrapolandolo; il riferimento alle "difficoltà produttive e finanziarie che voi conoscete", rivelava semmai un crisi transitoria della società, che dichiarava di aver effettuato investimenti ponendo le basi per un imminente sviluppo; dunque quella lettera poteva giustificare, al limite, un allarme e la sottoposizione della cliente a un attento monitoraggio.
Tale monitoraggio fu effettivamente eseguito, tanto che in prossimità del primo protesto, levato a carico della cliente il 9 ottobre 1998, la banca aveva provveduto, il precedente 5 ottobre, alla revoca dell’affidamento; onde la scientia decotionis poteva affermarsi solo a partire da quel momento. Nè era significativo il mancato deposito del bilancio 1997, comunque poi redatto e consegnato alla banca e indicante un utile di L. 70 milioni, senza che la curatela avesse evidenziato anomalie nei dati esposti: infatti il mancato deposito dei bilanci è indice, se non integrato da ulteriori elementi, di mancanza di diligenza nel l’amministrazione, non già di insolvenza. Del resto, che la X fosse affidabile era dimostrato dal comportamento del teste sig. F., il quale aveva posto all’incasso solo nel 1999 gli assegni ricevuti nel 1997 in pagamento del prezzo della vendita di macchinari.
Il curatore fallimentare ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi di censura. La banca si è difesa con controricorso e memoria; all’udienza il suo avvocato ha chiesto termine per rinnovare la notifica del controricorso, non andata a buon fine essendo risultato il domiciliatario della parte ricorrente irreperibile al domicilio indicato nel ricorso.
Motivi della decisione
1. – Va preliminarmente respinta la richiesta di termine per il rinnovo della notifica del controricorso.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, qualora la notificazione di un atto processuale, da effettuarsi in un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè, però, la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (per tutte, Cass. Sez. Un. 17352/2009). Nella specie, invece, il vano tentativo di notifica del controricorso risale al marzo 2006 e la controricorrente non risulta essersi mai attivata per la ripresa del procedimento notificatorio.
Il controricorso è dunque inammissibile, e con esso la memoria.
Resta valida la procura ad litem a margine del medesimo e la difesa orale dell’avvocato.
2. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione della L. Fall., art. 67, si lamenta che la Corte d’appello abbia escluso che la prova della scientia decoctionis possa essere fornita a mezzo di presunzioni, con ciò discostandosi dalla giurisprudenza di legittimità, che considera sufficiente la prova della semplice conoscibilità dello stato di insolvenza del debitore da parte di un soggetto di ordinaria prudenza e diligenza.
1.1. – Il motivo è inammissibile nella parte in cui lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto inammissibile la prova indiziaria della scientia decoctionis. La Corte, invero, non ha affatto affermato o presupposto ciò, bensì ha ritenuto che la prova indiziaria non fosse stata in concreto fornita.
Per il resto, il motivo è infondato perchè, secondo la L. Fall., art. 67 e la giurisprudenza di questa Corte, il presupposto soggettivo della revocatoria fallimentare è costituito dalla conoscenza effettiva, e non dalla semplice conoscibilità, da parte del terzo, dello stato d’insolvenza del debitore, sebbene la relativa dimostrazione possa fondarsi anche su elementi indiziari – purchè caratterizzati dagli ordinari requisiti della gravità, precisione e concordanza prescritti dagli artt. 2727 e 2729 c.c. – desumibili anche dagli elementi in cui si traduce la conoscibilità (cfr., fra le più recenti, Cass. 5256/2010, 10209/2009, 14978/2007).
2. – Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello abbia distinto lo stato di crisi reversibile dalla vera e propria insolvenza e ritenuto che oggetto della conoscenza da parte del terzo convenuto in revocatoria debba essere quest’ultimo e non il primo, senza considerare che invece lo stato di crisi reversibile non si differenzia, da un punto di vista ontologico, dallo stato di insolvenza.
2.1. – Il motivo è infondato perchè, pur avendo lo stato di crisi reversibile e lo stato di definitiva insolvenza dell’impresa natura non dissimile, tanto che il secondo ben può costituire in concreto sviluppo del primo, gli stessi comunque differiscono, appunto, per il carattere transitorio o definitivo della crisi.
3. – Con il terzo e il quarto motivo, fra loro connessi e dunque da esaminare congiuntamente, denunciando vizi di motivazione si lamenta – con il terzo motivo – che la Corte d’appello, affermato che l’omesso deposito dei bilanci è indizio di mera negligenza amministrativa e non di insolvenza ove non accompagnato da ulteriori elementi, non abbia poi tenuto conto che nella specie questi ultimi appunto sussistevano, e consistevano negli elementi qui elencati nel quarto motivo di ricorso, avente ad oggetto appunto la mencata considerazione degli stessi, ossia: a) il mancato deposito dei bilanci 1996, 1997 e 1998; b) l’inattendibilità del bilancio 1997 consegnato alla banca; c) la lettera 11 maggio 1998 inviata dalla società alla banca; d) il forte radicamento della X di X e X nel tessuto sociale del piccolo territorio servito;
e) la notevole esposizione della X, che aveva raggiunto anche la cifra di L. 300 milioni.
3.1. – La complessiva censura è inammissibile.
Gli elementi sub b) e d) sono stati dedotti per la prima volta in questa sede (o almeno tanto si deve ritenere non essendo indicati, nel ricorso, gli atti del giudizio di merito in cui la deduzione sarebbe stata effettuata). Per il resto, la censura si sostanzia nella semplice rivalutazione di elementi già valutati dal giudice di secondo grado o non decisivi, dunque in una censura di merito.
4. – Il ricorso va pertanto respinto.
Le particolarità della vicenda e dello svolgimento del giudizio davanti a questa Corte giustificano la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate fra le parti le spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012

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