Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 24-05-2013, n. 22431

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza emessa il 20.11.2008 dal tribunale di Genova, concesse l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, rideterminò la pena in anni 1 e mesi 4 di reclusione e confermò nel resto la sentenza di primo grado che aveva dichiarato S. M. colpevole dei reati di cui: A) all’art. 612 c.p., comma 2, per avere minacciato S.P. (pensionato di 67 anni, sposato con due figli); B) per avere costretto il S. a subire atti sessuali, per avergli preso lo scroto ed averlo stretto con forza e poi per avergli afferrato la testa, averla avvicinata alla sua ed averlo baciato sulla guancia e quindi, dopo avergli infilato la mano nei pantaloni, avergli toccato le natiche, continuando a stringergli i testicoli.
L’imputato, a mezzo dell’avv. S. S., propone ricorso per cassazione deducendo:
1) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova. Lamenta l’inverosimiglianza del racconto della persona offesa e l’irrilevanza di un certificato medico del tutto generico e rilasciato dopo ben tre anni. Il racconto dell’episodio del (OMISSIS) presenta numerose incongruenze e difformità fra quanto detto nella querela e quanto detto in dibattimento.
2) mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Motivi della decisione
Il ricorso si risolve in una serie di censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque manifestamente infondato, in quanto la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sui due punti contestati con il ricorso, e cioè sia sulla veridicità della aggressione raccontata e subita dalla persona offesa, sia sulla attribuibilità della stessa all’imputato.
Ed invero, quanto al riconoscimento dell’imputato, la corte d’appello ha conclusivamente osservato che esso è dimostrato dal gran numero di dettagli comuni fra il soggetto autore della aggressione del (OMISSIS) e il soggetto incontrato il 21 ottobre, tali da far ritenere impossibile uno scambio di persona. Ed invero, al pari di colui che compì l’aggressione, il S. era pizzaiolo e lavorava a (OMISSIS), aveva una macchina bianca targata (OMISSIS), aveva le stesse fattezze (sia il viso, sia la corporatura e l’età, già descritte in querela), spinto a terra dal S. nei pressi della stazione, si diede alla fuga, anzichè chiedere spiegazioni e tuttavia subito dopo si attivò per trovarlo al fine di "sistemarlo" chiedendo a terzi se lo conoscevano; inoltre fu riconosciuto a distanza di pochi giorni e fu sostanzialmente riconosciuto in dibattimento.
Quanto al fatto che vi era effettivamente stato l’episodio aggressivo denunciato, la corte d’appello ha rilevato che esso era rimasto provato dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa, motivatamente ritenute pienamente attendibili; dal fatto che queste avevano trovato riscontro nel certificato medico attestante che nell’ottobre del 2003 gli era stata prescritta una cura ai genitali mediante farmaci antinfiammatori; che erano assolutamente assenti ragioni che avrebbero potuto determinare la parte lesa a denunciare un simile fatto se non accaduto, considerando che si trattava di un anonimo pensionato, che viveva con la famiglia, non conosceva l’imputato, non aveva quindi motivi di risentimento, vendetta o altro, non si era costituito parte civile e non aveva manifestato alcun interesse economico alla vicenda.
Gli elementi di presunta contraddittorietà e di dubbio sulla attendibilità della persona offesa riproposti anche in questa sede di legittimità dal ricorrente (frequentazione da parte del S. e famiglia della stessa pizzeria di (OMISSIS) 13 anni prima; numero di giorni passati dall’aggressione all’incontro nei pressi della stazione; orario preciso dell’incontro; data nella quale l’auto dell’imputato sarebbe stata guasta; accento napoletano dell’imputato;
modalità della caduta per terra dell’imputato) sono stati tutti esaminati, valutati e ritenuti irrilevanti dalla corte d’appello, con motivazione congrua ed adeguata, che è superfluo riportare qui, sia pure sommariamente.
La sospensione condizionale della pena è stata infine motivatamente negata in considerazione della presenza di un precedente che denota una personalità violenta e incline a commettere reati contro la persona e della assenza di qualsivoglia indicazione da parte della difesa di elementi sui quali basare una prognosi positiva.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 29 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2013

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