Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 13-05-2013, n. 20386

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Il sig. Z. è stato tratto a giudizio per avere in luogo pubblico di Perugia avvicinato alcune giovani e compiuto con destrezza atti sessuali consistiti nel toccare i glutei di una di esse, minore di quattordici anni, e quindi i propri organi genitali, subito allontanandosi rincorso dalla sorella della minore oggetto di dette condotte.

2. Il Tribunale di Perugia ha ritenuto provate le condotte contestate e, qualificato il fatto ai sensi dell’art. 609-bis c.p., u.c., ha condannato l’imputato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione.

3. Con la sentenza qui impugnata la Corte di appello di Perugia ha rigettato la richiesta d rinnovazione parziale del dibattimento finalizzata all’escussione di nuovi testi; ha confermato la prima decisione, respingendo le censure concernenti la coerenza delle prove a carico dell’imputato, la regolarità ed efficacia del riconoscimento di persona e la linearità delle deposizioni testimoniali; ha ritenuto non decisive le prove a discarico, che escluderebbero la compatibilita dell’orario in cui avvennero i fatti con la presenza dell’imputato presso i familiari in Bastia Umbra.

Infine, esclusa l’applicabilità al fatto della fattispecie prevista dall’art. 660 cod. pen., ha confermato il trattamento sanzionatorio applicato dal Tribunale.

4. Avverso tale decisione il sig. Z. propone ricorso in sintesi lamentando:

Errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) con riferimento a:

– Omessa rinnovazione del dibattimento, difettando la motivazione delle ragioni per cui la tempestiva richiesta è stata respinta;

Errata valutazione dei vizi del riconoscimento personale operato dalla persona offesa e dalle testimoni e del fatto che non sono stati indicati i due tratti distintivi della persona dell’imputato: la bassa statura (circa m.1,60) e la grande e particolarissima montatura degli occhiali;

– Errata valutazione delle discrasie esistenti nel racconto della madre della minore rispetto a quanto dichiarato dalla stessa;

Presenza dell’imputato presso i familiari in Bastia Umbra in orario coincidente con lo svolgimento del reato denunciato;

– Insussistenza dei requisiti di violenza o minaccia della condotta e, dunque, del reato previsto dall’art. 609-bis cod. pen..

Motivi della decisione

1. Rileva, in primo luogo, la Corte che la maggior parte dei motivi di ricorso ricalca esattamente i motivi di appello che la corte territoriale ha esaminato e valutato fornendo specifica motivazione delle ragioni di rigetto. Ciò vale per tutti i profili che attengono alla individuazione dell’autore del reato, alle modalità della condotta e alla compatibilità fra l’orario dei fatti e la presenza dell’imputato in Bastia Umbra per la partecipazione al pranzo coi familiari. La riproposizione dei medesimi profili di fatto e dei medesimi argomenti in ordine alla valutazione del materiale probatorio impone alla Corte due considerazioni.

2. In primo luogo deve rilevarsi che i motivi di ricorso ora sintetizzati sono affetti da genericità. In effetti, secondo il costante orientamento di questa Corte, si considerano generici – con riferimento al disposto dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) -, i motivi che ripropongono davanti al giudice di legittimità le medesime doglianze presentate in sede di appello avverso la sentenza di primo grado e che nella sostanza non tengono conto delle ragioni che la Corte di appello ha posto a fondamento della decisione sui punti contestati. Si tratta di interpretazione costantemente applicata dalla giurisprudenza di questa Corte ed espressa, da ultimo, con la sentenza della Sez.6, n.22445 del 2009, P.M. in proc.Candita e altri, rv 244181, ove si afferma che "è inammissibile per genericità il ricorso per cassazione, i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato".

3. In secondo luogo, debbano trovare qui applicazione i principi interpretativi in tema di limiti del giudizio di legittimità e di definizione dei concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonchè in tema di travisamento del fatto che sono contenuti nelle sentenze delle Sez.Un., n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767, e n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074. In tale prospettiva di ordine generale va seguita la costante affermazione giurisprudenziale del principio secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sez.6, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148). Con la conseguenza che, in presenza di motivazione che, come nel caso in esame, affronti i profili di censura in modo coerente e non manifestamente illogico, non vi è spazio per una decisione diversa del giudice di legittimità e le censure vanno considerate manifestamente infondate.

4. Manifestamente infondata, poi, la censura relativa alla carenza di motivazione in ordine alle nuove argomentazioni difensive e alla richiesta di rinnovazione del dibattimento. La Corte di appello ha puntualmente affrontato questi temi a pag.5 della motivazione e li ha respinti con valutazione di merito che è stata argomentata in modo logico e non è censurabile da questo giudice, anche alla luce della natura eccezionale dell’istituto della rinnovazione del giudizio ex art. 603 cod. proc. pen. in sede di appello.

5. Quanto alla natura sessuale degli atti compiuti, va premesso che i fatti sono stati ricostruiti dai giudici di merito ritenendo non rilevante il racconto della madre della minore, non presente ai fatti a differenza della sorella della persona offesa che ha fornito un contributo ricostruttivo rilevante. Osserva la Corte che sia il Tribunale sia la Corte di appello hanno fornito sul punto una specifica motivazione che non appare meritevole di censure. La Corte di appello ha fornito anche una chiara motivazione delle ragioni per cui i repentini e inequivoci "palpeggiamenti" della minore e i successivi toccamenti sulla propria area genitale, tali da essere riconducibili a condotta masturbatoria, costituiscano una chiara invasione della sfera sessuale della vittima e non siano riconducibili alla fattispecie prevista dall’art. 660 cod. proc. pen.; si tratta di motivazione pienamente condivisibile sul piano dell’interpretazione e applicazione delle norme e il motivo d’impugnazione su questo punto risulta palesemente infondato.

6. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2013

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