Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 24-05-2013, n. 22430

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza emessa il 7.4.2011 dal Gup dal tribunale di Padova, ridusse la pena ad anni 2, mesi 2 e giorni 20 di reclusione e confermò nel resto la dichiarazione di responsabilità di C.A. per il reato di violenza sessuale aggravata dalla minorata difesa della vittima, per avere fermato per strada P.F., al sesto mese di gravidanza, che andava in bicicletta con la figlia in tenera età sul sellino, e per averla costretta a subire atti sessuali, quali toccamenti e un tentativo di baciarla, mentre egli si masturbava eiaculandole addosso.

L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:

1) nullità dell’accertamento tecnico disposto dal PM sul reperto salivare prelevato dalla polizia giudiziaria all’imputato in mancanza delle condizioni di procedibilità del reato non avendo a quella data la persona offesa presentato querela;

2) nullità del rigetto della istanza istruttoria relativa a perizia sui disturbi di personalità dell’imputato e sull’acquisizione dei verbali delle investigazioni difensive.

3) violazione di legge in ordine alla statuizione di non ritenere l’imputato non imputabile per vizio totale di mente o per vizio parziale di mente.

4) violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione della attenuante del fatto lieve anche in considerazione della circostanza che si trattava di dolo d’impeto.

5) violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

Il Collegio ritiene che il primo motivo sia infondato. Esattamente, infatti, la corte d’appello ha rilevato che il prelievo era avvenuto su delega del PM e che non era stato coattivo avendovi l’indagato acconsentito, dopo essere stato avvertito della facoltà di farsi assistere ed avervi rinunciato. Pertanto, essendovi il consenso della persona interessata, si era al di fuori della sfera di applicazione dell’art. 359 bis. L’attività di indagine, inoltre, si era svolta nel rispetto dell’art. 346 c.p.p., che, anche in mancanza di una condizione di procedibilità che può ancora sopravvenire, consente il compimento degli atti di indagine necessari ad assicurare le fonti di prova ai sensi dell’art. 348. Fra questi vi è l’attività diretta alla ricerca di tracce pertinenti al reato e la loro conservazione.

Nella specie il PM si accingeva a disporre accertamento tecnico non ripetibile sulle tracce biologiche rilevate, deteriorabili col decorso del tempo, e a tal fine aveva appunto delegato la polizia giudiziaria a raccogliere il necessario reperto di comparazione. Il tutto poi era avvenuto ritualmente nell’ambito del disposto degli artt. 360 e 370.

La corte d’appello, del resto, aveva anche rilevato che il reato era procedibile d’ufficio stante la connessione con il reato di atti osceni in luogo pubblico.

A parere del Collegio è infondato anche il secondo motivo, essendo esatta la motivazione sul punto svolta dalla corte d’appello, la quale ha osservato che l’imputato, dopo il rigetto della istanza di rito abbreviato condizionato, aveva presentato nuova richiesta di rito abbreviato non condizionato e, in tal modo, aveva rinunciato alle integrazioni probatorie richieste, non insistendo sulla loro pretesa indispensabilità, e rinunciando all’alternativa del dibattimento, nel corso del quale avrebbe potuto rinnovare la richiesta di abbreviato condizionato. Ed invero, "E’ preclusa all’imputato che, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato "secco", la possibilità di contestazione successiva della legittimità del provvedimento di rigetto" (Sez. 3^, 5.6.2009, n. 27183, Fabbricini, m. 248477).

La corte d’appello ha in ogni caso, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, escluso che nella specie ricorressero i presupposti per disporre le richieste integrazioni probatorie ricorrendo ai propri poteri d’ufficio, e ciò sia perchè non erano state evidenziate dal consulente della difesa turbe di tipo ideativo-percettivo ed anzi erano state escluse patologie psichiatriche ed era stata constatata chiara consapevolezza dell’accaduto, accompagnata da capacità di revisione critica, sia perchè dal contegno e dalle dichiarazioni rese dall’imputato in diversi contesti emergevano la sua lucidità e consapevolezza.

Si è ritenuto infondato anche il terzo motivo per avere la corte d’appello fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha escluso la presenza di una situazione di non imputabilità dell’imputato per vizio totale o parziale di mente. Fra le varie considerazioni svolte dalla sentenza impugnata, che qui appare superfluo riassumere, vi è anche l’osservazione che mai il C., nelle diverse circostanze, aveva dato segno di non essere consapevole della condotta illecita e mai aveva neppure adombrato l’impossibilità di resistere ad un impulso irrefrenabile, il che evidenziava che si trattava di soggetto conscio delle proprie condotte e capace di autodeterminazione. Inoltre, lo stesso consulente della difesa non aveva sostenuto la mancanza di imputabilità; mentre l’imputato aveva anche dimostrato di aver compreso il disvalore della sua condotta ed aveva dato prova durante l’aggressione di disporre di adeguata lucidità ed autocontrollo.

Si è ritenuta congrua ed adeguata anche la motivazione con cui è stato escluso il riconoscimento del fatto di minore gravità, in considerazione della non modesta gravità del fatto e della rilevante lesione alla libertà sessuale della vittima, essendosi comunque verificata una grave intrusione nella sfera sessuale, tanto più offensiva considerando la particolare vulnerabilità della donna per la sua condizione di gravidanza avanzata e per la presenza della figlioletta sul sellino della bicicletta in precario equilibrio.

Motivatamente poi è stata ritenuta l’aggravante della minorata difesa. La caratteristica del dolo non incide sull’attenuante del fatto lieve.

La corte d’appello ha infine fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sull’esercizio del proprio potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena, ivi compreso il diniego delle attenuanti generiche, che sono state ritenute non giustificabili sulla base della sola incensuratezza mentre la condotta riparatoria era stata adeguatamente valorizzata nella individuazione della misura della pena.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2013
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