T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 18-01-2011, n. 57

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo
L’Impresa Costruzioni Edili B.B. Srl è proprietaria di un’area nel Comune di San Martino Buon Albergo, ricompresa in zona agricola, corrispondente all’ambito dell’ex cava denominata "X", la cui coltivazione, autorizzata dalla Giunta Regionale con deliberazione n.1881 del 1978 è cessata per esaurimento (all. 6 delle produzioni documentali di parte ricorrente).
La suddetta area, unitamente agli impianti ivi esistenti, ha costituito oggetto di un contratto di locazione stipulato con la X Spa, che vi gestisce un impianto per la produzione di conglomerato bituminoso.
A seguito di sopralluogo effettuato dall’ufficio tecnico comunale nel marzo 2007 è stata rilevata la realizzazione di opere asseritamente abusive, dettagliatamente individuate nel relativo verbale, prot. n. 10103 del 5 maggio 2007 (rampa di accesso; impianto di frantumazione e di separazione degli inerti; pesa a ponte per camion; due costruzioni prefabbricate; una tettoia per la copertura di uno spazio di sosta per automezzi; un impianto per la produzione di conglomerato bituminoso e relativa cabina di comando; terrapieno con muri in cemento armato utilizzato come superficie di scarico degli inerti; tettoia per la copertura di un’area di deposito di bidoni; silos orizzontali per lo stoccaggio di bitume ed inerti).
Successivamente, in data 21 agosto 2008, l’amministrazione comunale ha adottato l’ordinanza di demolizione gravata con il ricorso introduttivo del presente giudizio.
Avverso il suddetto provvedimento la difesa della ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di ricorso.
Con il primo mezzo è stata censurata la violazione della normativa urbanistica comunale e, nello specifico, degli artt. 43 e 63 delle N.T.A. del P.R.G. in quanto l’amministrazione non avrebbe considerato che la zona agricola sulla quale insistono le opere contestate è compatibile con l’attività di cava e con le attività connesse e che, ai sensi delle prefate disposizioni, è ammesso il mantenimento ed il recupero degli insediamenti produttivi extra – agricoli esistenti, di cui all’art. 63 delle N.T.A., con conseguente possibilità della loro utilizzazione nelle more dell’approvazione del piano attuativo previsto in relazione all’ambito naturalistico denominato "Campagna Parco".
Con il secondo motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità e carenza di motivazione nonché la violazione dell’art. 31 della l. n. 1150 del 1942 e del D.P.R. n. 445 del 2000, evidenziandosi che le opere sarebbero state realizzate in epoca anteriore al 1967 e, dunque, in epoca nella quale non era necessario alcun titolo edilizio.
La terza censura si appunta sulla violazione dell’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001 e sull’esclusione della necessità del permesso di costruire, con la conseguenza che l’amministrazione comunale non avrebbe potuto irrogare la sanzione demolitoria ma, eventualmente, solo una sanzione pecuniaria.
Con il quarto motivo di ricorso è stata dedotta la violazione dell’art. 142 del d. lgs. n. 42 del 2004 nonché dell’art. 71 delle N.T.A. del P.R.G., a motivo dell’istituzione del vincolo paesaggistico solo in epoca successiva all’esecuzione delle opere.
Con il quinto e il sesto motivo di ricorso è stata censurata, rispettivamente, la violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 a motivo dell’omessa indicazione nell’atto impugnato dell’area che, nell’ipotesi di inottemperanza all’ordine di demolizione, costituirà oggetto di acquisizione al patrimonio comunale nonché la violazione della medesima disposizione in quanto l’ordine di demolizione è stato notificato anche alla società proprietaria dell’area sulla quale insistono le opere in contestazione la quale, tuttavia, non ne ha più la disponibilità in conseguenza della stipulazione del contratto con la X Spa..
Il Comune di San Martino Buon Albergo si è costituito in giudizio per resistere al gravame, concludendo per l’infondatezza del ricorso.
All’udienza del 21 ottobre 2010 i difensori comparsi hanno ribadito le rispettive conclusioni, dopo di che la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente il Collegio deve esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione del verbale di sopralluogo del 4 maggio 2007 e della comunicazione di avvio del procedimento del 19 febbraio 2008 sollevata dalla difesa dell’amministrazione resistente, in quanto atti privi di contenuto provvedimentale e di efficacia lesiva.
La stessa difesa, inoltre, evidenzia l’inesistenza di un verbale di sopralluogo del 16 marzo 2007, data corrispondente a quella dell’esecuzione dell’ispezione oggetto del verbale del 4 maggio 2007.
1.1. L’eccezione è solo parzialmente fondata.
Oltre all’ordinanza di demolizione hanno costituito oggetto di impugnazione il verbale di sopralluogo del 16 marzo 2007, il parere della commissione edilizia integrata del 19 febbraio 2008 ed il verbale dell’ufficio tecnico del 4 maggio 2007.
Il Collegio rileva, in primo luogo, l’inesistenza del verbale di sopralluogo del 16 marzo 2007, data nella quale, come rilevato dalla difesa di parte resistente, è stata eseguita l’ispezione oggetto del verbale prot. n. 10103 del 4 maggio 2007.
Deve evidenziarsi, dunque, che, mentre in relazione al primo dei suddetti atti mancano in radice i presupposti per l’impugnazione e l’indicazione di tale atto è verosimilmente da imputare ad un errore tant’è che dalla documentazione versata in atti non emerge l’esistenza di alcun atto redatto in quella data dall’ufficio tecnico comunale – circostanza del resto affermata dalla difesa dell’amministrazione resistente e non contestata -, in relazione al verbale di sopralluogo del 4 maggio 2007, invece, l’impugnazione deve ritenersi pienamente ammissibile in quanto, pur costituendo atto endoprocedimentale insuscettibile di impugnazione immediata, il verbale è stato gravato unitamente al provvedimento demolitorio, adottato a conclusione del procedimento finalizzato all’accertamento della sussistenza degli abusi edilizi.
I verbali di sopralluogo, infatti, sebbene si sostanzino, di regola, nella descrizione di meri accertamenti di fatto, sono suscettibili di produrre un’efficacia lesiva, sia pure non immediata, nella misura in cui viene contestato il contenuto delle rappresentazioni in esso contenute, poste a fondamento del provvedimento definitivo, sicché, a prescindere dalle valutazioni in ordine alla peculiare valenza probatoria di tali atti (il che costituisce valutazione di merito), la loro impugnazione unitamente al provvedimento conclusivo del procedimento è certamente ammissibile.
La difesa dell’amministrazione eccepisce anche, sulla base delle medesime argomentazioni sopra evidenziate, l’inammissibilità dell’impugnazione quanto alla comunicazione di avvio del procedimento del 19 febbraio 2008.
Il Collegio rileva che la comunicazione di avvio del procedimento non ha costituito oggetto di impugnazione e, comunque, l’atto non è stato correttamente individuato in quanto dallo stesso provvedimento demolitorio gravato emerge che l’amministrazione ha predisposto due comunicazioni di avvio del procedimento, una assunta al prot. n. 10743 dell’11 maggio 2007 ed una al prot. n. 4580 del 28 febbraio 2008.
La difesa dell’amministrazione resistente, verosimilmente, ha inteso contestare l’ammissibilità dell’impugnazione del diverso atto assunto in data 19 febbraio 2008 e, cioè, del parere favorevole alla demolizione espresso dalla Commissione edilizia integrata.
Il Collegio, pur volendo dare un senso all’eccezione di inammissibilità sollevata in relazione all’atto adottato in data 19 febbraio 2008 attraverso la ricostruzione operata, rileva che l’eccezione è infondata.
Si evidenzia, al riguardo, che è nota al Collegio l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale che sostiene, in materia di rilascio di titoli edilizi, che la comunicazione del parere negativo della Commissione edilizia da parte del funzionario competente al rilascio del titolo edificatorio costituisce, salvo diverse indicazioni emergenti dal contenuto dell’atto, manifestazione della volontà di aderire alla decisione e, rappresentando l’atto conclusivo del relativo procedimento, è immediatamente impugnabile (cfr. T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 15 giugno 2010, n. 2842; T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 29 gennaio 2010, n. 195).
Tale orientamento, anche a prescindere da ulteriori considerazioni, non è pertinente alla fattispecie oggetto di giudizio nella quale la Commissione edilizia integrata si è espressa favorevolmente sulla proposta dell’ufficio tecnico comunale di ingiungere la demolizione delle opere contestate, e di tale parere – peraltro di regola non necessario in considerazione del carattere di atto dovuto dell’ordinanza di demolizione in presenza dei relativi presupposti – la ricorrente è venuta a conoscenza a seguito della notificazione dell’ordinanza di demolizione gravata nella quale il parere stesso è stato integralmente riportato, né la difesa dell’amministrazione comunale ha fornito elemento alcuno idoneo a comprovare una pregressa comunicazione del suddetto parere alla B.B. Srl.
2. Il Collegio deve, a questo punto, procedere all’esame del merito.
2.1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
2.1.1. Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione della normativa urbanistica comunale e, nello specifico, degli artt. 43 e 63 delle N.T.A. del P.R.G..
La difesa della ricorrente sottolinea, in primo luogo, che l’area sulla quale insistono le opere contestate ricade in zona E2 e, dunque, in zona compatibile con lo svolgimento dell’attività di coltivazione di cava e di lavorazione del materiale inerte.
Evidenzia, inoltre, che l’art. 43 delle NTA del P.R.G., nel disciplinare gli interventi sugli insediamenti produttivi extra – agricoli esistenti, ne dispone l’ammissibilità nei limiti indicati nelle schede di rilevamento dei fabbricati e secondo le specifiche indicazioni formulate in merito alle diverse tipologie di intervento. Ai sensi della medesima disposizione, inoltre, sugli "edifici che non sono stati oggetto di rilevamento sono ammessi gli interventi di cui alle lettere a), b), c), d) del primo comma dell’art. 31 della l. n. 457 del 1978, interventi che contemplano pertanto la demolizione e la ricostruzione all’interno della sagoma e del sedime preesistente, escludendo comunque la sostituzione edilizia" ed è "altresì escluso il cambio di destinazione d’uso rispetto a quanto autorizzato alla data di adozione del P.R.G.".
Alla luce di tale previsione, dunque, la difesa della ricorrente esclude l’abusività delle opere contestate in quanto la disposizione è da interpretare nel senso che, in relazione agli insediamenti produttivi extra agricoli esistenti alla data di approvazione delle N.T.A. del P.R.G., non è stato previsto alcuno spostamento o dismissione e, con specifico riferimento agli edifici che non hanno costituito oggetto di rilevamento, sono stati ammessi gli interventi di manutenzione.
Ulteriore elemento a sostegno dell’illegittimità del provvedimento di demolizione la difesa della ricorrente ritiene di trarre dalla previsione dell’art. 63 delle N.T.A. del P.R.G. che, nel disciplinare la futura edificazione nell’ambito della "Campagna Parco", dispone la necessaria redazione di uno strumento urbanistico attuativo che, tra l’altro, dovrà "regolamentare gli usi in atto, coerentemente con i caratteri ambientali e con le finalità della Campagna Parco" sicché, in via transitoria, sarebbe ammessa la possibilità di mantenere le attività in corso.
La ricostruzione viene anche argomentata sulla base di quell’orientamento giurisprudenziale che afferma la possibilità che la sanatoria delle opere abusive sia operata in sede di pianificazione urbanistica, attraverso l’espressa previsione di consentire il mantenimento dell’esistente.
Sulla base delle suddette considerazioni la difesa della ricorrente sostiene, dunque, che illegittimamente l’amministrazione comunale ha ritenuto che i manufatti e gli impianti contestati siano in contrasto con le previsioni urbanistiche della zona.
La censura è infondata e va disattesa.
Come evidenziato nella narrativa in fatto, la coltivazione della cava sull’area interessata dagli interventi abusivi è cessata per esaurimento come comprovato dalla documentazione prodotta e, nello specifico, dalla deliberazione della Giunta Regionale n. 3239 del 22 giugno 1982 (all. 6 delle produzioni di parte ricorrente), sicché la presenza delle opere contestate non può essere legittimata sulla base della normativa regionale in materia di cave anche considerando che per l’area de qua, il Piano Regolatore Generale, approvato con deliberazione della Giunta Regionale n. 3132 del 24 maggio 1988, ha confermato l’inserimento in zona agricola.
Il Collegio, inoltre, non ritiene di poter condividere l’interpretazione degli artt. 43 e 63 delle N.T.A. del P.R.G. prospettata dalla difesa della ricorrente.
L’art. 43 sopra citato, infatti, trova applicazione esclusivamente in relazione agli impianti produttivi extra agricoli analiticamente individuati dall’amministrazione comunale, come rappresentati negli elaborati tecnici dello stesso strumento urbanistico.
Come precisato dalla difesa dell’amministrazione resistente, con la variante urbanistica adottata mediante deliberazione del Consiglio Comunale n. 78 del 10 dicembre 2001, approvata dalla Giunta Regionale con le deliberazioni n. 2601 del 2003 e n. 667 del 2004, le attività produttive esistenti nel territorio comunale sono state puntualmente individuate e distinte in otto categorie contrassegnate nelle tavole tecniche da una diversa coloritura e, segnatamente, con riguardo alla zona agricola, gli edifici oggetto della previsione di cui all’art. 43 delle N.T.A. (impianti produttivi extra agricoli) sono individuati graficamente attraverso l’apposizione di un bollino blu. Tra tali impianti produttivi non figurano quelli insistenti sull’area in proprietà della ricorrente.
L’amministrazione comunale, dunque, non ha inteso affatto operare una sanatoria generalizzata ed indiscriminata di tutte le opere esistenti ma, nel disciplinare gli interventi ammissibili, ha distinto gli insediamenti produttivi extra agricoli esistenti e specificamente individuati, in relazione ai quali rimanda alle schede di rilevamento dei fabbricati, dagli edifici che non hanno costituito oggetto di rilevamento. Per questi ultimi la disposizione ammette l’esecuzione di interventi sostanzialmente tesi al recupero dell’esistente ma tale previsione, lungi dal comportare una sanatoria di opere abusivamente realizzate, deve essere interpretata nel senso che tali interventi sono assentibili esclusivamente in relazione a manufatti e ad opere legittimante realizzati.
Tale interpretazione oltre che sotto il profilo logico e sistematico trova conforto nei principi elaborati dalla consolidata giurisprudenza in materia che evidenziano come, in tema di edilizia, gli interventi effettuati su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimità dall’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 10 maggio 2010, n. 3416; Cassazione penale, sez. III, 21 gennaio 2010, n. 8739).
Tanto si desume dalla stessa giurisprudenza richiamata dalla difesa della ricorrente; nello specifico il riferimento è alla massima della sentenza del Consiglio di Stato, sez. II, del 22 gennaio 1997, n. 2087, riportata nella memoria depositata in data 11 ottobre 2010, che, nell’escludere che lo strumento urbanistico generale possa disporre coattivamente la demolizione o comunque l’ablazione per finalità diverse da quelle proprie dell’interesse pubblico, reca un espresso riferimento non già a tutti i manufatti esistenti bensì solo a quelli "già legittimamente esistenti".
Ciò che rileva, dunque, è non già la mera preesistenza bensì la preesistenza legittima delle opere; avallando l’interpretazione sostenuta dalla difesa della ricorrente si rischierebbe di addivenire a risultati aberranti sotto il profilo della stessa valenza e ragion d’essere della disciplina urbanistica ed edilizia.
Con specifico riferimento all’area de qua, inoltre, risulta del tutto evidente che l’obiettivo perseguito dall’amministrazione comunale è quello di favorire il recupero ambientale del contesto territoriale, essendo da tempo cessata l’attività di coltivazione di cava.
2.1.2. Del pari infondato si palesa il secondo motivo di ricorso con il quale è stato dedotto il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità e carenza di motivazione nonché la violazione dell’art. 31 della l. n. 1150 del 1942 e del D.P.R. n. 445 del 2000, evidenziandosi che le opere sarebbero state realizzate anteriormente al 1967 e, dunque, in epoca nella quale non era necessario alcun titolo edilizio.
Dall’istruttoria svolta dall’amministrazione comunale emergono elementi che, complessivamente valutati, si presentano idonei ad escludere la suddetta preesistenza delle opere, né una diversa conclusione può essere sostenuta sulla base della produzione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio sottoscritta da Giacomo Bee, legale rappresentante della stessa società destinataria dell’ordinanza di demolizione.
La documentazione fotografica acquisita dall’amministrazione unitamente al verbale di esaurimento della cava e agli ulteriori elementi puntualmente rappresentati nel provvedimento demolitorio dimostrano, per contro, che le opere sono state realizzate in epoca più recente e sicuramente successivamente all’entrata in vigore della normativa che ha prescritto la necessità della licenza edilizia (oggi permesso di costruire).
Come evidenziato dalla costante giurisprudenza, inoltre (cfr., ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 11 gennaio 2010, n. 14; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 12 aprile 2005, n. 514), la mera dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà – peraltro sottoscritta dallo stesso destinatario del provvedimento demolitorio – non è sufficiente ad assolvere l’onere che grava su coloro che obiettano la preesistenza dell’opera all’obbligo di rilascio di titolo edilizio, di fornire all’amministrazione prova idonea a documentare l’epoca di costruzione di un manufatto.
La società ricorrente non ha, dunque, assolto all’onere probatorio su essa incombente non avendo prodotto alcun elemento certo ed obiettivo idoneo ad essere utilmente apprezzato al fine di dimostrare l’epoca risalente di esecuzione degli interventi illegittimi.
2.1.3 Con il terzo motivo di ricorso la difesa della ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001 e contesta la necessità del permesso di costruire, con la conseguenza che l’amministrazione comunale non avrebbe potuto irrogare la sanzione demolitoria ma, eventualmente, solo una sanzione pecuniaria.
Nello specifico, la censura viene argomentata muovendo dall’assunto che le opere contestate, non avendo comportato una trasformazione permanente del territorio inedificato, avrebbero potuto essere legittimamente realizzate attraverso una denuncia inizio attività sicché del tutto illegittimamente l’amministrazione ha fatto applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001.
La censura è infondata.
La consistenza ed entità delle opere contestate, valutate nel loro complesso, stabilmente presenti sull’area ed idonee a sostanziare lo svolgimento di un’attività produttiva – insistenti, peraltro, su area agricola vincolata – comprovano la trasformazione permanente dell’assetto edilizio del territorio sicché deve essere affermata la necessità del rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 3, lett. e.7, d.P.R. n. 380/2001 (cfr., ex multis, T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 11 marzo 2010, n. 583; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 07 maggio 2008, n. 3501; Cassazione penale, sez. III, 13 aprile 2005, n. 26139).
2.1.4. Del pari infondato è il quarto motivo di ricorso con il quale è stata dedotta la violazione dell’art. 142 del d. lgs. n. 42 del 2004 nonché dell’art. 71 delle N.T.A. del P.R.G., a motivo dell’istituzione del vincolo paesaggistico solo in epoca successiva all’esecuzione delle opere.
A prescindere dalla circostanza che, come evidenziato al punto 2.1.2. del presente capo, le opere sono state realizzate in epoca ben più recente rispetto a quanto asserito dalla ricorrente, il parere della Commissione Edilizia Integrata conferma l’esaustività dell’istruttoria e delle valutazioni svolte dall’amministrazione comunale in quanto, pur essendo sufficienti le articolate argomentazioni poste a fondamento del provvedimento gravato riferite ai profili urbanistici ed edilizi, l’amministrazione ha ritenuto di dover considerare compiutamente anche il profilo paesaggistico, in considerazione del vincolo gravante sull’area e della vicinanza del fiume Fibbio, sebbene l’acquisizione di tale parere non fosse necessaria.
2.1.5 Con il quinto motivo di ricorso è stata dedotta la violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, a motivo dell’omessa indicazione nell’atto impugnato dell’area che, nell’ipotesi di inottemperanza all’ordine di demolizione, costituirà oggetto di acquisizione al patrimonio comunale.
La censura è infondata e va disattesa.
Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, infatti, il contenuto essenziale dell’ingiunzione di demolizione deve essere individuato in relazione alla funzione tipica del provvedimento, che è quella di prescrivere la rimozione delle opere abusive. Pertanto, ai fini della legittimità dell’atto è necessaria e sufficiente l’analitica indicazione delle opere abusivamente realizzate in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente; l’indicazione dell’area di sedime, quindi, non deve essere necessariamente presente nell’ordinanza di demolizione ma può essere contenuta nel successivo atto dichiarativo dell’acquisizione (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 09 febbraio 2010, n. 1785)
2.1.6. Privo di pregio è anche l’ultimo motivo di ricorso con il quale è stata dedotta la violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, a motivo della notificazione dell’ordinanza di demolizione alla società ricorrente che, sebbene proprietaria dell’area sulla quale insistono le opere in contestazione, non ne ha più la disponibilità in conseguenza della stipulazione del contratto con la X Spa..
Il Collegio rileva che, invero, con l’ultima memoria depositata in data 11 ottobre 2010. tale censura è stata rinunciata dalla difesa della ricorrente, la quale ha rappresentato che l’affittuario ha provveduto al ripristino avendo, peraltro, ottenuto il rilascio di un titolo edilizio per il trasferimento dell’attività produttiva e che, comunque, la ricorrente non aveva mancato di instaurare un procedimento d’urgenza innanzi al Tribunale di Verona.
Il Collegio ritiene tuttavia opportuno, per completezza di analisi, evidenziare che l’amministrazione comunale ha correttamente individuato i destinatari dell’ordinanza di demolizione in quanto l’ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario, anche se non responsabile dell’abuso, considerato che l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l’ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione, ferma restando la non acquisibilità dell’area di sedime delle opere abusive in danno del proprietario estraneo all’abuso. Ciò a prescindere dalla circostanza che nella fattispecie in esame lo stesso rappresentante legale della società ha dichiarato che le opere sono state dalla stessa eseguite, sicché quest’ultima è destinataria dell’ordine di demolizione anche in qualità di esecutrice almeno di una parte degli interventi.
In conclusione, per le suesposte considerazioni, il ricorso va rigettato in quanto infondato
3. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato lo rigetta.
Condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio a favore del Comune di San Martino Buon Albergo, liquidandole complessivamente in Euro 3.000,00 di cui Euro 300,00 per spese anticipate ed il residuo per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Italo Franco, Presidente FF
Angelo Gabbricci, Consigliere
Brunella Bruno, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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