Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-01-2013) 19-06-2013, n. 26814

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Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 02/07/2012 il GIP del Tribunale di Napoli applicava a P.G. la misura cautelare degli arresti domiciliari siccome indagato di partecipazione ad un’associazione per delinquere organizzata da titolari delle imprese funebri e dai loro dipendenti, e partecipata dai medici necroscopici nonchè infermieri per lo più addetti alle sale mortuarie, finalizzata alla realizzazione di reati di falso e di corruzione, tesi ad ottenere una maggiore celerità nelle operazioni cimiteriali di competenza delle imprese funebri; e dei reati scopo specificamente indicati.
In particolare, era chiamato a rispondere dei reati di cui al capo 3), ai sensi dell’art. 416 c.p., comma 1, 2 e 3 per avere partecipato assieme ad altri medici legali ASL, nell’esercizio delle sue funzioni, ad un’associazione per delinquere finalizzata alle falsità in atti, tese ad agevolare, mediante la commissione di un numero imprecisato di atti corruttivi, la celerità delle operazioni funerarie compiute dalle imprese funebri "committenti", attestando falsamente, nella formazione delle certificazioni microscopiche di avere constatato personalmente il decesso, constatazione mai di fatto avvenuta, così da procurarsi un ingiusto profitto costituito da somme di danaro, ed "mazzette", o da altre utilità loro non spettanti, ciò in danno di privati cittadini che comunque ne sostengono il relativo onere economico; ed ai capi 58) 59) e 60), ai sensi degli artt. 81 cpv., 319, 321 e 479 cod. pen., per aver redatto, nella sua qualità di medico ASL – incaricato, tra l’altro della formazione dei certificati necroscopici – un falso certificato attestante falsamente di avere constatato di persona il decesso di persone specificamente indicate, in cambio di non meglio quantificate somme di danaro, che avrebbe ricevuto da I.V., titolare di un’impresa di un funebre.
2. Pronunciando sulla richiesta di riesame proposta in favore dell’indagato, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza indicata in epigrafe, confermava il titolo custodiate.
3. Avverso l’anzidetta pronuncia i difensori dell’indagato, avv. C.B.e P.C., hanno proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e; per carenza o manifesta illogicità di motivazione con riferimento al reato di cui all’art. 416 cod. pen.. In particolare, lamenta che, mentre il Gip aveva cercato di individuare elementi significativi a sostegno della ritenuta esistenza di un’associazione senza nulla dire, però, in ordine all’ipotizzata partecipazione ad essa dell’indagato, il Tribunale del riesame aveva effettuato una reductio ad unum tra le diverse asserite associazioni, configurando, di sua iniziativa, un’unica consorteria criminosa tra tutti gli indagati. In tal modo, però, aveva immutato gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen., tra i quali rientra anche la componente soggettiva del sodalizio. Verosimilmente, il giudice del riesame aveva inteso rimediare ad un’incongruenza della contestazione, che secondo la prospettiva accusatoria, avrebbe dovuto configurare le associazioni per delinquere di cui ai capi 2), 3) e 4) come costole dell’associazione di cui al capo 1), nel senso di essere dirette e controllate dagli stessi soggetti ai quali era contestato il capo 1), che, pertanto, avrebbero dovuto rispondere anche dei capi successivi.
Ma così inspiegabilmente non era. Inoltre, al di là di mere enunciazioni programmatiche contenute in premessa il giudice a quo non aveva, poi, indicato apprezzabili elementi dimostrativi della ritenuta partecipazione dell’indagato al sodalizio delinquenziale, limitandosi a un mero rinvio per relationem alla motivazione dell’ordinanza di custodia cautelare, equivocando sul contenuto delle captate intercettazioni specificamente indicate.
Il secondo motivo denuncia violazione od erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) in riferimento all’art. 416 cod. pen. anche in relazione all’art. 273 cod. proc. pen.. Ribadisce, al riguardo, che il Gip, pur occupandosi dell’organizzazione e dell’affectio societatis dei ritenuti sodali, non aveva detto nulla in ordine alla contestata partecipazione del P. nè sul contributo causale all’organizzazione, funzionalmente diretto al perseguimento dei relativi fini. Nessun elemento indiziario induceva, inoltre, a ritenere che da parte dell’indagato vi fosse piena consapevolezza della contestata appartenenza, dunque il dolo specifico necessario ai fini della configurazione della partecipazione associativa.
Il terzo motivo (erroneamente indicato 2) deduce violazione od erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), in riferimento all’art. 479 cod. pen. e art. 273 cod. proc. pen.. Lamenta, in proposito, che nessun elemento era stato offerto in motivazione a sostegno dell’esistenza dell’ipotizzato reato di falso ideologico.
Il quarto motivo (erroneamente indicato 3) denuncia identico vizio di legittimità in riferimento all’art. 274, lett. c), anche in relazione all’art. 275 c.p.p., comma 2. Contesta, in proposito, le argomentazioni in forza delle quali il giudice del riesame ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari con particolare riferimento al pericolo di recidiva senza considerare che, in relazione all’incensuratezza dell’indagato e della probabile concessione delle attenuanti generiche in esito a giudizio, assai difficilmente era prevedibile l’applicazione di sanzione eccedente i limiti per la concessione delle misure alternative.
2. La prima censura è priva di fondamento. Non è, infatti, condivisibile il rilievo difensivo secondo cui il giudice del riesame abbia esorbitato dai limiti della sua cognizione nel ravvisare nel compendio investigativo una sola associazione per delinquere, in luogo della frammentaria prospettazione accusatola, recepita nell’ordinanza custodiale, che individuava distinti nuclei associativi, a seconda dell’attività svolta dai soggetti coinvolti, ai capi 1) 2), 3) e 4). In proposito, si osserva che, secondo indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice, il giudice del riesame – se può modificare la qualificazione giuridica data dal P.M. al fatto per cui si procede, giacchè tale modifica non incide sull’autonomo potere del pubblico ministero di esercizio dell’azione penale (cfr., tra le altre, Cass. sez. 6, 11.3.2003, rv. 225216; id.
Sez. 1, 14,7,1997, n. 4864, rv. 208724 sulla scia dell’interpretazione di Sez. U, n. 16 del 19/06/1996) – non può, invece, modificare il capo d’imputazione attraverso il mutamento del fatto storico (cfr. Cass. sez, 1, 27.2.1996, rv. 204307). Insomma, il limite invalicabile dei suoi poteri è rappresentato dal fatto delineato nell’incolpazione provvisoria, costituendo ineludibile parametro di riferimento, in rapporto al quale commisurare l’idoneità del materiale investigativo ad assumere il coefficiente di gravità indiziaria tale da legittimare il titolo di custodia cautelare.
Nel caso di specie, non può fondatamente ritenersi che il fatto, nella sua oggetti vita, sia stato modificato, essendo piuttosto evidente che sia stato letto ed inquadrato in prospettiva globale ed unitaria, secondo una ragionevole angolazione, certamente più aderente alla realtà fenomenica di un’articolata aggregazione associativa. Dal complesso delle risultanze investigative erano, infatti, emerse collaudate metodiche delinquenziali al servizio degli interessi delle imprese funebri (il cd. sistema), riconducibili ad una vera e propria organizzazione fondata su regole ben precise, puntuale ripartizione dei ruoli, predeterminazione di settori di competenza, contributo stabile e continuativo di determinati professionisti operanti nel settore medico-legale. Nella prospettiva accusatoria era dato individuare un collante, sul piano organizzativo- funzionale, tra le distinte associazioni che non si ponevano, tra loro, come compartimenti stagni, ma costituivano un unicum. Il trait d’union era costituito dal richiamo – nella stessa formulazione del capo sub 3) (ed anche di quello sub 4) – al ruolo di partecipe all’associazione promossa ed organizzata dai medesimi promotori ed organizzatori dell’associazione di cui ai capi che precedono.
Infondata è anche la seconda doglianza, che lamenta inadeguatezza dell’impianto motivazionale in ordine alla partecipazione dell’indagato al contestato sodalizio criminale.
Ed invero, il corposo compendio investigativo è fatto di captazioni telefoniche, ritenute quanto mai significative nella logica accusatoria, anche in ragione degli accertamenti di p.g. e delle ammissioni di alcuni indagati.
Risultano, dunque, compiutamente indicati gli elementi che deponevano, con il necessario coefficiente di gravità indiziaria, per l’ipotizzata appartenenza dell’indagato a consorteria delinquenziale.
E’ appena il caso di ribadire, al riguardo, che non compete al Giudice di legittimità l’esame funditus dello spessore indiziario degli esiti delle anzidette captazioni, ma solo l’apprezzamento ab extrinseco del grado di pertinenza e congruità logica della struttura giustificativa in forza della quale il giudice del riesame ha condiviso il riconoscimento di valenza dimostrativa del contenuto delle stesse conversazioni. E nel caso di specie, l’impianto motivazionale a sostegno della ritenuta concludenza significativa delle indicate emergenze investigative appare immune da vizi od incongruenze di sorta.
Anche la terza censura, relativa alla pretesa insussistenza dell’ipotizzato reato di falso ideologico, è priva di fondamento, posto che gli elementi accusatori sono stati motivatamente, ritenuti tali da suffragare il convincimento che l’indagato abbia falsamente attestato di avere constatato il decesso delle persone nominate in rubrica.
Privo di fondamento è anche il quarto motivo riguardante il profilo delle esigenze cautelari, in ordine alle quali il giudice a quo ha ben motivato con riferimento all’obiettiva entità degli addebiti ed al pericolo di recidiva ed alla necessità di recidere i rapporti dell’indagato con gli altri sodali, precludendone il reinserimento nel sistema di illeciti affari nel quale operava.
3. Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2013

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