Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 24-05-2013, n. 22433

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, confermò la sentenza emessa l’11.1.2011 dal tribunale di Sassari, che aveva dichiarato B.G.C. colpevole del reato di violenza sessuale in danno di M.A. L., di anni (OMISSIS), e lo aveva condannato alla pena di anni 6 di reclusione, oltre pene accessorie e risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

L’imputato, a mezzo dell’avv. Pietro Diaz, propone ricorso per cassazione deducendo – almeno per quel che si riesce a comprendere – i seguenti motivi:

1) illegittimità del giudizio immediato. Ricorda che con l’appello aveva lamentato che erroneamente era stato disposto il giudizio immediato dal momento che mancava il requisito dell’evidenza della prova. Lamenta ora che la corte d’appello ha in sostanza eluso l’eccezione perchè tale requisito deve sussistere anche quando l’imputato è soggetto a custodia cautelare.

2) nullità o inutilizzabilità della deposizione della parte offesa perchè l’interrogatorio è stato effettuato direttamente dal giudice.

3) erronea esclusione delle prove di cui ai punti 1 e 3 della lista.

4) erronea valutazione della testimonianza della parte offesa.

5) erronea valutazione del materiale biologico;

6) erronea valutazione del tentativo di suicidio;

7) erronea valutazione dell’alibi;

8) erronea determinazione della pena;

9) erronea quantificazione del risarcimento dei danni alle parti civili;

10) mancata rinnovazione della testimonianza della parte offesa.

Motivi della decisione

Il primo motivo è manifestamente infondato, avendo esattamente la corte d’appello osservato che la procedura del rito immediato era giustificata dalla circostanza che l’imputato era sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, sicchè era irrilevante la presenza di altre condizioni.

Sulle argomentazioni che il ricorrente ripropone in questa sede sul punto è sufficiente ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che "L’interrogatorio di garanzia previsto dall’art. 294 c.p.p. è equipollente all’interrogatorio "sui fatti dai quali emerge la evidenza della prova" previsto dall’art. 453 c.p.p. per l’accesso al giudizio immediato" (Sez. 2^, 18.1.2012, n. 17007, Cannone, m.

252820); che "L’interrogatorio di garanzia dell’indagato in stato di custodia cautelare integra il presupposto del previo interrogatorio richiesto per l’instaurazione del giudizio immediato" (Sez. 3^, 7.10.2009, n. 44883, Szmajduk, m. 244991); che "E’ abnorme, ed è pertanto ricorribile per cassazione, l’ordinanza con cui il G.i.p. rigetti la richiesta di giudizio immediato avanzata dal P.M. nei confronti di persona "agli arresti domiciliari" ai sensi dell’art. 453 c.p.p., comma 1 bis e comma 1 ter, non per l’assenza dei presupposti previsti dalla legge, ma per la carenza del requisito dell’evidenza della prova, richiesto invece nella diversa ipotesi di giudizio immediato di cui all’art. 453 c.p.p., comma 1" (Sez. 6^, 20.1.2011, n, 7912, Guarcello, m. 249476); che "Il presupposto dell’evidenza probatoria, che qualifica l’instaurazione del giudizio immediato su richiesta del pubblico ministero, non trova applicazione nel caso di richiesta di giudizio immediato nei confronti di soggetto che per quel reato si trovi in stato di custodia cautelare" (Sez. 2^, 1.7.2009, n. 38727, Moramarco, m. 244804).

Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato. E invero, la giurisprudenza ha ritenuto che "L’esame del minore è un mezzo di prova la cui ammissione, assunzione e valutazione sono riservate al giudice, mentre l’eventuale conduzione materiale dell’esame da parte del perito resta uno strumento di cui è possibile avvalersi in circostanze particolari, senza che venga meno la "signoria" del giudicante sul contenuto della domanda da rivolgere al testimone" (Sez. 3^, 27.4.2012, n. 20886, B., m. 252770); che "Nel caso di esame protetto di minori di anni sedici nelle forme dell’incidente probatorio (art. 398 c.p.p., comma 5 bis) non ricorre alcuna ipotesi di nullità ove sia il giudice a condurre direttamente l’assunzione della prova testimoniale, in quanto l’esperto in psicologia infantile eventualmente nominato ai sensi dell’art. 498 c.p.p., comma 4, ha solo la funzione di assistere il giudice fornendo sostegno psicologico al minore ovvero indicare le modalità con cui devono essere preferibilmente poste le domande" (Sez. 3^, 15.2.2008, n. 11130, G., m. 239003); che "E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 498 c.p.p., comma 4, sollevata per la violazione dell’art. 3 Cost., art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., nella parte in cui prevede la conduzione diretta da parte del presidente dell’esame testimoniale del minorenne, perchè realizza un ragionevole bilanciamento tra i diritti dell’imputato e i diritti del minore" (Sez. 3^, 30.9.2009, n. 42899, R., m. 245377).

Il terzo motivo è inammissibile per assoluta genericità, non essendo stato nemmeno indicato quali erano le prove della lista che sarebbero state illegittimamente escluse e non essendo stato neanche specificato il loro contenuto.

I motivi da 4 a 9 si risolvono in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, e sono comunque manifestamente infondati in quanto la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni delle sue valutazioni in ordine ai punti in esame.

Ed invero, quanto alla valutazione sulla attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, la sentenza impugnata ha osservato: a) che essa era credibile in senso onnicomprensivo, avendo la ragazza dimostrato attitudine intellettiva ed affettiva a testimoniare, pertinenza e logicità nelle risposte, capacità a recepire, ricordare e raccordare informazioni, normali condizioni emozionali; b) che la sua deposizione aveva inoltre trovato conferma in quelle del C., del S., della L., oltre che negli esiti delle perizie sui reperti biologici; c) che i testi si erano limitati a riferire delle manifestazioni esteriori rilevate sulla ragazza, ossia fatti obiettivi, sui quali è stato poi il giudice a compiere delle valutazioni; d) che oltretutto erano generiche le censure svolte con l’atto di appello circa la valutazione di attendibilità della parte offesa.

Quanto al materiale biologico, la sentenza impugnata, dopo aver dettagliatamente esaminato le eccezioni dell’appellante, ha rilevato:

a) che era inconfutabile che erano state trovate tracce dello sperma dell’imputato nella vagina della ragazza, con evidente prova dell’avvenuto rapporto sessuale, non essendovi dimostrazione di cause diverse; b) che era irrilevante la mancata presenza di materiale spermatico nella bocca; c) che non era impossibile che vi fossero state due eiaculazioni, peraltro a distanza di un certo tempo l’una dall’altra.

Quanto al tentativo di suicidio, la corte d’appello ha osservato che quand’anche si consideri lo stesso credibile, ciò non contrasta con l’operata ricostruzione della vicenda essendo verosimile, che in tale ipotesi, l’imputato si fosse determinato al gesto avendo saputo della denuncia per violenza sessuale.

Quanto all’alibi, la corte d’appello ha rilevato plausibilmente che esso era del tutto generico; che non era stato indicato quali elementi avrebbero dimostrato che i movimenti dell’imputato erano incompatibili con la ricostruzione dei fatti e che comunque siffatta incompatibilità non emergeva dalla lettura degli atti.

Quanto alla determinazione della pena, la sentenza impugnata ha osservato: a) che la pena era stata fissata in una misura di poco superiore al minimo edittale ricomprendendo entrambi gli episodi di violenza sessuale; b) che le attenuanti generiche non potevano essere concesse in considerazione della gravità del fatto e della personalità dell’imputato, e in particolare della grave forma di compromissione della libertà sessuale della vittima, del fatto che questa era sedicenne e che quindi vi era stato approfittamento del rilevante differenziale di età per attirarla nel tranello; c) che non ricorrevano le condizioni per riconoscere l’attenuante del fatto lieve, stante la grave lesione della libertà sessuale.

Quanto al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, è stato congruamente ed adeguatamente rilevato che la legittimazione apparteneva ad entrambi i genitori, essendo entrambi danneggiati, e che la determinazione della provvisionale era congrua in riferimento ai parametri indicati dalla sentenza di primo grado.

Il decimo motivo è infine anch’esso inammissibile per genericità non essendo nemmeno specificato su quali circostanze avrebbe dovuto essere disposta la riassunzione della testimonianza della persona offesa minorenne.

Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2013
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