Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-01-2013) 19-06-2013, n. 26800

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Svolgimento del processo

1. C.G. era chiamato a rispondere, innanzi al Tribunale di Udine, dei reati di seguito indicati:

a) ai sensi degli artt. 56 e 610 cod. pen. perchè, con minaccia consistita nell’inviare all’avv. W.G., difensore di B. M. imputata nel proc. pen. 7089/2003 R.G.N.R., chiamato all’udienza dibattimentale del 25.1.2006, innanzi al Tribunale di Udine, una missiva anonima contenente le seguenti espressioni:

"attento W. fra i mille ignari automobilisti da voi volgarmente truffati c’è qualcuno che ha condannato a morte B.M. e J.P. – assieme a queste carogne ci sarai anche tu se non rinuncerai immediatamente al mandato: se il (OMISSIS) il difensore di B.M. sarà W., ebbene potrai considerarti un morto che cammina" compiva atti idonei univocamente diretti a costringere l’avv. W. a rinunciare all’incarico professionale, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà;

b) ai sensi dell’art. 594 cod. pen. perchè, nella missiva di cui al capo che precede, offendeva l’onore di decoro dell’avv. W. G., rivolgendogli espressioni quali "avvocatucolo disonesto, stratega ed ispiratore della ignobile truffa perpetrata ai danni di mille e più automobilisti da parte dell’amica del cuore B. M.".

2. Con sentenza del 24/10/2007, il Tribunale dichiarava l’imputato colpevole dei reati ascrittigli e – concesse le attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 62. 2 cod. pen. e con il vincolo della continuazione – lo condannava alla pena di mesi uno giorni 10 di reclusione per il capo a) ed Euro 300 di multa per il capo b) oltre consequenziali statuizioni.

3. Pronunziando sulla gravame proposto dall’imputato, la Corte d’appello di Trieste, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava in parte la pronuncia impugnata, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine alla reato di cui al capo b) per intervenuta remissione di querela; rideterminava la pena inflitta per il reato di cui al capo a) nella misura di mesi uno giorni 10 di reclusione; confermava nel resto.

4. Avverso la sentenza anzidetta il difensore dell’imputato, avv. Federico Carnelutti, ha proposto ricorso per cassazione affidato le ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. Con unico motivo d’impugnazione, parte ricorrente deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 192, comma 2, dello stesso codice di rito. Lamenta, al riguardo, che il giudice di appello abbia addotto a fondamento della ribadita statuizione di condanna risultanze processuali prive della necessaria capacità dimostrativa. Si duole, soprattutto, del fatto che, ai fini della responsabilità, sia stata ritenuta idonea la consulenza tecnica del PM, nonostante i rilievi critici espressi dalla difesa.

2. La censura è inammissibile in quanto attiene a questione prettamente di merito, qual è quella relativa alla valutazione delle risultanze processuali, che, come noto, si sottrae al giudizio di legittimità ogni qual volta, come nel caso di specie, sia assistita da motivazione congrua e formalmente corretta. Tale deve, infatti, ritenersi la struttura argomentativa del documento impugnato che ha dato ampio e plausibile conto dei motivi per i quali le emergenze processuali fossero da ritenere valide e convergenti in direzione dell’ascrivibilità all’imputato dello scritto minatorio. In particolare, è stata, motivatamente, ritenuta idonea la consulenza grafica disposta dal PM in uno al riferito riconoscimento della grafia dell’imputato da parte di B.M..

Un ulteriore profilo di inammissibilità si riconnette al rilievo che le censure anzidette sono, sostanzialmente, intese a sollecitare una rilettura delle emergenze di causa, notoriamente non consentita in questa sede di legittimità.

3. Per quanto precede il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2013
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