Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-07-2012, n. 13290

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Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 3236 depositata il 21 novembre 2005, ha confermato la precedente decisione del Tribunale di Napoli che aveva accolto la domanda proposta con citazione del 25.5.2001 dal curatore del fallimento della società Subappalti s.r.l. nei confronti di P.G., tesa ad ottenere la revoca ai sensi della L. Fall., art. 67, dei pagamenti eseguiti a suo favore dalla società fallita nell’anno antecedente la pronuncia di fallimento in complessive L. 51.300.000. Avverso questa decisione P.G. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi resistiti dal curatore fallimentare con controricorso.

Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ascrive alla Corte del merito il denunciato errore per aver confermato la precedente decisione del Tribunale, condividendone acriticamente la motivazione in ordine alla scelta degli elementi di giudizio assunti a base della ritenuta acquisizione della prova della scientia decotionis. Assume che non vi è prova del fatto che, secondo quanto sostenuto dai giudici del merito, egli, "forte della sua posizione contrattuale", abbia sfruttata siffatta immotivata situazione di preminenza per ottenere dalla debitrice il pagamento di un pregresso debito già rinegoziato, peraltro risalente ad epoca in cui la società era stata posta in liquidazione e, secondo quanto dichiarato in sede d’assemblea, era ancora solvibile. Smentisce il valore sintomatico attribuito all’accordo di rinegoziazione, in quanto relativo a rapporto in itinere, e deduce, in conclusione, che, all’esito dei giudizio, sarebbero rimasti indimostrati sia elementi di fatto attestanti l’asserita pressione esercitata sulla debitrice per ottenere i pagamenti sia che gli altri dati, acriticamente ritenuti muniti d’efficacia probatoria, avessero rilevanza, sia singolarmente che congiuntamente apprezzati. A conforto adduce che l’iscrizione delle delibere societarie nel Registro delle Imprese non consente di presumere conosciute dai terzi le dichiarazioni dei soci ivi consacrate a verbale ed i protesti non rilevano, in quanto comunque e nonostante, non preclusero la prosecuzione dei rapporti commerciali col fallito.

Col secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine all’apprezzamento circa la sussistenza dei requisiti di gravita, precisione e convergenza dei dati indiziari riferiti nel precedente mezzo sommariamente affermata dalla Corte del merito senza neppure prendere in considerazione le contrarie sue allegazioni difensive.

Il resistente deduce in replica l’infondatezza o l’inammissibilità dei motivi.

I motivi, congiuntamente esaminabili in quanto esprimono censure collegate, sono inammissibili.

Secondo quanto emerge dal puntuale tessuto motivazionale che sorregge la decisione impugnata, la Corte distrettuale ha ritenuto provata la scientia decotionis, unico punto ancora in contestazione, alla luce sia dell’atteggiamento del creditore, che pur avendo convenuto con la fallita nel marzo 1998 la rateizzazione dei crediti relativi all’anno 1996, modificando tali condizioni, aveva preteso ed ottenuto il pagamento immediato delle fatture, forte della sua posizione, sia dei dati di bilancio, del contenuto delle delibere societarie iscritte presso il R.I., dei protesti, della pendenza d’istruttoria prefallimentare promossa da parte dell’INPS, fatti tutti conoscibili da parte del convenuto il quale svolgeva la sua attività professionale in zona limitrofa a quella in cui aveva operato l’impresa fallita. La Corte d’appello, ripercorsa autonomamente la verifica delle circostanze di fatto già valorizzate in sede di prima istanza, le apprezzate esaminandole singolarmente e nella loro convergenza, desumendone che il P., alla data della riscossione delle somme controverse, fosse in condizione di percepire, secondo un criterio di avvedutezza e ragionevolezza, lo stato di decozione della debitrice. I mezzi in esame, indirizzata avverso questo percorso logico e motivazionale, per un verso sono inammissibili in quanto criticagli giudizio espresso dalla Corte del merito in ordine all’idoneità dei fatti riferiti a provare la scientia decotionis.

L’apprezzamento, correttamente condotto sulla valutazione dei dati probatori acquisiti, la cui scelta è affidata esclusivamente al giudice di quella fase, non è però sindacabili in questa sede e la censura, che ne propone la rivisitazione nel merito, sollecitando il riesame circa la loro sintomaticità a rappresentare indizi dotati di valenza probatoria è inammissibile. Per altro verso espongono censura priva di pregio. La Corte distrettuale invero ha fatto buongoverno del regime probatorio previsto dalla L. Fall., art. 67, comma 1, avendo condotto la sua verifica sui dati che il curatore, assolvendo al proprio probatorio, aveva addotto a sostegno della domanda, e con motivazione logica e coerente ha espresso la scelta operata tra gli elementi di giudizio assunti a base della ritenuta acquisizione della prova della scientia decotionis. In questo solco ha infatti esaminato il thema probandum che attiene alla conoscenza e non alla conoscibilità dello stato d’insolvenza, ritenendo in conclusione che i fatti noti, cui ha attribuito valore sintomatico, tutti quelli sopra riferiti, avrebbero siffatta efficacia, perchè muniti di precisione, concordanza e gravità. La ricorrente, secondo quanto dianzi rilevato, critica questo argomentato percorso motivazionale con censura priva di giuridico pregio, mirando in sostanza a proporre il solo riesame nel merito, già di per sè inammissibile, sulla base di argomentazioni generiche, che non illustrano, con la doverosa specificità, se ed in quale sede vennero addotte smentite in fatto ai dati indiziari offerti in giudizio dal curatore, e confutano la rilevanza dei dati sintomatici valorizzati dal giudice d’appello introducendo il sindacato sulla scelta dei mezzi di prova e sulla prevalenza loro attribuita ai fini della formazione del proprio convincimento da parte del giudice del merito, che appartiene alla sua sfera decisionale e non è censurabile in questa sede. Per tutte queste ragioni meritano il rigetto.

Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità determinandole in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012


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