Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-01-2013) 19-06-2013, n. 26815

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 02/07/2012 il GIP del Tribunale di Napoli applicava ad M.A. la misura cautelare degli arresti domiciliari siccome indagato di partecipazione al un’associazione per delinquere organizzata dai titolari delle imprese funebri e dai loro dipendenti e partecipata dai medici necroscopici nonchè da infermieri per lo più addetti alle sale mortuarie, finalizzata alla realizzazione di reati di falso e corruzione, tesi ad ottenere una maggiore celerità nelle operazioni cimiteriali di competenza delle imprese funebri; e dei reati-fine specificamente indicati.

In particolare, era chiamato a rispondere del reato di cui al capo 3), ai sensi dell’art. 416 c.p., comma 1, 2 e 3, per avere partecipato assieme ad altri medici legali ASL, nell’esercizio delle sue funzioni ad un’associazione per delinquere finalizzata alle falsità in atti, tese ad agevolare, mediante la commissione di un numero imprecisato di atti corruttivi, la celerità delle operazioni funerarie compiuta delle imprese funebri "committenti", attestando falsamente, nella formazione delle certificazioni microscopiche di avere constatato personalmente il decesso, constatazione mai di fatto avvenuta, così da procurarsi un ingiusto profitto costituito da somme di danaro, ed "mazzette", o da altre utilità loro non spettanti, ciò in danno di privati cittadini che comunque ne sostengo nel relativo onere economico. e dei reati di cui ai capi da 19) a 31) ai sensi degli artt. 81 cpv., 319, 321 e 479 cod. pen. per aver redatto, nella sua qualità di medico ASL, incaricato, tra l’altro della formazione dei certificati necroscopici, un falso certificato attestante falsamente di avere constatato di persona il decesso di persone specificamente indicate, in cambio di non meglio quantificate somme di danaro che avrebbe ricevuto da I. V., titolare di un’impresa di un funebre; e del reato di cui al capo 35) per corruzione.

2. Pronunciando sulla richiesta di riesame proposta in favore dell’indagato, il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe, annullava l’impugnata ordinanza con riferimento al solo reato di cui al capo 35), limitatamente alla fattispecie corruttiva, in ordine alla quale disponeva la formale liberazione dell’indagato;

confermava nel resto l’impugnata ordinanza nella misura degli arresti domiciliari nelle more applicata all’indagato.

3. Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dell’indagato, avv. Vincenzo Maria Siniscalchi, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di seguito indicate.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente denuncia erronea applicazione dell’art. 416 cod. pen., ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b.

Il secondo motivo denuncia erronea applicazione degli artt. 328 e 479 cod. pen. in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b), sul rilievo dell’insussistenza del contestato reato di falso ideologico e della configurabilità, semmai, della fattispecie dell’art. 328 cod. pen. per omissione di atti di ufficio.

Il terzo motivo denuncia inosservanza dell’art. 275 cod. proc. pen. in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per mancanza di motivazione in punto di parziale ammissione dei fatti e del recesso del M. dal contesto associativo, a riprova dell’insussistenza di ogni ragione di cautela.

2. All’esame delle ragioni di censura è pregiudiziale il rilievo che, con la nota indicata in premessa, l’indagato ha rinunciato al ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse, posto che – come da allegato provvedimento di revoca della misura degli arresti domiciliari per decorso dei termini di cui all’art. 303 c.p.p. – l’indagato ha riacquistato la libertà.

La rinuncia ritualmente manifestata comporta inammissibilità dell’impugnazione a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. d).

Non resta che prenderne atto e provvedere come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *