Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-01-2013) 20-11-2013, n. 46314

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Svolgimento del processo

Il difensore di L.A. ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe, recante la conferma della pronuncia emessa nei confronti del medesimo dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto il 09/05/2008: l’imputato risulta essere stato condannato alla pena di anni 2, mesi 5, giorni 10 di reclusione ed Euro 2.400,00 di multa per delitti di cui agli artt. 81 cpv., 455 e 640 c.p., concernenti la spendita di banconote contraffatte da 50,00, 100,00 e 500,00 Euro presso quattro diversi esercizi commerciali, nonchè la detenzione di ulteriori banconote false, anche di diverso taglio, rinvenute in suo possesso.

Nel confutare le ragioni di doglianza mosse dalla difesa avverso la decisione di primo grado, la Corte territoriale escludeva potessero ravvisarsi nel caso di specie gli estremi del c.d. falso grossolano, dal momento che numerose persone erano rimaste ingannate dall’aspetto delle banconote e che, per accertarne l’effettiva contraffazione, era stato necessario ricorrere a valutazioni tecniche compiute dal R.I.S. di Messina.

Il ricorrente deduce vizi rilevanti ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), lamentando che le banconote utilizzate erano delle semplici fotocopie: il falso era pertanto "rilevabile ictu oculi da qualsiasi persona dotata di normale diligenza e capacità intellettiva", come del resto confermato dagli accertamenti del R.I.S. (che avevano riscontrato dati di palese falsificazione, come la mancanza della filigrana o del filo di sicurezza). In definitiva, avrebbe dovuto accedersi alla tesi difensiva della grossolanità del falso, "del quale si sono accertati immediatamente le stesse parti offese".

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, sotto svariati profili.

1.1 Innanzi tutto, è evidente che gli argomenti utilizzati dal difensore dell’imputato tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti che riguardano la ricostruzione del fatto e l’apprezzamento del materiale probatorio, da riservare alla esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia in primo che in secondo grado.

Alla Corte di Cassazione deve invece ritenersi preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendo il giudice di legittimità soltanto controllare se la motivazione della sentenza di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito. Quindi non possono avere rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la verifica della correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti, "non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento" (v., ex plurimis, Cass., Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, Elia).

Nè i parametri di valutazione possono dirsi mutati per effetto delle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. con la L. n. 46 del 2006, essendo stato affermato e più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma "gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e (…), pertanto, restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio" (Cass., Sez. 5, n. 8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540).

Nella fattispecie, al contrario, la difesa punta proprio a far rivalutare a questa Corte le emergenze istruttorie, occupandosi soltanto degli elementi di fatto a dispetto della dedotta sussistenza di vizi ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) od e): a tacer d’altro, il ricorrente insiste nel far rilevare che la contraffazione delle banconote sarebbe stata evidente e immediatamente rilevabile da chiunque, a fronte di una ricostruzione in fatto operata dalla Corte di appello che non solo dava atto della precedente necessità di ricorrere ad accertamenti tecnici, ma anche della circostanza che le persone offese non si erano affatto rese conto della falsità.

1.2 In proposito, va altresì rilevato che le odierne doglianze debbono considerarsi mere iterazioni degli argomenti già esposti e disattesi dalla Corte di appello, sì da incorrere in un vizio rilevante ai sensi dell’art. 581 c.p.p., lett. c): da apprezzarsi non solo in termini di indeterminatezza, ma anche "per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità dell’impugnazione" (Cass., Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo).

2. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna del L. al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2013


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