Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 22-05-2013, n. 21899

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Sig. F., agendo quale medico che sostituiva il medico di base nell’attività professionale, è stato condannato dal Tribunale di Verona per avere compiuto atti sessuali in danno di una paziente, di età di poco inferiore ai 18 era distesa sul lettino dell’ambulatorio per una visita medica. Il Tribunale ha ritenuto che il chiaro racconto della persona offesa sulle ragioni della visita e sulle modalità con le quali essa fu condotta, modalità incoerenti con il malessere lamentato, costituivano prova certa della intenzionalità delle condotte abusive del medico e della loro natura sessuale.

Con motivazione articolata la Corte di appello ha respinto le censure proposte dall’imputato, esaminando i punti di criticità prospettati e giungendo alla conclusione che la prima sentenza merita conferma, risultando le accuse mosse dalla persona offesa attendibili, prive di ragioni improprie o di interesse che possano far dubitare della loro genuinità.

2. Avverso tale decisione il sig. F. propone ricorso in sintesi lamentando: Vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per avere la Corte di appello fatto ricorso a rinvio "per relationem" alla sentenza di primo grado e omesso di dare contezza delle ragioni della propria decisione, e ciò sia con riferimento alla condotta tenuta dal ricorrente nel corso della visita (tentativo di toccare la zona pubica interrotto dalla reazione della vittima) sia con riferimento alla reazione del ricorrente subito dopo i fatti che proverebbe il suo turbamento per le false accuse e la buona fede con cui ha agito; con ciò omettendo un esame effettivo della versione alternativa dei fatti offerta dalla difesa.

CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Osserva in via preliminare la Corte che l’ampia premessa in motivazione circa la legittimità e i limiti del rinvio "per relationem" alla sentenza di primo grado precede quella che può definirsi un’esposizione articolata dei motivi sostanziali della decisione, ove, a partire da pag. 6, si da conto delle ragioni che conducono a condividere i passaggi essenziali della decisione del Tribunale e a respingere la diversa ricostruzione dei fatti proposta dall’imputato.

2. In particolare, alle pagine 9 – 11 della motivazione sono esposte le ragioni che conducono a ritenere spontanee e attendibili le accuse mosse dalla giovane al medico, che conducono a ritenere pienamente utilizzabile il contenuto della testimonianza resa in dibattimento dalla persona offesa e conducono, infine, a ritenere non convincente la versione offerta dall’imputato. Va, dunque, escluso che si versi in ipotesi di carenza di motivazione e la Corte ritiene che non sussistano neppure i lamentati profili di illogicità.

3. In realtà, al di là della formale intestazione degli motivi di ricorso, il ricorrente lamenta una errata valutazione del materiale probatorio, profilo che esula dalle attribuzioni di questa Corte.

4. Ora, la circostanza che la Corte di appello abbia affrontato in modo espresso il tema delle diverse modalità della condotta del medico, in presenza e in assenza delle mutandine a protezione dei genitali, e abbia chiarito gli estremi dei fatti che vengono presi in esame ai fini della qualificazione giuridica è tale da escludere che sussistano incoerenze o vizi logici e va invece considerato un elemento di chiarezza ricostruttiva che merita un positivo apprezzamento. Va rilevato che l’intera parte di motivazione dedicata alla ricostruzione dei fatti e all’apprezzamento del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa appare connotata da scrupolo e da specifica attenzione alle criticità prospettate dall’appellante; il che conduce a ritenere palesemente infondate le censure contenute nei motivi di ricorso.

5. Parimenti non può affermarsi che la Corte di appello abbia omesso di valutare l’esigenza di approfondimenti probatori o di considerare la posizione e la condotta del ricorrente, elementi che trovano esame in sede motivazionale (si vedano la prima parte di pag. 9 e il nono capoverso di pag. 11).

6. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2013
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