Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-01-2013) 09-09-2013, n. 36888

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Il 16/02/2012, la Corte di appello di Napoli rigettava un’istanza avanzata dalla difesa di S.A., soggetto sottoposto a custodia cautelare in carcere per effetto di ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria adottata il 03/06/2010, successivamente confermata ex art. 27 cod. proc. pen. dal G.i.p. del Tribunale di Napoli; con la richiesta in argomento, si deduceva l’avvenuta decorrenza dei termini di fase ex art. 303 cod. proc. pen., atteso che lo S. risultava essere stato attinto da altro provvedimento restrittivo sostanzialmente disposto nell’ambito della medesima attività di indagine, essendo egli stato arrestato il (OMISSIS) per un fatto-reato da considerare realizzato in esecuzione del medesimo disegno criminoso rispetto a quelli che avrebbero poi portato all’emissione del secondo titolo custodiale. In particolare, quel primo arresto – occorso in (OMISSIS), e relativo ad una condotta di detenzione e trasporto di sostanze stupefacenti per la quale era già intervenuta sentenza definitiva di condanna – era stato eseguito da personale della Guardia di Finanza del capoluogo campano in virtù degli esiti di intercettazioni telefoniche in atto, curate dalla Guardia di Finanza di Catanzaro: quella stessa, e più estesa, attività di indagine aveva quindi determinato l’acquisizione di elementi a carico dello S. per reati di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, artt. 73 e 74 (T.U. stup.), dovendosi pertanto intendere l’episodio del (OMISSIS) quale reato-fine dell’associazione per delinquere successivamente contestata (il reato associativo veniva indicato come commesso dal (OMISSIS)).

La Corte di appello, escludendo che nel caso di specie potesse trovare applicazione il disposto di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, sottolineava come non risultasse in alcun modo che gli elementi sottesi all’emanazione della seconda ordinanza fossero già desumibili dagli atti di indagine al momento dell’adozione del primo titolo custodiale. Seguiva appello della difesa, che insisteva sul vincolo di connessione qualificata tra i reati oggetto dei due provvedimenti, e segnalava soprattutto come la continuazione fra i vari delitti contestati allo S. fosse già stata riconosciuta nell’ambito del processo conseguente all’ordinanza più recente, dove era stata pronunciata in primo grado sentenza di condanna ad anni 11 di reclusione – oltre a sanzione pecuniaria – rideterminando in quel computo, come aumento di pena base, la pena definitiva inflitta in precedenza al prevenuto per i fatti del (OMISSIS).

Il Tribunale adito ex art. 310 cod. proc. pen., tuttavia, rigettava il gravame osservando che il reato associativo non risultava commesso in epoca anteriore rispetto all’emissione della prima ordinanza, dovendosi l’interruzione della permanenza – secondo la rubrica – collocare nell'(OMISSIS): a tal fine, segnalava che l’arresto di uno dei membri di un’associazione criminosa non può in linea di principio considerarsi idoneo a definire la cessazione della partecipazione di quel soggetto al sodalizio, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità.

2. Propone ricorso per cassazione, articolato in un unico motivo, il difensore dello S..

Il ricorrente, ricostruite le vicende storiche come sopra sintetizzate, torna a ribadire che nel caso in esame ben può operare l’istituto della retrodatazione ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, in quanto tra i fatti contestati al prevenuto nelle due occasioni sussiste legame oggettivo, espressivo di connessione qualificata nei termini anzidetti, nonchè vincolo cronologico: a quest’ultimo riguardo, segnala che tutti i reati di cui alla seconda ordinanza custodiale risultavano commessi in epoca anteriore rispetto al (OMISSIS) (l’associazione, dal (OMISSIS); gli ulteriori reati-fine, tra (OMISSIS)). Come già rappresentato, l’arresto in flagranza di reato per il trasporto di stupefacenti era stato conseguenza di intercettazioni già in corso da tempo, ed a quella data tutto il materiale investigativo raccolto sul conto dello S. – vuoi a sostegno della sua presunta partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata al commercio di droga, vuoi per ascrivergli condotte determinate D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73 – era da intendersi già noto, secondo la ricostruzione difensiva, all’autorità procedente, perchè esauritosi nelle intercettazioni richiamate. Solo una scelta del P.M., in concreto, aveva portato a presentare una seconda richiesta di restrizione della libertà personale dello S. a distanza di anni, e senza in ogni caso che dopo quell’arresto fosse stata compiuta alcuna ulteriore attività di indagine nei riguardi dell’odierno ricorrente.

Tenendo conto dei rapporti tra i due organismi di polizia che avevano portato all’arresto del (OMISSIS), il difensore dello S. da atto che anche dinanzi ad informative di reato un ufficio del P.M. potrebbe comunque ritenere indispensabile l’acquisizione di elementi ulteriori, ma evidenzia tuttavia che "per l’operatività dell’art. 297 c.p.p., comma 3 è necessario operare una prognosi di desumibilità probatoria che si coniughi, secondo canoni di ragionevolezza, sia alla natura delle investigazioni sia alla complessità delle indagini sviluppate … . Proprio alla luce di tali parametri può ragionevolmente affermarsi che le indagini, alla data del (OMISSIS), avevano già raggiunto uno stadio tale per cui nei confronti dello S. era possibile presumere anche l’appartenenza ad una più articolata associazione finalizzata al narcotraffico".

Ad avviso della difesa, non avrebbe infine pregio la considerazione del Tribunale secondo cui l’anteriorità al (OMISSIS) della commissione dei reati contestati nell’ordinanza successiva dovrebbe escludersi in ragione del tenore della rubrica, che fa risalire il reato associativo fino all'(OMISSIS); richiamando alcuni precedenti della giurisprudenza di legittimità, infatti, si deve ricordare che il reato permanente è sì caratterizzato dal protrarsi della condotta illecita nel tempo, ma viene comunque ad esistenza nel momento in cui si perfeziona in tutti i suoi elementi costitutivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.

1.1 Va preliminarmente disattesa l’istanza di rinvio presentata dall’Avv. Alfonso Pagliano, sia perchè intempestiva (essendo stata formalizzata solo con comunicazione via fax in data 28/01/2013, vale a dire il giorno prima della presente udienza) sia perchè non vi risulta la prova di un assoluto impedimento del difensore.

1.2 In ordine alla questione in rito dedotta, occorre rilevare che il meccanismo della retrodatazione, previsto dall’art. 297 c.p.p., comma 3, viene ad operare in quattro possibili ipotesi, come si evince dal dato normativo e dalla elaborazione giurisprudenziale compiuta in sede di legittimità, anche a seguito della sentenza n. 408/2005 dalla Corte Costituzionale; dette ipotesi ricorrono in base a presupposti differenti:

quando, nell’ambito del medesimo procedimento, i titoli di restrizione riguardino gli stessi addebiti in fatto (seppure diversamente qualificati) ovvero fatti distinti ma tra cui sussista connessione qualificata ex art. 12 codice di rito, comma 1, lett. b) e c): qui la retrodatazione opera automaticamente;

– quando le contestazioni vengano mosse nell’ambito dello stesso procedimento, ma riguardino fatti diversi e non avvinti da connessione qualificata: in tal caso la retrodatazione può operare a condizione che, nel momento dell’emissione del primo titolo custodiale, vi fossero già elementi (noti al Pubblico Ministero) idonei altresì per l’adozione del provvedimento successivo;

– quando si proceda separatamente – e vengano emesse ordinanze restrittive – in relazione a fatti diversi in rapporto di connessione qualificata nei termini sopra precisati: l’istituto in parola trova applicazione quando gli addebiti su cui intervenga la seconda ordinanza fossero desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio eventualmente già disposto con riguardo alle contestazioni mosse in precedenza;

– quando tra i fatti contestati non vi sia connessione qualificata, e siano oggetto di procedimenti distinti: in quest’ultimo caso la retrodatazione opera sulla base del medesimo presupposto indicato per la seconda ipotesi (la desumibilità dagli atti degli elementi a sostegno della nuova ordinanza già al momento dell’adozione di quella precedente), purchè i due procedimenti risultino pendenti dinanzi alla medesima autorità giudiziaria, e dunque la separazione degli stessi possa intendersi conseguente ad una scelta del P.M..

Nel caso in esame, il Tribunale risulta aver correttamente motivato circa l’impossibilità di considerare ricorrente fra gli addebiti contestati allo S. un rapporto di connessione qualificata nei termini anzidetti, ed ha parimenti evidenziato con argomenti logici (non censurabili in questa sede) che non risulta dimostrato neppure il requisito della desumibilità dagli atti, al momento dell’emissione dell’ordinanza che si riferiva al delitto di detenzione e trasporto di droga, di tutti gli elementi che avrebbero poi supportato la piattaforma indiziaria a carico dello stesso S. quale partecipe di un reato associativo.

La difesa, individuando nella data dell’arresto del ricorrente il discrimine cui avere riguardo anche per intendere il momento finale delle acquisizioni istruttorie nei suoi confronti in ordine al delitto che gli sarebbe stato contestato solo in seguito, confonde peraltro la cessazione della permanenza con la presunta interruzione del rapporto fra un partecipe e gli altri associati: deve infatti osservarsi, in primo luogo, che un sodalizio criminoso ben può continuare ad operare a prescindere dall’intervenuta restrizione di alcuni dei soggetti che vi prendono parte, e va altresì ribadito che la stessa condotta di partecipazione ben può continuare a sussistere ed a manifestarsi anche per chi si trovi in vinculis, potendo costui essere ancora un affiliato, e addirittura concorrere a dare o diffondere direttive per ulteriori condotte illecite.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, sia pure in tema di sodalizi di tipo mafioso, il reato associativo "può continuare a consumarsi anche successivamente all’emissione di una misura cautelare – essendo legato non solo a condotte tipiche ma anche soltanto alla mancata cessazione dell’affectio societatis scelerum – fino ad un atto di desistenza che può essere volontaria oppure legale, rappresentato dalla sentenza di condanna anche non definitiva; nel caso di contestazione senza l’indicazione della data di cessazione della condotta, la permanenza deve ritenersi sussistente fino alla data della pronunzia di primo grado" (Cass., Sez. 5, n. 31111 del 19/03/2009, Marazia, Rv 244479).

A tutto voler concedere, dunque, di cessazione della permanenza quanto al delitto ex art. 74, Legge Stup. avrebbe potuto discutersi non già a far data dall’arresto dello S. per quello che egli ritiene un reato-fine, quanto dalla abbondantemente successiva condanna in primo grado.

La conclusione cui la Corte di appello è pervenuta, nel senso di non poter intendere la desumibilità dagli atti dei gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente quanto al reato associativo già nel (OMISSIS), è – come detto – conseguente ad una argomentata lettura dei dati processuali, che non è qui dato rivalutare; si tratta peraltro di una conclusione coerente a quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale "ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione della prima, non ricorre allorchè il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione … e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza" (Cass., Sez. 1, n. 20882 del 21/04/2010, Giugliano, Rv 247576).

Anche in punto di impossibilità di ravvisare connessione qualificata fra un reato associativo ed un presunto reato-fine, od a fortiori rispetto ad un reato solo occasionalmente realizzato nell’ambito del generico programma delittuoso, è stato rilevato che "non sussiste il vincolo di connessione qualificata, e cioè quello di continuazione o di connessione teleologia, per l’applicazione della regola di retrodatazione dei termini di custodia cautelare, in caso di ordinanza emessa per l’addebito di partecipazione ad associazione di tipo mafiosa o ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di altra ordinanza emessa per gli addebiti di reati- fine … non potendo ritenersi che i reati fine rientrino nel generico programma associativo, nè che i medesimi siano consumati per "eseguire" il reato associativo (Cass. Sez. 1, n. 18340 del 11/02/2011, Scarcia, Rv 250305).

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Dal momento che alla presente decisione non consegue la rimessione in libertà dello S., dovranno curarsi gli adempimenti previsti dalla norma indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2013


Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *