Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-01-2013) 15-05-2013, n. 20961

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Svolgimento del processo

Con sentenza 4 luglio 2011 la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa il 14 marzo 2008 dal Tribunale di Benevento nei confronti di R.A., ritenuto il delitto di invasione del fondo altrui assorbito in quello previsto dall’art. 632 c.p. e prosciolto l’imputato dalla contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2011, art. 44 perchè estinta per maturata prescrizione, rideterminava in riduzione, la pena in mesi QUATTRO, giorni CINQUE di reclusione ed Euro 350,00 di multa, confermando le statuizioni civili risarcitorie e l’affermazione di colpevolezza del R. quanto ai delitti di cui agli artt. 81 cpv., 632 c.p., art. 635 c.p., comma 1 e comma 2, n. 5, art. 624 c.p., art. 625 c.p., n. 7, commessi in (OMISSIS) in danno di S.A., S. F., T.G. e T.M. per aver arbitrariamente invaso il fondo di proprietà di costoro; immutato illecitamente lo stato dei luoghi aprendovi, con mezzi meccanici, una strada larga mt. 2,50 e lunga mt. 200,00, danneggiato gli alberi piantati sul fondo (prevalentemente costituiti da castagni) abbattendone alcuni ed impossessandosi, al fine di trarne profitto, dei relativi tronchi sottratti ai legittimi detentori.

Per quanto rileva nel presente giudizio, in esito al dibattimento di primo grado era rimasto accertato, in punto di fatto, che l’imputato, proprietario di un terreno coi annesso rudere cui si accedeva attraverso un viottolo pedonale fiancheggiante la proprietà dei querelanti in zona sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico, ebbe a realizzare, con l’impiego di mezzi meccanici, una strada della larghezza di mt. 2,50, di mt. 200,00 di lunghezza, il cui tracciato attraversava per mt. 130 la zona boschiva. A tale scopo il R., invadendo l’altrui proprietà, tagliò una decina di ceppaie e di castagni secolari, procedendo ad uno sbancamento con conseguente abbassamento del piano di campagna. Provocò in tal modo un’arbitraria modificazione dei luoghi oltrechè il danneggiamento dell’altrui proprietà. All’atto del sopralluogo di P.G. non furono rinvenuti i tronchi degli alberi recisi in quanto asportati e sottratti ai legittimi proprietari.

Ricorre personalmente per cassazione l’imputato deducendo un unico motivo per violazione di legge e per vizio di motivazione, così riassunto. La Corte d’appello avrebbe erroneamente disatteso l’eccezione di inutilizzabilità delle prove raccolte in primo grado poichè nessuno del testi aveva riferito di aver veduto il ricorrente procedere allo sbancamento del terreno ed all’asportazione dei tronchi recisi degli alberi di castagno, essendo invece verosimile che, a seguito dell’incendio sviluppatosi nella zona nell’anno 2001, i mezzi antincendio avessero proceduto alla riapertura della strada ed alla conseguente invasione dei fondi altrui, allo scopo di domare le fiamme. Ad escludere, in ogni caso, la sussistenza dei contestati delitti di danneggiamento e di furto aggravato evidenzia l’imputato di aver proceduto, da un lato, dopo l’incendio, alla ripulitura della strada a vantaggio di tutti i proprietari dei fondi finitimi e dall’altro sottolinea che, a quanto riferito dal teste A. appartenente al C.F.S., l’incendio ebbe a provocare la distruzione di molti ettari di vegetazione e, conseguentemente, anche degli alberi già presenti sul terreno. Conclude per l’annullamento della impugnata sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

L’imputato articola, da un canto, motivi di censura generici e ripetitivi delle medesime doglianze, già portate all’attenzione dei Giudici d’appello (che hanno trovato puntuale ed esaustiva "risposta" nella motivazione della sentenza impugnata) dall’altro, prospetta, in realtà, sub specie di inesistenti vizi motivazionali, una "rivisitazione" alternativa dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, esclusivamente demandato ai giudici di merito (peraltro congruamente e logicamente argomentato) pacificamente non consentita in sede di legittimità.

Richiamando (onde evitare inutili ripetizioni) le risultanze di fatto, già riassunte in narrativa, rileva la Corte che, come puntualmente argomentato dalla Corte distrettuale in corretta applicazione della disciplina normativa di riferimento, l’attribuibilità all’imputato delle condotte integranti le fattispecie di reato ascrittegli, di cui all’art. 632 c.p., art. 635 c.p., comma 1 e comma 2, n. 5, art. 624 c.p., art. 625 c.p., n. 7 risulta pacificamente comprovata dalle dichiarazioni delle parti offese che de visu constatarono gli "effetti" degli illeciti commessi dal prevenuto nelle loro proprietà "dopo esser state direttamente avvertite dal R." che, ammessi gli interventi di "ripulitura del viottolo", appariva comunque l’unico interessato a conseguire un più agevole accesso, per tale via, al proprio fondo. Logicamente plausibile è quindi l’esecuzione di "lavori di sbancamento per la realizzazione della strada", integrando pertanto una siffatta condotta di indebita invasione dei fondi di proprietà delle parti offese, costituitesi parti civili previa immutazione dello stato dei luoghi, gli estremi del danneggiamento della zona boschiva attuato mediante "il taglio di alcuni castagni secolari", peraltro difettando qualsivoglia prova – quanto agli alberi abbattuti (in zona non recintata nè vigilata) i cui tronchi furono sottratti dall’imputato ai legittimi proprietari – di un presunto incendio sviluppatosi nella zona nell’anno 2001: causa presunta del danneggiamento, a detta dell’imputato. In relazione al delitto di furto aggravato ex art. 625 c.p., n. 7 non può revocarsi in dubbio, ad onta delle apodittiche critiche dell’imputato, che anche di questo il R. sia da considerare responsabile, ovviamente ancorchè "nessuno abbia visto il R. impossessarsi degli alberi" (come si legge in ricorso) posto il grave, preciso ed inequivoco dato indiziario (evidenziato dalla Corte d’appello) costituito dal fatto che, in esito al sopralluogo eseguito dalla P.G. lo stesso giorno del fatto, non furono rinvenuti i tronchi degli alberi di castagno abbattuti dall’imputato, da ritenersi ragionevolmente da costui sottratti ai proprietari.

Del tutto generica – e quindi inammissibile – l’ulteriore doglianza dedotta in ordine alla sproporzionata entità della liquidazione delle spese in favore delle parti civili, in quanto asseritamente non supportata da "un’adeguata nota spese".

Per completezza di esposizione, osserva infine il Collegio che tutti i reati ascritti all’imputato – commessi il 14 luglio 2004 – risultano prescritti alla data del 14 gennaio 2012 (ovverosia successivamente alla pronunzia della sentenza d’appello) in difetto di periodi di sospensione ed applicato il termine massimo di anni sette e mesi sei (attesa la pena edittale massima stabilita per ciascuno di essi) nonchè, ex art. 2 c.p., comma 4, la più favorevole disciplina previgente dell’istituto di cui all’art. 157 c.p., comma 1, n. 4, commi 2 e 3, art. 160 c.p., comma 3.

Riconosciute all’imputato dal Giudice di prime cure le attenuanti generiche giudicate prevalenti sulle aggravanti contestate, in particolare in ordine al più grave delitto di furto.

Deve tuttavia escludersi ogni rilievo di detta causa estintiva, nel caso di specie, stante la ritenuta inammissibilità del proposto ricorso, giusta l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (seguito da numerose pronunzie conformi e dal quale non v’e motivo di deflettere) che, con sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. (dep. 21/12/2000) rv. 217266, hanno così statuito: "L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso)".

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00 nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il presente giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1000,00 a favore della Cassa delle Ammende oltre alla rifusione delle spese in favore della parti civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2013
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