Cass. civ. Sez. II, Sent., 26-07-2012, n. 13256

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Svolgimento del processo

Il Comune di Torino con atto notificato in data 26.1.2007, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 8008/05 depos.

in data 14.12.05 del Tribunale di Torino, il quale aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto da esso comune avverso la sentenza n. 5454/04 resa inter partes dal Giudice di Pace di Torino, che aveva dichiarata – l’illegittimità di 7 verbali di accertamento e dei relativi verbali di contestazione, aventi ad oggetto la violazione del regolamento comunale sui mezzi pubblicitari da parte dell’attrice spa Publigem.

Il tribunale rilevava che il processo dinanzi al giudice di pace, benchè introdotto con citazione e anche se il giudizio di si era svolto nelle forme ordinarie di cui agli artt. 311, 320 e 321 c.p.c., aveva pur sempre ad oggetto la legittimità d’irrogazione di sanzioni amministrative di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23. Di conseguenza, per individuare il mezzo d’impugnazione esperibile contro la relativa sentenza, occorreva fare riferimento alla qualificazione giuridica dell’azione proposta data dal giudice;

pertanto nei confronti della sentenza pronunciata all’esito della causa, era possibile solo il ricorso per cassazione e non l’appello, così come previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 23, u.c..

Il ricorso per cassazione si fonda su 4 motivi; la spa Publigem non ha svolto difese.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione di norme di legge: L. n. 689 del 1989, artt. 12, 22 e 23. Il giudizio di primo grado era stato introdotto con atto di citazione ed il giudice di prime cure aveva erroneamente applicato il rito ordinario e non rito speciale disciplinato dalla L. n. 689 del 1981. Nella fattispecie oltre alla sanzione amministrativa il provvedimento riguardava anche il pagamento del canone pubblicitario.

Con il secondo motivo denunzia la violazione di norme di legge: L. n. 689 del 1989, artt. 12, 22 e 23 della e D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 62, lett. e). Nel caso in esame la controversia ha ad oggetto il canone pubblicitario evaso e le conseguenti sanzioni, per cui, stante l’accessorietà di queste ultime, è il canone che attrae le sanzioni e non viceversa quanto al rito da applicare.

Le predette doglianze sono inammissibili, in quanto non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Il tribunale ne qualificare la scelta del rito da seguire in appello non ha fatto alcun riferimento alle circostanze relative al canone non corrisposto ed alla correlativa sanzione, ma piuttosto ad altro diverso principio, secondo cui il mezzo d’impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va individuato solo in base della qualificazione del rapporto giuridico controverso adottato dal giudice del provvedimento stesso.

Con il terzo viene dedotto dal ricorrente la violazione di norme di legge (art. 339 c.p.c.) relativamente al criterio giurisprudenziale del procedimento in concreto adottato dal Giudice di primo grado per l’individuazione del mezzo d’impugnazione esperibile. Sostiene che il tribunale dopo aver stabilito che l’appellabilità o ricorribilità della sentenza vada determinata in base al rito concretamente applicato nel giudizio definito con la sentenza medesima, nella fattispecie, pure a fronte del rito ordinario applicato in primo grado, ha ritenuto inammissibile l’appello proposto dal Comune, escludendo l’applicabilità nel caso in esame del criterio giurisprudenziale del procedimento adottato dal giudice di prime cure.

La doglianza non è fondata. La giurisprudenza di questa S.C. è costante nel ritenere che l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta facendo esclusivo riferimento alla qualificazione data dal giudice all’azione proposta, con il provvedimento impugnato, a prescindere dalla sua esattezza (principio dell’apparenza), che resta sindacabile soltanto dal giudice cui spetta la cognizione dell’impugnazione ammessa secondo il suddetto criterio. (Cass. S.U. n. 4617 del 25.2.2011;

Cass. S.U. n. 390 dell’11.1.2011; Cass. N. 3712 del 15.2.2011; Cass. n. 3348 del 18/02/2005). Nella fattispecie secondo il tribunale il rapporto era stato chiaramente qualificato dal giudice (peraltro correttamente) per cui il relativo procedimento giudiziale doveva sfociare in una sentenza non appellabile (ratione temporis), ma solo ricorribile per cassazione, a nulla rilevando che il giudice di primo grado avesse seguito un rito estraneo al rapporto giurisdizionale dedotto in causa. Infine con il 4 motivo si deduce la violazione di norme di legge: art. 339 c.p.c.: "relativamente al criterio giurisprudenziale della qualificazione della controversia giudiziale, così come espressamente data dal Giudice di primo grado in sentenza, per l’individuazione del mezzo d’impugnazione esperibile". Invero, secondo il ricorrente il giudice di prime cure non aveva qualificato la controversia come opposizione a sanzioni amministrative, ma come causa avente ad oggetto la debenza del canone pubblicitario, per cui era corretto il rito seguito.

La doglianza è infondata: essa infatti si risolve in un’interpretazione della domanda giudiziale, operazione questa riservata al giudice di merito (Cass. S.U. n. 4617 del 25.2.2011) e quindi inammissibile in questa sede, attesa la congrua e corretta motivazione.

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Nulla per le spese.

P.Q.M.

la Corte, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012
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