T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 18-01-2011, n. 59

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, la parte ricorrente censura il provvedimento impugnato, avente ad oggetto l’applicazione degli sconti tariffari sulle fatturazioni delle strutture private che erogano assistenza specialistica in regime di preaccreditamento.

Le censure proposte lamentano, sotto diversi profili, la pretesa illegittimità di tale provvedimento – emanato in un ottica di contenimento della spesa pubblica sanitaria – nella parte in cui lo stesso stabilisce l’applicazione nella Regione Sicilia dell’art. 1, comma 796, lett. o), della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

Tale disposizione concerne la remunerazione delle prestazioni rese per conto del S.s.n. dalle strutture private accreditate e così dispone: "fatto salvo quanto previsto in materia di aggiornamento dei tariffari delle prestazioni sanitarie dall’articolo 1, comma 170, quarto periodo, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, come modificato dalla presente lettera, a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge le strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, praticano uno sconto pari al 2 per cento degli importi indicati per le prestazioni specialistiche dal decreto del Ministro della sanità 22 luglio 1996, pubblicato nel supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 216 del 14 settembre 1996, e pari al 20 per cento degli importi indicati per le prestazioni di diagnostica di laboratorio dal medesimo decreto".

I profili di illegittimità del decreto impugnato vengono individuati in altrettanti vizi che il decreto replicherebbe dalla disposizione statale cui ha dato ingresso in ambito regionale.

Successivamente all’introduzione del presente giudizio, è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale, n. 94/2009, che ha affrontato numerose questioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle agitate nel presente giudizio.

La Corte costituzionale, dopo aver ripercorso l’evoluzione normativa e l’articolazione organizzativa del servizio sanitario nazionale, e dopo aver richiamato le esigenze di contenimento della spesa derivanti dagli obiettivi posti dal patto di stabilità europeo, ha osservato che si richiede "al legislatore ordinario di bilanciare le esigenze, da un lato, di garantire egualmente a tutti i cittadini, e salvaguardare, sull’intero territorio nazionale, il diritto fondamentale alla salute, nella misura più ampia possibile; dall’altro, di rendere compatibile la spesa sanitaria con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che è possibile ad essa destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi da realizzare in questo campo (tra le molte, sentenze n. 203 del 2008, n. 257 del 2007, n. 279 del 2006, n. 200 del 2005) Siffatto bilanciamento costituisce il frutto di una scelta discrezionale compiuta, di regola, nella sede a tanto specificamente destinata, cioè con la legge annuale finanziaria; scelta che, tenuto conto della ristrettezza delle risorse finanziarie da destinare al settore, non può ritenersi viziata da intrinseca irragionevolezza per la sola circostanza di fare riferimento a dati pregressi (con riguardo ai limiti di spesa, sentenze n. 257 del 2007, n. 111 del 2005), anche con riguardo al profilo qui in esame".

Date queste premesse, e con riferimento ad uno specifico profilo di censura, la Corte ha osservato che "il riferimento della norma a tariffe pregresse non permette, da solo, di farne ritenere l’irragionevolezza. La prospettazione della loro inadeguatezza a garantire un margine di utile, sia pure ridotto rispetto all’aspettativa dei soggetti erogatori, è inoltre inidonea a confortare la denunciata violazione dell’art. 3 Cost., qualora, come nella specie, consista in una assertiva deduzione, svolta, sostanzialmente, facendo generico riferimento al mero decorso del tempo (…..).La successiva, quantitativamente rilevante, riduzione della misura dello sconto stabilita con il testo definitivo della norma statale, accompagnata da una estensione dello stesso a tutte le prestazioni, può dunque essere ritenuta espressione di una non irragionevole ponderazione di siffatti elementi, comunque insuscettibile di essere giudicata arbitraria sulla scorta di considerazioni meramente congetturali. Peraltro, la valutazione di manifesta irragionevolezza neanche può essere confortata dall’annullamento del d.m. del 22 luglio 1996 da parte del Consiglio di Stato (Sezione IV, 29 marzo 2001, n. 1839), in quanto dichiarato per un vizio del procedimento".

Siffatta affermazione, che il Collegio condivide e alla quale si riporta, riveste una importanza centrale nella delibazione d’infondatezza delle censure proposte nel giudizio in esame.

Ha inoltre precisato la Corte costituzionale nella sentenza citata, che "La denuncia proposta in relazione all’art. 32 Cost., sotto i profili della lesione del diritto di libera scelta dell’assistito e della possibile incidenza della disciplina in esame sulla continuità dei rapporti e sulla permanenza delle strutture private all’interno della organizzazione del S.s.n., con eventuale pregiudizio della funzionalità di quest’ultimo, in danno della tutela della salute, non è fondata.

In ordine al primo profilo, è sufficiente ribadire, come questa Corte ha già affermato, che il principio di libera scelta non è assoluto e va contemperato con gli altri interessi costituzionalmente protetti, in considerazione dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore ordinario incontra in relazione alle risorse finanziarie disponibili (sentenze n. 267 del 1998, n. 416 del 1996).

La prospettazione concernente il secondo profilo consiste, invece, in un’argomentazione meramente ipotetica che, appunto perché tale, è inidonea a dare consistenza alla censura".

Alla luce delle superiori considerazioni, ritiene il Collegio che i profili di censura sollevati nel presente giudizio contro l’atto amministrativo applicativo della norma statale, risultano infondati per il medesimo ordine di considerazioni con cui la Corte costituzionale ha ritenuto infondate le censure rivolte contro la norma attributiva del potere, in relazione ai medesimi aspetti contenutistici.

Del resto, il provvedimento oggi impugnato ha un contenuto dispositivo che si limita a trasferire nella Regione Sicilia la disciplina nazionale degli sconti tariffari, di talché la mancanza di una autonoma parte dispositiva spiega la sostanziale identità di oggetto fra il presente giudizio ed il richiamato giudizio di legittimità costituzionale.

L’unico profilo di possibile autonomia può cogliersi nel fatto che la parte ricorrente, oltre ai profili già esaminati, sembra dolersi del fatto che la Regione Sicilia non sarebbe stata tenuta all’applicazione della più restrittiva disciplina statale, trattandosi di un profilo afferente la sfera di potestà concorrente che consente alle singole regioni di non uniformarsi automaticamente a questa.

Il problema è dunque se la Regione potesse rinviare alla fonte statale e, in caso affermativo, in che forme.

Quanto al primo profilo, se è vero che la Regione non era tenuta ad uniformarsi alla norma statale, è altresì vero che non era tenuta a mantenere una disciplina degli sconti tariffari diversa da quella statale, sicché la scelta operata non viola da questo punto di vista alcun parametro di legittimità: anzi, il richiamo, nella motivazione del provvedimento impugnato, alle medesime esigenze di contenimento della spesa espresse dalle richiamate fonti statali, evidenzia come la scelta regionale abbia operato il ridetto bilanciamento negli stesi termini in cui lo stesso è stato definito a livello statale (il che rientra senz’altro fra le prerogative regionali in materia).

La Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 94/2009, ha in proposito chiarito che la "norma statale censurata stabilisce lo sconto da operare sulle tariffe più volte richiamate, ma non ha escluso il potere delle Regioni di stabilire tariffe superiori, che restano a carico dei bilanci regionali (art. 1, comma 170, della legge n. 311 del 2004; art. 8sexies, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992)": dal che deriva che è nella piena facoltà delle regioni stabilire se introdurre tariffe superiori, ovvero uniformarsi a quelle statali (quest’ultima scelta, pur riflettendosi negativamente sulle aspettative economiche degli imprenditori privati, non può evidentemente, per ciò solo, essere tacciata di illegittimità per violazione delle norme regolanti il potere regionale di fissazione delle tariffe).

Quanto al secondo profilo, seppur adombrato in talune difese, non è stata formalizzato in uno specifico motivo di gravame l’argomento per cui siffatta scelta dispositiva, concernendo l’efficacia della legge statale in territorio regionale, avrebbe dovuto essere operata con legge regionale e non con atto amministrativo.

In ogni caso anche tale profilo, al di là della sua effettiva consistenza come motivo d’impugnazione, è stato oggetto della citata sentenza della Corte costituzionale n. 94/2009: nella quale si afferma che l’estensione alle Regioni della disciplina tariffaria statale è comunque legittima (avuto riguardo alla "considerazione bilanciata – che appartiene all’indirizzo politico dello Stato, nel confronto con quello delle Regioni – della necessità di assicurare, ad un tempo, l’equilibrio della finanza pubblica e l’uguaglianza di tutti i cittadini nel godimento dei diritti fondamentali, tra cui indubbiamente va ascritto il diritto alla salute (sentenza n. 203 del 2008). Ed è appunto perché il diritto alla salute spetta ugualmente a tutti i cittadini e va salvaguardato sull’intero territorio nazionale che detta spesa, in considerazione degli obiettivi della finanza pubblica e delle costanti e pressanti esigenze di contenimento della spesa sanitaria, si presta ad essere tendenzialmente manovrata, in qualche misura, dallo Stato (tra le tante, sentenze n. 203 del 2008, n. 193 e n. 98 del 2007). L’autonomia finanziaria delle Regioni, delineata dal novellato testo dell’art. 119 Cost. si presenta, poi, in larga parte, ancora in fieri, con la conseguenza che le stesse Regioni sono legittimate a contestare interventi legislativi dello Stato, concernenti il finanziamento della spesa sanitaria, soltanto qualora lamentino una diretta ed effettiva incisione della loro sfera di autonomia finanziaria (sentenza n. 216 del 2008). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 289 del 2008, n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006) ed incidano temporaneamente su una complessiva e non trascurabile voce di spesa (sentenze n. 289 e n. 120 del 2008), mirando il legislatore statale a perseguire l’obiettivo di contenere entro limiti prefissati una frequente causa del disavanzo pubblico, quale la spesa sanitaria, che abbia rilevanza strategica ai fini dell’attuazione del patto di stabilità interno e concerna un non trascurabile aggregato della stessa spesa").

Dalle superiori considerazioni emerge pertanto l’infondatezza del ricorso in esame, che come tale dev’essere respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti delle parti intimate, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, oltre I.V.A. e C.P.A., in ragione di e 1.000,00 oltre accessori di legge per ciascuna parte intimata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Nicola Maisano, Presidente FF

Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore

Pier Luigi Tomaiuoli, Referendario


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