Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 22-04-2013, n. 18283 Misure cautelari Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Il Pubblico Ministero della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di SALERNO, ricorre per Cassazione avverso l’ordinanza 8.10.2012 con la quale il Tribunale di SALERNO ha annullato l’ordinanza cautelare limitatamente al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, contestualmente disponendo nei confronti dell’indagato D.M. la misura degli arresti domiciliari in luogo di quella della custodia in carcere per il residuo delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

L’ufficio ricorrente richiede l’annullamento della suddetta ordinanza, perchè il Tribunale riesamini la vicenda cautelare con riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, lamentando:

1.) ex art. 606 c.p.p., lett. E) vizio di motivazione, perchè il Tribunale, nell’escludere la sussistenza dei gravi indizi in relazione al reato associativo ha adottato una motivazione incongrua rispetto all’oggetto del decidere circoscritto nella imputazione.

Il ricorrente rileva che oggetto dell’imputazione è la contestazione della costituzione di una organizzazione finalizzata alla "coltivazione" di sostanze psicotrope (piante di marijuana) e al confezionamento delle stesse per il successivo smercio, mentre il Tribunale del riesame ha preso in considerazione il diverso ed esclusivo aspetto della commercializzazione del prodotto (marijuana), ponendo in evidenza la mancanza di prove dell’esistenza di un’associazione per tale tipo di attività.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e va accolto.

Dalla lettura degli atti emerge che l’ufficio della Procura della Repubblica ha formulato, nei confronti dell’indagato il seguente capo di imputazione: "…perche si associavano fra di loro alfine di produrre, estrarre da piante coltivate e successivamente vendere, ingenti quantitativi di marijuana, coltivata in apposite serre e, al momento del sequestro, insistenti su terreno di proprietà di D.M., utilizzando all’interno del terreno su cui vi era la coltivazione, un container nel quale era allocata tutta la strumentazione necessaria per illuminare, ventilare, essiccare la sostanza stupefacente ricava, pesarla e confezionarla, nel quale veniva rinvenuto un quantitativo complessivo di kg 42,5 (già ripartito in 85 confezioni da gr. 500 cadauna) ed un ulteriore quantitativo non ancora confezionato per kg 8,5 di marijuana già essiccata e lavorata e quindi pronta per lo smercio. All’interno di serre risultavano radicate al suolo 415 piante di vario fusto di canapa indiana, curate con idoneo sistema di irrigazione e venivano rinvenute, inoltre foglie di marijuana adagiate al suolo, già essiccate, per un peso di ulteriori Kg 79,5. Fatto accertato in (OMISSIS)".

Il ricorrente pone in evidenza come la suddetta attività consistente in lavorazione del terreno, dotato di copertura a serra, costante irrigazione, raccolta delle foglie, lavorazione, essicazione, confezionamento del prodotto non potesse che essere svolta da una pluralità di persone coordinate sul piano organizzativo; e mette in evidenza che in riferimento a tale configurazione di reato, omettendo ogni specifica valutazione in fatto, il Tribunale ha spostato la propria attenzione solo sull’aspetto della commercializzazione del prodotto, omettendo ogni considerazione su quello della coltivazione.

Dalla lettura del provvedimento impugnato si rileva che il Tribunale ha affermato, tra l’altro, che "… se è vero che un’attività del genere di quella riscontrata aveva necessariamente bisogno di agganci per garantire la commercializzazione dell’ingente prodotto lavorato, non è affatto provato che nella fattispecie, ciò sia avvenuto in modo stabile e continuativo e tale da trascendere anche la singola, quantunque ingente fornitura. Non è infatti stato nemmeno allegato una qualsiasi forma di rapporto con altri, allo stato non identificati, personaggi, dalla cui analisi evincere che D. M. – che, alla fine è stato attinto dal rato in tema di coltivazione solo perchè era il proprietario del fondo e dell’annesso container – si sia reso protagonista di siffatta ipotesi associativa. Deve, dunque, essere esclusa la sua responsabilità in tema di un associazione che, al momento, è difficile anche ipotizzare in capo agli altri due rei confessi (in concorso con altri personaggi criminali non individuati anche per effetto del loro non stigmatizzato silenzio). La posizione del D. deve, dunque essere parificata a quella degli altri due suoi congiunti con i quali ha impiantato l attività illecita di coltivazione".

Ponendo a confronto il contenuto del capo di imputazione con la motivazione dell’ordinanza impugnata, alla luce delle considerazioni svolte dall’Ufficio della Pubblica accusa, si deve rilevare come il provvedimento sia incongruo ed evidenzi un vizio di carenza di motivazione. Infatti il Tribunale, a fronte di una precisa ipotesi (che tiene conto della articolata attività "agricola" nonchè di raccolta, trattamento e confezionamento del prodotto) non ha formulato alcuna specifica considerazione volta ad escludere e a giustificare l’infondatezza dell’accusa. Dal testo del provvedimento si desume che il D.A. e il D.R. sono stati sorpresi dalla polizia giudiziaria, nell’essicatoio e che gli stessi avevano ammesso il proprio coinvolgimento nell’attività di preparazione dello stupefacente e l’ A., in particolare,aveva finito con l’ammettere che "qualcosa era arrivata all’orecchio" del padre M., proprietario del fondo sul quale avveniva l’illecita coltivazione. Il coinvolgimento delle tre persone, con ruoli diversi, sotto il profilo della condotta materiale, costituisce secondo la ipotesi dell’accusa la prova della costituzione di un’associazione dedita alla illecita attività di coltivazione e produzione di marijuana, prova che si fonderebbe su quanto accertato dalla polizia giudiziaria al momento dell’intervento in loco e in parte su quanto dichiarato dagli indagati. Sotto questo punto di vista pertanto il provvedimento impugnato è privo di motivazione in particolare nella indicazione della ragione per la quale la configurazione dell’accusa di violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, formulata dal Pubblico Ministero, sia infondata. Per le suddette ragioni il provvedimento impugnato va annullato per vizio di carenza di motivazione limitatamente allo aspetto della insussistenza del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e gli atti devono essere restituiti al Tribunale del riesame per una nuova valutazione attraverso la quale dovrà chiarirsi la ragione per la quale difetti la prova di una organizzata e sistematica attività di coltivazione illecita di piante di marijuana.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Salerno per un nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2013

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