Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-07-2012, n. 13281

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Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza de 6.4.010, in accoglimento dell’appello proposto da D.S.M. avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Verona, ha dichiarato risolti per inadempimento della X in liquidazione s.p.a.
due distinti contratti preliminari, stipulati nel settembre 97 e nel marzo 98, con i quali la società si era obbligata a vendere all’appellante quote di comproprietà indivisa di complessi alberghieri, siti l’uno in località (OMISSIS), e l’altro in (OMISSIS), ed ha condannato l’appellata a restituire a D.S. le somme da questi versate in acconto, maggiorate degli interessi legali, ed a corrispondergli le spese del giudizio.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha preso atto della ritualità della citazione d’appello, notificata, oltre che alla società in persona del suo liquidatore e legale rappresentante, anche al "commissario liquidatore" del concordato preventivo della X s.p.a., omologato con sentenza del 29.1.02, ed ha ritenuto che andasse dichiarata la contumacia della società appellata, atteso che il concordato preventivo non comporta il trasferimento agli organi della procedura della proprietà dei beni, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione;
ha quindi accertato la piena fondatezza delle domande avanzate nei confronti della s.p.a. da D.S.M..
Il concordato preventivo della X s.p.a., in persona del liquidatore giudiziale, ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a tre motivi ed illustrato da memoria, cui D. S.M. ha resistito con controricorso.
X s.p.a. non ha svolto difese.
Motivi della decisione
1) In ordine logico, vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di rito illustrate in limine da D.S.M. nel controricorso, che sono infondate e devono essere respinte. D.S., cui incombeva il relativo onere, non ha nè fornito nè offerto la prova che l’avv. M.G., qualificatosi liquidatore giudiziale del concordato preventivo della X s.p.a., è privo del potere di rappresentare in giudizio la procedura in quanto non riveste la predetta qualità.
Deve escludersi, poi, che il ricorso difetti del requisito dell’autosufficienza, il quale comporta che l’atto debba contenere la precisa indicazione degli elementi necessari per individuare le ragioni poste a sostegno della richiesta di annullamento della decisione e per valutare la fondatezza delle stesse, in modo che il giudice di legittimità possa avere una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione: nella specie, infatti, questa si fonda esclusivamente su ragioni di rito, sicchè il ricorrente non era tenuto ad esporre i fatti concernenti il merito della controversia. Non si ravvisa, infine, violazione del disposto dell’art. 372 c.p.c., in quanto il ricorrente si è limitato a produrre copie di atti (citazione di 1^ grado e d’appello, sentenza di 1^ grado, verbali di causa) comunque rinvenibili nel fascicolo d’ufficio (e sicuramente esaminabili da questa Corte, attesa la denuncia di errores in procedendo comportanti la nullità della sentenza impugnata), senza allegare al ricorso alcun documento "nuovo".
2) Con il primo motivo, il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 101, 323 e 344 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato nell’affermare la ritualità della sua chiamata in giudizio solo in grado d’appello sul presupposto, altrettanto errato, che il liquidatore giudiziale dei beni rivesta anche la funzione di legale rappresentante della società in concordato; osserva, in contrario, che a seguito dell’apertura della procedura, alla legittimazione dell’imprenditore si affianca quella del liquidatore, che va reputato contraddittore necessario qualora vengano formulate nei confronti della debitrice concordataria domande di condanna o, comunque, domande idonee ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato.
Rileva, altresì, che la qualità di parte processuale, assunta nel giudizio di primo grado, è presupposto formale necessario che legittima attivamente e passivamente all’impugnazione in appello, indipendentemente dalla titolarità attiva o passiva del rapporto giuridico sostanziale dedotto in causa, e deduce l’inammissibilità del gravame proposto da D.S. nei suoi confronti, con conseguente inopponibilità alla procedura della sentenza.
3) Col secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., il ricorrente assume che la sua mancata partecipazione al giudizio di primo grado, nel quale egli rivestiva la qualità di parte necessaria, avrebbe dovuto comportare la rimessione della causa al primo giudice, ai fini dell’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti.
4) Con il terzo motivo, lamenta, in subordine, vizio di motivazione della sentenza impugnata nell’ipotesi in cui il giudice d’appello avesse inteso escludere la ricorrenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
5) Il secondo ed il terzo motivo rivestono carattere pregiudiziale, dal momento che il loro eventuale accoglimento comporterebbe il rinvio della causa al primo giudice.
Essi, tuttavia, sono infondati e devono essere respinti.
La questione della necessità, ai sensi dell’art. 102 c.p.c., della partecipazione del liquidatore del concordato al giudizio di primo grado non può, infatti, nella specie, neppure porsi, in quanto il concordato è stato omologato con sentenza del 29.1.2002, ovvero in data successiva all’udienza (del 18.10.2001) in cui la causa fu trattenuta in decisione, e dunque oltre il termine entro il quale l’evento avrebbe potuto produrre effetto in quel grado.
6) E’ invece infondato il primo motivo di ricorso.
Va premesso che, nella parte espositiva della sentenza impugnata, è chiarito che l’atto di appello è stato notificato tanto al liquidatore e legale rappresentante della X s.p.a. in liquidazione, quanto al "commissario liquidatore (rectius:
liquidatore giudiziale) nominato in data 29.1.202 per la procedura di concordato preventivo omologato lo stesso giorno".
Nè la Corte territoriale ha mai affermato che il liquidatore giudiziale dei beni rivesta anche la qualità di legale rappresentante della società, essendosi, piuttosto, limitata a rilevare che nella specie, alla data della notificazione, le due cariche erano ricoperte dalla medesima persona fisica.
Ciò precisato, va ricordato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’ammissione dell’imprenditore alla procedura di concordato preventivo per cessione dei beni non determina la perdita della sua legittimazione passiva nel giudizio nel quale sia stato convenuto da un proprio creditore, in quanto il concordato non incide sulla sua capacità processuale (Cass. nn. 137/88, 11542/91, 4033/95).
Più di recente, a partire dalla sentenza n. 363/97, seguita da numerose pronunce conformi (Cass. nn. 4301/99, 1025/01, 17159/06, 17749/09) si è poi affermato che, in caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche una domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato, alla legittimazione passiva dell’imprenditore si affianca quella del liquidatore giudiziale dei beni, quale contraddittore necessario.
In tale ottica, è stato ritenuto ammissibile l’intervento del liquidatore del concordato nel giudizio d’appello, nonostante la sentenza di primo grado fosse stata pronunciata nei soli confronti della società (Cass. n. 17749/09).
Ne consegue che, correttamente, D.S., venuto a conoscenza dell’omologazione del concordato, ha notificato l’atto di appello al liquidatore giudiziale, divenuto contraddittore necessario nel processo in virtù di una nomina intervenuta nelle more fra l’emissione della sentenza del Tribunale e la proposizione dell’impugnazione e che, proprio perchè sopravvenuta rispetto al momento in cui avrebbe potuto produrre effetto in primo grado, avrebbe legittimato il suo intervento nel giudizio di gravame nonostante la sua mancata partecipazione al grado precedente.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012

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