Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-07-2012, n. 13288

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con citazione notificata nell’ottobre del 1997 la curatela del fallimento della Società X srl esercitava azione di recupero della somma di L. 272 milioni nei confronti di ognuno degli ex soci di detta società ( G.E., G.A., C.E., N.V. e T. S.), che con Delib. 8 gennaio 1994 si erano impegnati a versare nelle casse sociali la somma di L. 1.360.000.000 ad integrazione del capitale sociale esistente.
Si costituivano in giudizio i convenuti con richiesta di rigetto della domanda a motivo che l’efficacia della delibera era condizionata a conseguimento delle agevolazioni ex L. n. 64 del 1986 poi non elargite, che tale delibera era nulla per irregolarità di convocazione dei soci e che comunque il diritto azionato nei confronti dei convenuti, a seguito di cessioni delle quote, si era prescritto ai sensi dell’art. 2481 cod. civ.; successivamente veniva poi eccepito anche il difetto di legittimazione attiva.
L’istruttoria veniva svolta con l’acquisizione di documentazione varia e l’assunzione della prova testimoniale dedotta; quindi, rigettata la richiesta di CTU per irritualità, la causa perveniva al suo epilogo sulle conclusioni rassegnate dalle parti e sopra trascritte".
Con sentenza in data 22 dicembre 2000 n. 353, l’adito tribunale di Lanciano giudice unico ha rigettato la domanda con il carico delle spese di lite alla curatela fallimentare.
Avverso questa sentenza non notificata ha proposto appello la Curatela del fallimento della Società X Srl, con citazione notificata il 10 febbraio 2002.
Gli appellati resistevano all’impugnazione, espressamente richiamando le argomentazioni di cui alla comparsa di risposta di primo grado e le conclusioni ivi rassegnate.
La Corte d’appello con sentenza 1060/04 rigettava il gravame ad eccezione del motivo riguardante il regime delle spese di primo grado che venivano compensate.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la curatela fallimentare sulla base di due motivi cui resiste con controricorso gli intimati che propongono a loro volta ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso principale la curatela fallimentare sostiene l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto che l’eccezione di prescrizione fosse stata correttamente riproposta dai resistenti nel giudizio di appello.
Con il secondo motivo contesta l’applicabilità al caso di specie della prescrizione di cui all’art 2481 c.c..
Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato i resistenti contestano la sentenza impugnata laddove questa ha ritenuto che i versamenti che essi si erano impegnati ad effettuare potessero considerarsi conferimenti atipici invece che un impegno di finanziamento.
I ricorsi vanno preliminarmente riuniti.
Va preliminarmente esaminata l’eccezione di nullità della notifica del ricorso per cassazione per essere stato notificato presso il difensore costituito in appello e non già presso lo studio di questo in L’Aquila ove era stato eletto il domicilio ma presso altro studio dello stesso difensore in Lanciano.
Questa Corte ha infatti già affermato che la notificazione del ricorso in cassazione eseguita in un luogo diverso da quello prescritto, ma non privo di un astratto collegamento con il destinatario (nella specie, negli studi professionali dei due difensori in appello e non nel domicilio eletto), determina la nullità non dell’impugnazione in senso sostanziale, bensì della notifica, che, pertanto, è sanata con effetto "ex tunc" per raggiungimento dello scopo, sia mediante la sua rinnovazione, sia mediante la costituzione in giudizio dell’intimato, cui la notificazione stessa era diretta, come avvenuto nel caso di specie, anche se effettuata al solo fine di eccepire la nullità. (Cass 15190/05, Cass. 13650/07).
Il primo motivo del ricorso principale è fondato.
Invero gli odierni resistenti, nel costituirsi nel giudizio di appello hanno chiesto con la comparsa di risposta il rigetto del gravame riportandosi a tutte le conclusioni rassegnate in 1 grado e di cui si chiede l’accoglimento".
Tra le dette conclusioni vi era anche l’eccezione di dichiarazione di prescrizione del credito della società che però non risulta essere stata espressamente ed esplicitamente riproposta nella comparsa di risposta in appello.
La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato sul punto che la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le eccezioni e le questioni che risultino superate o assorbite, difettando di interesse al riguardo, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel nuovo giudizio in modo chiaro e preciso, tale da manifestare in forma non equivoca la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. (ex plurimis Cass. 19 ottobre 1995, n. 10884; Cass. 30 maggio 1996, n. 5028; Cass. 20 marzo 2001, n. 4009; Cass. 18 giugno 2003, n. 9687;Cass 14267/99; Cass 14086/10). A tal fine, il mero richiamo generico, contenuto nella comparsa di risposta in appello, alle difese in prime cure ed alle conclusioni assunte in primo grado, non può essere ritenuto sufficiente a manifestare la volontà di sottoporre al giudice dell’appello la riproposizione delle eccezioni svolte in primo grado e delle domande assorbite (Cass 9878/05). E’ stato altresì specificato che la detta riproposizione deve avvenire tempestivamente con la comparsa di costituzione in appello, e non già tardivamente con gli atti successivi quali la comparsa conclusionale, come avvenuto nel caso di specie (da ultimo Cass. 18901/07 Cass. 5735/11).
Nel caso di specie deve quindi ritenersi che l’eccezione di prescrizione, riproposta espressamente solo in sede di comparsa conclusionale sia stata dedotta irritualmente e tardivamente onde il giudice di appello doveva dichiararla inammissibile e non già accoglierla.
L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale determina l’assorbimento del secondo.
Venendo all’esame del ricorso incidentale lo stesso è infondato e per certi versi inammissibile.
Invero la Corte d’appello ha rilevato che la delibera assembleare che aveva stabilito l’apporto da versare da parte dei soci doveva considerarsi intervenuta nell’ambito dell’autonomia negoziale privata e che in base ad essa i soci avessero assunto liberamente l’obbligazione di versare la somma di L. 272 milioni.
Sulla base di questa premessa il giudice di seconde cure ha proceduto ad una dettagliata analisi interpretativa del negozio giungendo alla conclusione che il negozio stipulato fosse un conferimento atipico.
I ricorrenti incidentali contestano siffatta interpretazione sia sotto il profilo del vizio motivazionale che sotto quello della violazione di legge.
Va premesso che,secondo il costante orientamento di questa Corte, stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo, o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell’impresa collettiva, è questione di interpretazione della volontà delle parti, riservata al giudice di merito, il cui apprezzamento non è censurabile in cassazione, se non per violazione delle norme giuridiche che disciplinano l’interpretazione della volontà negoziale o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che quell’accertamento sorregge. (Cass. 7692/06).
Riguardo al primo aspetto relativo alla violazione di norme giuridiche, i ricorrenti, non avanzano le loro censure deducendo la violazione dell’art. 1362 c.c. e segg..
A tale proposito questa Corte ha in ripetute occasioni affermato che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice dì merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonchè, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. (Cass. 4178/07; Cass. 19044/10).
Nel caso di specie nulla di tutto ciò si rinviene nel ricorso incidentale onde i profili di censura attinenti alla dedotta violazione di legge sono inammissibili. Venendo ora alle doglianze con cui si deducono vizi motivazionali, questa Corte ha ripetutamente affermato che la denuncia del vizio di motivazione dev’essere effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 4178/07, Cass. 9044/10).
Nel caso di specie , la Corte d’appello ha escluso che nel caso di specie si trattasse di un finanziamento o di un mutuo di scopo,oltre che per la mancanza della previsione di una obbligazione attuale di restituzione anche perchè ciò era confermato dall’esegesi "della deliberazione con cui gli appellati, tutti sottoscrittori della deliberazione suddetta, decisero di "attuare un versamento in conto capitale sociale" in ragione di L. 272 milioni ciascuno, espressamente prevedendo che tali versamenti, in quanto destinati ad assolvere la funzione di capitale sociale, ne seguissero "le sorti e l’indisponibilità da parte dei soci". E non risulta che tali versamenti – come oppongono gli appellati – fossero condizionati o comunque solo "programmati" (come reputato dal primo giudice) per il conseguimento di un finanziamento, risultando dalla deliberazione l’esatto contrario, ossia che tali versamenti furono vincolati alla totale estinzione del mutuo già concesso dal "Mediocredito Abruzzese e Molisano con Delib. 22 maggio 1991".
Del pari non costituisce evento condizionante la previsione che i versamenti sarebbero dovuti avvenire "nei limiti di tempo e con le modalità demandate a impulso al Presidente del Consiglio di Amministrazione", dal momento che – trattandosi di modalità esecutive del versamento (peraltro già contemplate nella deliberazione con accensione e versamenti in conti correnti) – l’obbligazione assunta, era già sorta e attuale, trattandosi unicamente di fissare il termine di adempimento. Trattasi di una motivazione basata su una corretta interpretazione del negozio di cui prende in considerazione il dato letterale che fa riferimento "alla attuazione di un conferimento in conto capitale" nonchè alla natura dell’obbligazione assunta che non prevedendo alcun obbligo di restituzione da parte della società non poteva considerarsi un finanziamento. Le censure che i ricorrenti incidentali muovono a siffatta interpretazione tendono in realtà a prospettare una diversa interpretazione del negozio investendo in tal modo inammissibilmente il merito della decisione. E’ appena il caso di rammentare a tale proposito la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale nel giudizio di cassazione, la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito. (ex plurimis Cass. 7972/07).
Nel caso di specie, i ricorrenti incidentali sostengono che in realtà una previsione di restituzione era prevista dall’art. 4 della Delib. 8 gennaio 1994, ma in realtà trascrivono solo parzialmente il testo dell’art. 4 ed omettono di riportare nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, il testo della intera delibera, non consentendo a questa Corte, cui è inibito l’accesso agli atti della fase di merito di potere valutare l’esistenza di effettive lacune, insufficienze o contraddittorietà nella motivazione della Corte d’appello.
Per quanto riguarda i tempi ed i modi dei versamenti rimessi alla decisione del Presidente del Consiglio di amministrazione, ricorrenti ne sostengono la rilevanza ai fini di escludere che si trattasse di un versamento in conto capitale, ma trattasi anche in questo caso di una diversa interpretazione rispetto a quella data dalla Corte d’appello che ha ritenuto che l’obbligazione era comunque sorta e solo la sua esecuzione era posposta nel tempo. Anche per quanto concerne il rapporto tra i versamenti ed il mutuo i ricorrenti incidentali propongono una diversa lettura degli atti rispetto a quella fornita dalla Corte d’appello che ha rilevato che il mutuo era già stato concesso e che i versamenti erano finalizzati alla sua estinzione, sostenendo che l’erogazione del mutuo era subordinata ad un aumento di capitale che non si era mai verificato per cui l’obbligazione per i versamenti era venuta meno.
In tal modo oltretutto i ricorrenti incidentali, non risultando quanto da essi assunto dal testo della sentenza impugnata, richiedono a questa Corte l’effettuazione di accertamenti in fatto non consentiti in sede di legittimità.
Il ricorso va, pertanto, accolto nei termini di cui in motivazione, la sentenza impugnata va di conseguenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, che si atterrà nel decidere al principio di diritto dianzi enunciato e che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *