Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 22-04-2013, n. 18282 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
V.S.A., ricorre per Cassazione avverso l’ordinanza 7.8.2012 con la quale il Tribunale del Riesame di Messina ha rigettato l’impugnazione avverso il provvedimento 12.7.2012 applicativo della misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 378 c.p. e L. n. 203 del 1991, art. 7, perchè "Alfine di agevolare le attività criminali dell’organizzazione di stampo mafioso riferibile alla ‘ndragheta calabrese riconducibile alla famiglia X-X-X operante ad Africo e territori viciniori, aiutava P.F., inteso (OMISSIS), ed esponente di spicco della citata consorteria, a sottrarsi all’esecuzione delll’ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 1895/07 Rgnr e n. 3440/07 Rgip, emessa il 17.9.2007 dal Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria per i reati di cui agli artt. 416 bis, 575, 577 e 582 c.p., facendolo ricoverare sotto la falsa identità di S.S.R. presso il CENTRO NEUROLESI- X di Messina, ove svolgeva le mansioni di fisioterapista ed assistendolo costantemente durante tutto il periodo di degenza e sino al momento delle sue dimissioni. In (OMISSIS)".
La difesa richiede l’annullamento del provvedimento per le seguenti ragioni: 1.) vizio di motivazione e violazione di legge, perchè: 1) l’imputato non sapeva la vera identità dello S.S. R.; 2) fra l’imputato e il P.S. non sono intercorsi rapporti personali prima del ricovero di quest’ultimo; 3) non vi sono prove della commissione di irregolarità nella fase del ricovero dello S.; 4) se irregolarità risultano essere state fatte, queste non sono riconducibili all’imputato che non svolgeva funzioni di tipo amministrativo e la relativa circostanza non è comunque dimostrativa di consapevolezza della reale situazione personale dello S.S.R.; 5) l’attività medico-fisioterapica si è sempre svolta apertamente in luoghi liberamente frequentati anche da estranei; 6) non vi è prova di un trattamento preferenziale ed esclusivo dello S. da parte dell’imputato, trattandosi di circostanza riferita in modo generico ed impreciso dalla sola dott.ssa R., priva di conferme esterne; 7) non vi è prova che lo imputato abbia assistito il P.F. anche in epoca successiva alle sue dimissioni dal centro ospedaliero-fisioterapico;
8) non emergono prove certe e circostanziate dalle poche intercettazioni telefoniche effettuate nel corso delle indagini.
2.) vizio di motivazione ed erronea applicazione dell’art. 275 c.p.p., perchè il Tribunale del riesame non avrebbe adeguatamente ponderato il fattore "tempo trascorso" dalla commissione del fatto da correlarsi con le esigenze cautelari e segnatamente con quella di cui al terzo comma della citata norma processuale, non ricorrendo comunque nè il pericolo di fuga, nè quello di inquinamento delle prove nè quello del pericolo di reiterazione della condotta criminosa.
Motivi della decisione
Va premesso che la valutazione delle doglianze difensive nel procedimento cautelare soggiace ai noti limiti del giudizio di legittimità. Infatti in materia di provvedimenti "de libertate" la Corte di cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi), nè di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed all’adeguatezza delle misure; infatti, sia nell’uno che nell’altro caso si tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito. Il Controllo di legittimità rimane pertanto circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, nelle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass. SU 11/2011; Cass. Sez. 2 n. 56/2011; Cass. Sez. 6 3529/1998; Cass. Sez. 1 ordinanza 1700/1998; Cass. Sez. 1, 1496/1998; Cass. Sez. 1, 1083/1998). Da quanto sopra discende che: a) in materia di misure cautelari la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientra fra i compiti istituzionali del giudice di merito sfuggendo entrambi a censure in sede di legittimità, se adeguatamente motivate ed immuni da errori logico-giuridici, posto che non può contrapporsi alla decisione del Tribunale in quanto correttamente giustificata, un diverso criterio di scelta o una diversa interpretazione del materiale probatorio; b) la denuncia di insussistenza di gravi indizi di colpevolezza o di assenza di esigenze cautelari è ammissibile solo se la censura riporta l’indicazione precisa e puntuale di specifiche violazioni di norme di legge, ovvero l’indicazione puntuale di manifeste illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, esulando dal giudizio di legittimità sia le doglianze che attengono alla ricostruzione dei fatti sia quelle che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice del merito (Cass. Sez. 3, 40873/2010).
Infatti il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perchè sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente incompatibile con altri atti del processo (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass. Sez. 141738/2011; Cass. Sez. 6, 22500/2007; Cass. Sez. 6, 10951/2006). Così posti gli ambiti del presente giudizio il Collegio osserva quanto segue. Il primo motivo di ricorso è infondato ed è al limite della inammissibilità, perchè con esso la difesa prospetta una diversa e differente chiave di lettura delle prove, ponendosi in alternativa a quanto prospettato dal Tribunale, senza porre in evidenza vizi della motivazione (desumibili dal testo del provvedimento impugnato) o specifiche violazioni di legge.
Il Tribunale del riesame, dopo avere rilevato la piena coincidenza fra il P.F. e lo S.R. (circostanza neppure messa in discussione dalla difesa), ha indicato le "anomalie" nella fase del ricovero del P.F., mediante l’utilizzo di una falsa missiva di accompagnamento di una struttura medica privata) e, attraverso le dichiarazioni rese dalla dott.ssa R. (confermate dal dr. M.A.) ha descritto l’attività del V., desumendo la piena consapevolezza di questi della reale identità del P.. In tale contesto argomentativo non sindacabile in sede di legittimità se non nei limiti surriferiti, la difesa non ha formulato confutazioni specifiche (neppure in ordine alla asserita mancanza di riscontri alle dichiarazioni della dott.ssa R.) e ha illustrato una personale valutazione del materiale probatorio, senza peraltro pervenire ad una critica corretta della motivazione dell’ordinanza impugnata. Va inoltre osservato che la circostanza che il V. non abbia provveduto alla redazione materiale della documentazione di accettazione del paziente, messa in luce dalla difesa, non ha incidenza sul piano della prova desunta dalle dichiarazioni R. – M., il quale a sua volta trova riscontro nelle annotazioni contenute nel diario del fisioterapista allegato alla cartella clinica del paziente.
Parimenti prive di rilevanza sono le valutazioni espresse sul contenuto delle dichiarazioni rese da Z., MU., SC., s., G., D.B.. Il Tribunale del riesame si è limitato ad affermare l’esistenza di una prova inequivoca in ordine all’irregolarità del ricovero dello S., sulla scorta delle dichiarazioni rese dai testimoni s. e MU. traendo da quest’ultima un elemento meramente indiziario, peraltro rafforzato dalle dichiarazioni della R. e del M.. Nella specie si deve quindi trarre la conclusione che il Tribunale, rispondendo alle doglianze mosse in sede di reclamo, ha indicato gli elementi di fatto sulla cui base ha tratto il proprio convincimento, con motivazione obbiettivamente non censurabile in questa sede, perchè non illogica, nè carente o contraddittoria. Il provvedimento ha una motivazione adeguata che, tenendo conto della fluidità degli accertamenti investigativi, appare ancorata ad elementi correttamente idonei a supportare un giudizio di qualifica probabilità della avvenuta commissione del fatto ascritto.
Neppure illogica appare la motivazione in relazione ai contatti intercorsi tra il V. e i familiari del P.F.. La stessa difesa non esclude un iniziale contatto telefonico tra il V. e il MO. (suocero del P.F.), così concordando con al ricostruzione dei fatti formulata dallo stesso Tribunale che richiama la esistenza di ulteriori contatti telefonici del V. con utenze telefoniche riconducibili a soggetti vicini al sodalizio criminale nel periodo di degenza del P. presso il centro neurolesi. Anche su questo punto la difesa muove critiche in ordine alla lettura del dato probatorio, ponendo dubbi sulla possibile identità degli interlocutori telefonici con i quali ha parlato l’indagato, senza peraltro giungere ad una specifica individuazione di uno specifico vizio di motivazione del provvedimento impugnato. Per tali ragioni il primo motivo di ricorso deve essere rigettato. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, va osservato che in tema di misure cautelari personali, il decorso del tempo dalla commissione del reato (che si pone in rapporto di stretta connessione con il delitto di associazione mafiosa) può assumere rilievo, al fine di superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, solo se ed in quanto risulti con certezza che la persona sottoposta alle indagini abbia irreversibilmente reciso i legami con l’organizzazione criminosa. Sotto questo profilo, la valutazione del tribunale appare corretta ed è del tutto insufficiente la argomentazione con la quale la difesa (che si limita a prospettare anche in questo caso una autonoma valutazione degli elementi di fatto) non da prova ed indicazione concreta che l’imputato abbia rescisso ogni legame con il clan mafioso. Per le suddette ragioni il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2013

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