Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-07-2012, n. 13289

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1013 depositata il 21 settembre 2005, la Corte d’appello di Bologna, in riforma di precedente decisione n. 1323/2002 del Tribunale di Parma, ha disposto il rigetto della domanda proposta con citazione del 15 luglio 1999 dal curatore del fallimento dell’Impresa XX nei confronti della Xs.p.a., tesa alla declaratoria d’inefficacia ai sensi della L. Fall., art. 64, o in subordine alla revoca a mente della L. Fall., art. 67, commi 3 e 2 o della L. Fall., art. 66, e art. 2901 c.c., dell’ipoteca costituita dal fallito C.P. in qualità di terzo, a garanzia del credito relativo al mutuo concesso dalla banca al congiunto C. P., credito che già era stato ammesso per l’intero importo allo stato passivo con la prelazione ipotecaria, nonchè ad ottenere la restituzione delle somme attribuite alla banca in sede di riparto.
L’effetto preclusivo che discende dall’esecutività dello stato passivo, non impugnato attraverso i rimedi previsti dalla L. Fall., artt. 98, 100 e 102, ad avviso della Corte d’appello di Bologna, ancorchè fosse illegittima l’ammissione allo stato passivo del credito assistito dalla garanzia ipotecaria concessa dal fallito in qualità di terzo datore, si dispiega in ordine all’esistenza del credito ed al rango ivi riconosciuto impedendo l’esercizio delle azioni volte ad invalidare l’ipoteca. Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il curatore del fallimento dell’impresa XX in base a due motivi resistiti dalla banca intimata con controricorso.
Motivi della decisione
Il primo motivo denuncia violazione della L. Fall., artt. 25, 52, 64, 92, 96, 97, 98, 100, 102, 108, 109, 110, 112, 114, e degli artt. 2033, 2901 e 2909 c.c., e vizio di motivazione in ordine agli effetti attribuiti a provvedimento abnorme. La Corte del merito sarebbe incorsa nel denunciato errore per aver attribuito effetto preclusivo al decreto d’esecutività dello stato passivo pur in presenza della denuncia di abnormità del decreto del giudice delegato, che aveva ammesso allo stato passivo il credito della banca vantato nei confronti di soggetto diverso dal fallito in violazione della regola che esclude che il creditore che abbia ottenuto garanzia ipotecaria da un terzo abbia titolo a partecipare al concorso nella massa fallimentare del terzo datore, che non ha debito nei suoi confronti.
La quaestio juris, riguardante non già la stabilità dello stato passivo dichiarato esecutivo, ma la verifica dei suoi effetti preclusivi in caso di decreto d’ammissione emesso in assoluta carenza di potere del giudice delegato sarebbe stata risolta dai giudici d’appello senza coglierne il nucleo, assumendo che il riesame di quel decreto era rimesso esclusivamente ai rimedi endofallimentari previsti dalla L. Fall., artt. 98, 100 e 102, applicabili ratione temporis, il cui mancato esperimento ha consentito che lo stato passivo acquistasse forza di giudicato. Soggiunge il ricorrente che, in caso d’inesistenza giuridica del provvedimento d’ammissione allo stato passivo, verificabile incidenter tantum in controversie in cui si dibatte in ordine alla prelazione, lo stato passivo non ha attitudine al giudicato e, quindi, non produce ex se effetto preclusivo. Di qui la stridente contraddizione del ragionamento che sostiene la decisione impugnata che, pur richiamando l’insegnamento dei giudici di legittimità che afferma la giuridica inesistenza dell’ammissione del credito garantito allo stato passivo del fallimento del terzo datore dell’ipoteca, non ne hanno tratto le ovvie conseguenze. La prelazione concessa dal fallito al credito della banca verso il terzo non ha natura concorsuale e la sua partecipazione al concorso, se ammessa, è illegittima in quanto il relativo decreto, assunto in carenza di potere, non ha natura decisoria.
Il 2 motivo denuncia ancora violazione del medesimo quadro normativo e pone la questione di diritto se possa dispiegare effetto preclusivo il decreto del giudice delegato che abbia ammesso al concorso un credito ad esso estraneo in quanto non riferibile al fallito, in relazione al quale non entrano in gioco esistenza ed efficacia della prelazione. In simile evenienza, conclude il ricorrente, restano esperibili le azioni tese a dichiarare l’inefficacia della prelazione.
La resistente deduce l’infondatezza delle censure osservando che, benchè il decreto d’ammissione allo stato passivo del fallimento del terzo datore d’ipoteca sia errato in parte qua, nondimeno, stante la sua definitività, produce effetto preclusivo. L’illegittimità di quel decreto, non riconducibile alle categorie dell’abnormità e dell’inesistenza evocate da controparte, avrebbe dovuto farsi valere mediante i rimedi apprestati dal sistema fallimentare, non attivati nè dal curatore fallimentare nè da alcuno degli altri creditori ammessi. Il decreto, in conclusione, secondo quanto sostiene consolidato orientamento giurisprudenziale – Cass. n. 15186/2000-, ha portata limitata all’accertamento della validità ed efficacia della prelazione che, reso esecutivo lo stato passivo, non può essere messo in discussione con azioni ordinarie.
I motivi, che pongono questioni correlate esaminabili congiuntamente, espongono censure prive di pregio. Il consolidato orientamento di questa Corte (cui si presta adesione e che in questa sede s’intende ribadire senza necessità di rivisitazione, ha fatto chiarezza in ordine alla duplice problematica sollevata nei motivi in esame affermando che:
1.- "Al curatore fallimentare non è consentito agire in revocatoria per far dichiarare inopponibile alla massa una causa di prelazione in forza della quale un determinato credito sia stato già definitivamente ammesso al passivo in via privilegiata, atteso che soltanto lo scopo di modificare lo stato passivo, retrocedendo quel credito al rango chirografario, potrebbe sorreggere una tale azione, ma questo effetto non sarebbe raggiungibile senza la modificazione dello stato passivo, preclusa al di fuori dei rimedi previsti dalla L. Fall., art. 98, e segg." (Cass. n. 17888/2004). L’enunciato, di cui la Corte del merito ha fatto ineccepibile applicazione, convalida la convergenza formatasi in sede interpretativa circa la forza di giudicato endofallimentare che va attribuita al decreto che rende esecutivo lo stato passivo, postulato del suo effetto preclusivo che può essere rimosso all’interno della procedura e solo con i soli rimedi tipici della stessa, di cui dispone anche il curatore che, stante l’attitudine del credito accertato con effetto di giudicato interno a partecipare al concorso, può chiederne la revocazione ai sensi della L. Fall., art. 102, ma non certo agire in via ordinaria per rimetterne in discussione il titolo, ovvero gli elementi che lo costituiscono o lo connotano. Sgombrata in chiave esegetica ogni perplessità, seppur fosse residuata (cfr. Cass. S.U. n. 16508/2010 seppur in relazione a diversa fattispecie), la forza di giudicato del decreto che rende esecutivo lo stato passivo riceve attestazione positiva nel testo riformato dell’art. 96, u.c..
Il decreto dispiega dunque pieno effetto decisorio nella procedura in duplice prospettiva: all’interno del concorso, il che vuoi dire che assume carattere di stabilità in ordine all’esistenza della pretesa sostanziale ed alla qualità del credito in coerenza con la regola della concorsualità che presuppone l’anteriorità al fallimento e l’opponibilità del suo titolo fondante alla massa; ai fini del concorso, in quanto garantisce la stabilità dei riparti escludendo la ripetibilità delle somme percepite dal creditore ammesso secondo quanto prevede l’art. 114, ed incide altresì, nel regime novellato, ai fini dell’esdebitazione- art. 142-. Al di fuori della procedura, ma la questione è estranea al tema in questa sede dibattuto, il decreto non ha forza di giudicato potendo al più valere, secondo quanto prevede l’art. 120, u.c., nel testo riformato, quale prova documentale del credito cui evidenti ragioni di economia processuale, attribuiscono piena valenza ed efficacia, per l’introduzione del giudizio monitorio. E’ indubbio dunque, nè d’altronde il ricorrente smentisce l’assunto, che il decreto d’ammissione allo stato passivo contiene accertamento del credito quanto ai fatti costitutivi, alla qualità, al rango ed alla sua opponibilità alla massa, e che, divenuto definitivo e non impugnato attraverso i rimedi interni alla procedura, assume carattere di stabilità nell’alveo della procedura stessa ed ai suoi fini, precludendo ogni successiva iniziativa che metta in discussione quel titolo e quel rango.
2.- "I titolari di diritti di prelazione (nella specie, un’ipoteca) su beni immobili compresi nel fallimento, e già costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono avvalersi del procedimento di verificazione, in quanto la L. Fall., art. 52, sottopone ogni credito a concorso se il fallito si identifica con il debitore, mentre nella specie, essendo il fallito estraneo al rapporto obbligatorio, il debito corrispondente non può incidere sulla massa passiva; i predetti crediti, anche se esclusi dal concorso formale, sono peraltro assoggettabili a verifica, ai sensi della L. Fall., art. 108, u.c., nella fase posticipata della liquidazione del bene gravato, rappresentando il titolo che costituisce la prelazione una passività di cui il patrimonio del fallito deve essere depurato prima della ripartizione del ricavato ai creditori concorsuali, sempre che la sua validità ed attualità, oltre che opponibilità alla massa, non siano state contestate dal curatore con le apposite azioni" (Cass. n. 2429/2009). Del principio, che va senz’altro confermato e non viene neppure messo in discussione dal ricorrente, la Corte del merito ha tenuto conto. Ha infatti riscontrato l’illegittimità del decreto d’ammissione allo stato passivo del fallimento di C.P., terzo datore della garanzia del credito che la banca vantava nei confronti del fratello P., reputando nondimeno quel vizio inidoneo a scalfire l’intangibilità del giudicato endofallimentare, formatosi nell’assoluta inerzia dei soggetti legittimati a proporre le impugnazioni previste dalla L. Fall., art. 98, e segg.. Le censure esposte nei motivi in esame ascrivono i denunciati errori a siffatto passaggio argomentativo, lamentando che la Corte del merito avrebbe arrestato la sua verifica al riscontrato vizio senza rilevarne la riconducibilità alla categorie dell’abnormità ovvero dell’inesistenza giuridica, la cui applicabilità sarebbe resa evidente dall’assoluta assenza della potestas judicandi del giudice delegato in caso di debito assunto da soggetto diverso dal fallito.
Suggestiva ma infondata, la tesi argomentativa evoca, con richiamo alla pronuncia delle S.U. n. 9692/2002 emessa in tutt’altra fattispecie, nozione, di sostanziale elaborazione giurisprudenziale applicabile alle ipotesi in cui il provvedimento assunto dal giudice non è riconducibile all’archetipo dei provvedimenti giurisdizionali, ovvero è stato assunto da autorità priva di potere decisorio ed è pertanto privo di effetti giuridici, non riscontrabile di certo nell’ipotesi di non corretto esercizio del potere decisorio, nè nel caso in cui il provvedimento, assunto dal giudice competente a pronunciarlo secondo lo schema normativo di riferimento, risulti affetto da errore di diritto. Il vizio che inficia il provvedimento, ancorchè fosse annoverabile tra le ipotesi di nullità, a lume del principio sancito nell’art. 161 c.p.c., ma applicabile in linea generale al sistema delle impugnazioni, è emendabile mediante i rimedi impugnatori ordinari, vale a dire tipicamente disponibili secondo il sistema nel cui alveo quel provvedimento è stato emesso, sì che, in caso d’inerzia della parte legittimata a quei rimedi, quel provvedimento si stabilizza, seppur nel contenuto affetto dal vizio, con effetto di giudicato. Il decreto in esame è inficiato da indiscusso errore di diritto, che non rappresenta però anomalia tale da collocarlo al di fuori della fattispecie legale data, precludendone l’identificabilità e quindi l’idoneità a produrre effetti giuridici. Il giudice delegato infatti, senza affatto esorbitare dai limiti posti alle sue attribuzioni dalla legge fallimentare, ha in sostanza assunto provvedimento che, nella parte in cui esprime accertamento del credito verso il terzo e non nei confronti del fallito risulta "inutiliter" data, ma, nondimeno, potrebbe essere idoneo a spiegare effetto, laddove potesse interpretarsi ovvero risultasse in esso esplicato che quel diritto è stato verificato nel concorso al fine di consentire al creditore garantito di partecipare alle operazioni di liquidazione ed al conseguente riparto, in cui la sua prelazione assume rilievo. In assenza di tale esplicazione, nel decreto in esame, che ammette tout court il credito della banca, è riscontrabile errore di diritto che, tuttavia, nessuno dei creditori ha rilevato e fatto valere agendo, secondo il regime allora vigente, ai sensi della L. Fall., art. 100, nè il curatore ha chiesto di accertare e rimuovere promuovendo la revocazione L: Fall., ex art. 102. Ormai munito di forza di giudicato, il decreto si è perciò consolidato con quel contenuto, senza produrre effetto nella parte in cui ha accertato il credito e dispiegando invece efficacia nella fase della liquidazione e del conseguente riparto, cui in ogni caso il creditore ipotecario ha titolo a partecipare, in cui esistenza validità ed opponibilità della garanzia non possono trovare ormai spunti di contestazione atteso lo scrutinio su tali requisiti condotto con esito confermativo ed in via anticipata nella sede della verifica del credito. A maggior ragione, l’azione ordinaria, che il curatore solo successivamente e melius re perpensa ha esperito, non può rimettere in discussione suddetti elementi sui quali, come ha correttamente affermato il giudice dell’appello, si è riverberato l’effetto di giudicato che, in ragione dell’omessa attivazione dei rimedi impugnatori, devesi conferire allo stato passivo regolarmente approvato.
Tanto premesso, il ricorso deve essere rigettato disponendo la compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità in ragione della natura delle questioni trattate.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e compensa per l’intero le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *