Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 29-01-2013) 24-07-2013, n. 32395

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. All’esito di giudizio ordinario il Tribunale di Milano con sentenza del 16.12.2010 ha assolto F.G. perchè il fatto non sussiste dal reato di elusione degli obblighi di assistenza inerenti alla sua qualità di genitore (art. 570 c.p., comma 1), avendo omesso di far visita alla figlia minore Gi. affidata alla moglie separata, e perchè il fatto non costituisce reato dal concorrente reato di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in favore della stessa figlia minore (art. 570 c.p., comma 2, n. 2), non avendo corrisposto a partire dal gennaio 2006 alla moglie separata G.S. il contributo di Euro 258,00 mensili a tal fine stabilito dal giudice civile della separazione ((OMISSIS)).

Esito decisorio cui il Tribunale è pervenuto, quanto al reato ex art. 570 c.p., comma 1, in base alle dichiarazioni dibattimentali della parte civile G.S., che ha riferito come il coniuge separato F. abbia frequentato e frequenti regolarmente la figlia, interessandosi della sua crescita e delle sue vicende. Quanto al reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, la soluzione liberatoria è stata adottata dal Tribunale in base alla ritenuta, quale causa esimente, incapacità economica dell’imputato di adempiere l’obbligo contributivo. Situazione di grave difficoltà economica, non imputabile a sua colpa, tale da costringerlo a ricorrere, per la sopravvivenza sua e del suo nuovo nucleo familiare con presenza di altri due figli, agli aiuti degli amici e dell’anziana madre, essendosi venuto a trovare in condizione di vera e propria indigenza (tanto da essere ammesso, aggiunge la sentenza, al beneficio del patrocinio giudiziario a spese dello Stato).

2. Giudicando sull’impugnazione agli effetti civili della persona offesa G.S. costituitasi parte civile, la Corte di Appello di Milano con la sentenza del 24.1.2012, richiamata in epigrafe, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto sussistente la condotta di omessa corresponsione del contributo genitoriale contestata al F. e, per gli effetti civili, lo ha condannato al risarcimento dei danni (liquidandi in separato giudizio) in favore della parte civile, cui ha assegnato una provvisionale dell’importo di Euro 5.500,00.

I giudici di appello hanno, in primo luogo, reputato erronea la duplice assoluzione dell’imputato deliberata dal Tribunale, stante la natura "unitaria" della condotta illecita prevista dall’art. 570 c.p., (il primo e il secondo comma non dando vita a due autonome fattispecie di reato), realizzata dal F. con il sottrarsi agli obblighi di assistenza inerenti alla sua funzione genitoriale, altresì omettendo il pagamento della somma mensile in favore della figlia Gi..

In secondo luogo i giudici del gravame con specifico riguardo alla scriminante della "impossibilità di pagamento", ravvisata dal primo giudice che su di essa ha fondato l’assoluzione del F., hanno ritenuto non sorretta da idonea dimostrazione l’addotta incapacità economica dell’obbligato. La giurisprudenza di legittimità, osserva la sentenza della Corte ambrosiana, esclude che la "semplice allegazione di difficoltà economiche dell’obbligato o anche un suo eventuale stato di disoccupazione" siano bastevoli per far venire meno l’obbligo contributivo genitoriale, a tal fine essendo necessario che l’imputato provi di essersi trovato in uno stato oggettivo di vera e propria indigenza. Di siffatto stato il F. non ha offerto adeguata dimostrazione. Donde la conseguenza che, "dovendosi ritenere provata la penale responsabilità dell’imputato" per il reato ascrittogli, la sentenza assolutoria del Tribunale impugnata dalla parte civile va riformata, condannandosi il F. a risarcire alla parte civile i danni derivanti dal reato.

3. Avverso la descritta sentenza di appello il F., con atto di impugnazione personale, ha proposto ricorso per cassazione, delineando le seguenti censure.

3.1. Violazione dell’art. 570 c.p..

La Corte di Appello è incorsa in palese e sorprendente errore di diritto, definendo espressione di unitaria condotta antigiuridica le ipotesi previste dall’art. 570 c.p., commi 1 e 2, (quella di cui all’art. 570 c.p., comma 2, rappresenterebbe ipotesi aggravata dell’unica fattispecie sanzionata in via generale dall’art. 570 c.p., comma 1).

La giurisprudenza di legittimità, ormai pacifica sul punto, ha affermato che le due previsioni tipizzate dall’art. 570 c.p., commi 1 e 2, integrano due diverse fattispecie di reato, sebbene interdipendenti. La sentenza di appello, benchè l’errore di diritto non incida direttamente sulla posizione di interesse processuale del ricorrente, deve comunque essere annullata con rinvio per una rivalutazione dell’intera vicenda che muova dalla corretta qualificazione giuridica della regiudicanda.

3.2. Difetto di motivazione sulla esimente ad impossibiliti nemo tenetur.

La sentenza impugnata ha escluso, in aperta dissonanza con la decisione di primo grado, l’apprezzabilità della situazione di povertà pur diffusamente esposta e documentata dall’imputato. La motivazione con cui la Corte territoriale ha disatteso le ragioni difensive del F. è soltanto apparente, perchè imperniata su generiche regole di giudizio applicate in termini astratti e non collegati alla concreta situazione storica e debitoria del F., gravato – per cause a lui non imputabili- da una vistosa esposizione debitoria, pluriprotestato e sfrattato, appena in grado di far fronte con l’aiuto caritatevole di terzi alle esigenze primarie del suo nuovo nucleo familiare e dei suoi due altri figli. La Corte di Appello ha disconosciuto incongruamente il valore della documentazione prodotta nel giudizio di primo grado, che il Tribunale ha esaminato e giudicato rappresentata dell’assenza di volontà colpevole dell’imputato, mandandolo assolto dalla fattispecie di cui all’art. 570, comma 2, n. 2, con la corrispondente formula di rito del fatto non costituente reato.

3.3. Nel corso dell’odierna discussione l’intervenuto difensore del ricorrente ha eccepito una causa di nullità, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, della sentenza di appello, adita dalla parte civile con una impugnazione proposta per finalità penali in quanto invocante la condanna del prevenuto alle sanzioni criminali in conformità alla fattispecie incriminatrice ascrittagli. Tale connotazione dell’appello della parte civile determina l’originaria inammissibilità dell’impugnazione e, per ciò stesso, il passaggio in giudicato della sentenza assolutoria di primo grado, di cui va dichiarata l’irrevocabilità.

4. Il ricorso di F.G. è assistito da fondamento e la sentenza della Corte di Appello di Milano che lo ha condannato a risarcire il danno subito dalla parte civile, deve essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio alla stessa Corte territoriale.

4.1. La genetica inammissibilità dell’appello della parte civile contro la sentenza assolutoria di primo grado eccepita dal difensore nell’udienza odierna è priva di pregio.

Come precisa l’art. 576 c.p.p., la parte civile può impugnare le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio "ai soli effetti della responsabilità civile". Ora nel caso di specie l’appello della parte civile G. contro la sentenza assolutoria di primo grado effettivamente invoca "anche" la declaratoria di penale responsabilità dell’imputato in uno alla sua condanna al risarcimento dei danni. Ma la pur infelice formula adottata nell’appello non fa velo, ove si ponga attenzione al corpo dell’atto impugnatorio, all’enunciazione di esclusivi interessi patrimoniali della parte civile proprio in riferimento al danno patito per effetto della condotta di omissione contributiva del prevenuto, si da ricondurre l’impugnazione della stessa parte civile nell’alveo suo proprio finalizzato al ristoro dei danni prodotti dal reato.

4.2. Senz’altro fondato, benchè – come rileva lo stesso ricorrente – l’accertato vizio di violazione di legge non presenti ricadute sostanziali sulla sua posizione processuale, è il motivo di ricorso che adduce l’erroneità del ritenuto carattere unitario dei fatti descritti nei primi due commi dell’art. 570 c.p.. Palmare è l’errore della Corte territoriale che impropriamente censura la corretta decisione del primo giudice che ha tenuto distinti i due fatti reato ascritti al F.. Come a più riprese ha precisato la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, costituisce autonoma fattispecie di reato e non una figura circostanziata rispetto alla indipendente ipotesi criminosa prevista dall’art. 570 c.p., comma 1, (v.: Cass. Sez. 6^, 6.11.2006 n. 41735, P.G. in proc. Vezzali, rv. 235301; Cass. Sez. 6^, 27.1.2011 n. 6297, rv. 249344).

4.3. Fondato è il secondo motivo di ricorso che investe il merito della regiudicanda in punto di apprezzamento della reale capacità economica dell’imputato per poter adempiere l’obbligo contributivo in favore della figlia minore.

La motivazione dell’impugnata sentenza di appello mostra più lacune valutative e talune erronee considerazioni con riferimento all’analisi dell’elemento soggettivo del reato ascritto al F..

Con scarne e sommarie argomentazioni la Corte esclude che la situazione di impossibilità economica addotta dal ricorrente possa avere effetti sulla sussistenza del reato, perchè tale situazione è semplicemente "allegata" e non sorretta da validi e convincenti elementi dimostrativi. In quest’ottica la decisione richiama criteri e regole di giudizio che pur trovano riferimento nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, come – ad esempio – il dato per cui l’eventuale stato di disoccupazione dell’imputato, la sua impossidenza patrimoniale, la mancata precisazione delle ragioni determinanti lo stato di difficoltà finanziaria non possono, di per sè e in assenza di altri elementi, condurre ad esiti liberatori per l’imputato. Si tratta, tuttavia, di regole di giudizio che, oltre a contrapporsi alle non meno valide e pur ricorrenti regole di giudizio valorizzate dal giudice di primo grado, sono apprezzate in astratto, senza la necessaria correlazione con la condizione concreta dell’imputato e, soprattutto, con le emergenze processuali.

Come è facile arguire dalla lettura della sentenza di primo grado, il F. per giustificare la propria incapacità contributiva non si è limitato a descrivere la sua situazione di crisi economica, ma ha fornito tutta una serie di elementi documentali volti a rappresentarne l’effettività. Elementi che la Corte di Appello sembra avere ignorato. Il Tribunale ha osservato che il F. "ha rappresentato e documentato il proprio dissesto economico" (sfratto per morosità; perdita del lavoro; assenza di introiti di qualche significatività; inutile richiesta di modifica delle condizioni patrimoniali della separazione, respinta dal giudice civile che non ha creduto all’evoluzione negativa della sua situazione economica).

Si precisa nella sentenza di primo grado che l’assunto difensivo dell’imputato risulta suffragato: dalla assenza di rilievi da parte della G.d.F. sulle dichiarazioni di nullatenenza autocertificate dal F.; dalla testimonianza della madre dell’imputato, che ha confermato le difficoltà economiche del figlio, cui fornisce quando le è possibile un aiuto finanziario; dalla produzione dei molti decreti ingiuntivi di pagamento emessi nei confronti del prevenuto e dall’elenco dei numerosi atti di protesto elevati a suo carico.

Se ne inferisce, quindi, che la Corte territoriale ha tralasciato di valutare con la dovuta attenzione la condizione economica dell’imputato al momento dei fatti.

Sia con riferimento alle esigenze di mantenimento, non meno rilevanti di quelle della figlia Gi., degli altri due figli più piccoli nati dalla sua nuova unione e, per ciò stesso, del concorrente 0bbligo alimentare del ricorrente (cfr. Cass. Sez. 6^, 10.1.2011 n. 6597, rv. 249374). Sia in relazione ai pur documentati, in tutto o in parte, elementi avvaloranti il suo stato di indigenza impeditivo dell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria verso la prima figlia.

L’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, non può non essere sempre oggetto di puntuale accertamento del giudice di merito, imponendosi la verifica dell’adeguata capacità economica dell’obbligato, da intendersi in concreto e non in termini meramente virtuali, e la verifica che il contegno omissivo integrante il reato non risulti sorretto dalla volontà cosciente e libera (dolo) di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi inerenti alla qualità di genitore (in uno, come è ovvio, allo stato di bisogno del minore avente diritto). Quando lo stato di bisogno risulti assistito da presunzione semplice come nel caso di un minore, i congiunti accertamenti della capacità economica dell’imputato e dell’elemento soggettivo del reato debbono essere, se possibile, ancor più rigorosi, poichè solo l’affidabile prova della volontarietà della condotta lesiva e della presenza di tale capacità economica, ove essa non sia vanifica da una deliberata risoluzione elusiva dell’imputato, giustificano l’affermazione di penale responsabilità (cfr.: Cass. Sez. 6^, 21.9.2p01 n. 37419, Mangatia, rv. 220712; Cass. Sez. 6^, 21.10.2010 n. 41362, rv. 248955;

Cass. Sez. 6^, 10.1.2011 n. 6597, rv. 249374).

La sentenza di appello impugnata deve, per tanto, essere annullata con rinvio degli atti alla Corte di Appello di Milano, perchè, in diversa composizione, proceda ad un nuovo giudizio che colmi le lacune e le discrasie della motivazione sulla tematica indicata in narrativa, uniformandosi ai canoni valutativi e ai principi di giurisprudenza ivi richiamati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2013
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