Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-07-2012, n. 13221

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 5.10.09 B.M. proponeva appello contro la sentenza n. 758/09 del Tribunale di Brescia, con la quale era stata respinta la sua domanda di accertamento della nullità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro, stipulato D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 2, comma 1 bis con P.I. S.p.A. per il periodo dal 1.2.08 al 31.3.08, e di conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato.
Lamentava innanzitutto l’appellante l’erronea valutazione della prova dei presupposti, invocati da P.I. S.p.A., per la legittima apposizione del termine, non essendo sufficiente la dichiarazione unilaterale prodotta in giudizio per dimostrare l’osservanza del limite del 15% dei contratti a termine rispetto all’organico aziendale. Lamentava inoltre l’illegittimità della norma introdotta con la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 558, in quanto l’autorizzazione al ricorso ai rapporti a termine, sia pure con un limite percentuale, era priva del riferimento alla temporaneità delle esigenze aziendali da soddisfare. Lamentava conseguentemente la violazione della direttiva 1999/70/CE. Si costituiva in giudizio P.I. S.p.A, contestando le argomentazioni svolte a sostegno dell’impugnazione.
Con sentenza del 14 aprile-30 giugno 2010, l’adita Corte d’appello di Brescia, ritenuto che il contratto stipulato tra le parti in causa risultava rispettoso di quanto sancito dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, rigettava il gravame.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre B.M. con due motivi.
Resiste la P.I. S.p.A. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
Con il primo motivo di ricorso il B., denunciando violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2 in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, nonchè al considerando n. 6 e alla clausola 8.3. della Direttiva 1999/70 CE (art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto la norma contenuta nel menzionato D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis – e, conseguentemente, il contratto a termine in oggetto – conforme alla normativa interna e comunitaria (e in particolare alle previsioni della Direttiva 1999/70/CE).
Secondo il ricorrente "il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis come introdotto dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 558 deve essere interpretato come aggiuntivo e complementare rispetto alla norma di carattere generale prevista dall’art. 1 del D.lgs citato e non in termini alternativi", dovendo ricorrere, nel caso concreto, le condizioni di liceità del contratto previste da entrambe le norme, con la conseguenza che anche per i contratti a termine stipulati dalla società convenuta rimane fermo l’onere di indicare sotto il profilo formale (e di rispettare sul piano sostanziale) la causale, oggettiva e di natura temporanea, giustificativa dell’apposizione di un termine al rapporto di lavoro subordinato.
L’interpretazione così prospettata, inoltre – sempre ad avviso del ricorrente -, sarebbe l’unica conforme ai principi della Direttiva 1999/70/CE circa il carattere eccezionale dei contratti a termine, la necessità di prevenire abusi, la parità di tutela da assicurare ai lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato e la necessità che l’apposizione del termine al contratto di lavoro risponda a ragioni oggettive, attuata dal Legislatore del 2001 con l’introduzione della fondamentale disposizione contenuta nell’art. 1, in base alla quale le ragioni devono essere specificate.
Ove si considerasse lecita l’apposizione del termine ad un contratto di lavoro con il solo richiamo al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, come introdotto dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 558 citato, si giungerebbe, invece, ad attribuire alla società convenuta una assoluta discrezionalità nella stipulazione dei contratti di lavoro a tempo determinato, in contrasto con i principi contenuti nella Direttiva citata.
L’interpretazione sopra prospettata, inoltre, sarebbe l’unica che non contrasti con il principio di eguaglianza consacrato dall’art. 3 Cost., per il trattamento diseguale riservato ai lavoratori del settore postale rispetto a quelli addetti a tutti gli altri settori dell’impiego privato, oltre che con i principi enunziati dall’art. 35 Cost., per la sin troppo facile possibilità di elusione delle norme imperative che regolano il rapporto di lavoro subordinato, e dagli artt. 101 e 104 Cost., per la limitazione dell’indipendente esercizio della funzione giurisdizionale da parte del Giudice ordinario, sottraendogli il potere di valutare autonomamente i fatti rilevanti ai fini della qualificazione del rapporto.
La tesi è priva di fondamento.
Giova preliminarmente riportare il testo della normativa di riferimento, nella parte avente diretta attinenza alla fattispecie in esame.
Il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 dispone che:
"1. E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro;
2. L’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1".
"Art. 2. Disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo ed i servizi aeroportuali".
E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato quando l’assunzione sia effettuata da aziende di trasporto aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al quindici per cento dell’organico aziendale che, al 1 gennaio dell’anno a cui le assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati. Negli aeroporti minori detta percentuale può essere aumentata da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali, previa autorizzazione della direzione provinciale del lavoro, su istanza documentata delle aziende stesse. In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui al presente articolo".
Al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, dopo il comma 1 è aggiunto dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 558 il seguente:
"1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando l’assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell’organico aziendale, riferito al 1 gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui al presente comma." Sul piano interpretativo occorre osservare che la formulazione dell’art. 1 (rubricato "apposizione del termine") e quella dell’art. 2 (rubricato "disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo ed i servizi aeroportuali") sono identiche, iniziando con la locuzione "è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto…";
entrambe le norme sono quindi chiaramente destinate ad individuare i casi in cui la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato è legittima. La differenza, che emerge nell’immediatezza, è data dal fatto che nella prima ipotesi la stipulazione del contratto è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo che devono essere specificate per iscritto, mentre nella seconda tale requisito non risulta richiesto, sicchè può ben ipotizzarsi che la sussistenza delle ragioni che legittimano l’apposizione del termine sia già presuntivamente valutata dal legislatore in considerazione delle caratteristiche peculiari dei tre settori coinvolti ed i requisiti per la legittimità del termine sono quindi diversi (arco temporale definito, rispetto della percentuale e comunicazione alle organizzazioni sindacali provinciali).
Tale ipotesi interpretativa è avvalorata dalla scarsa forza persuasiva della opposta tesi – propugnata dal ricorrente – della necessaria compresenza tanto dei requisiti di cui all’art. 1 quanto di quelli di cui all’art. 2 perchè, qualora volesse ritenersi che la causalità del contratto costituisca la regola indefettibile, non vi sarebbe stata alcuna ragione di disciplinare in modo differenziato il settore trasporto aereo, servizi aeroportuali e postale e comunque il trattamento riservato ai tre settori sarebbe deteriore rispetto a quello riservato alle altre aziende dovendo le prime rispettare tanto il limite causale quanto quello temporale e percentuale.
L’assunto del ricorrente contrasta inoltre con l’interpretazione letterale della normativa di riferimento, se si considera che l’incipit dell’art. 2 ("è consentita l’apposizione del termine…"), identico a quello dell’art. 1, comma 1, non può che essere interpretato nel senso della volontà del legislatore di stabilire una (nuova) ipotesi di valida apposizione del termine, del tutto autonoma rispetto a quelle previste dal precedente art. 1, comma 1.
La tesi fin qui accolta ha trovato, peraltro, conferma nella sentenza della Corte Costituzionale n. 214/09, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, sollevate con riferimento all’art. 3 Cost., comma 1, artt. 101, 102 e 104 Cost., rilevando in particolare che "la norma censurata costituisce la tipizzazione legislativa di un’ipotesi di valida apposizione del termine. Il legislatore, in base ad una valutazione – operata una volta per tutte in via generale ed astratta – delle esigenze delle imprese concessionarie di servizi di disporre di una quota (15 per cento) di organico flessibile, ha previsto che tali imprese possano appunto stipulare contratti di lavoro a tempo determinato senza necessità della puntuale indicazione, volta per volta, delle ragioni giustificatrici del termine".
Tale valutazione preventiva, secondo il Giudice delle leggi, "non è manifestamente irragionevole" dal momento che "la garanzia alle imprese in questione, nei limiti indicati, di una sicura flessibilità nell’organico, è direttamente funzionale all’onere gravante su tali imprese di assicurare dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali, nonchè la realizzazione e l’esercizio della rete postale pubblica i quali costituiscono attività di preminente interesse generale ai sensi del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 1 (attuazione della direttiva 1997/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno e i servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio".
Neppure può condividersi l’ulteriore censura alla sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la violazione da parte del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, del "considerando n. 6" e della "clausola c.d. di non regresso" contenuta nell’art. 8 dell’Accordo quadro allegato alla Direttiva 99/70/CE. Va in proposito osservato che la Corte di Giustizia U.E. ha chiarito che "… la clausola 8, n. 3 dell’accordo quadro non soddisfa i requisiti per essere direttamente produttiva di effetti" (cfr.
sentenza 24.6.2010 nel procedimento C-98/09 Sorge), sicchè in questa prospettiva vanno analizzate le argomentazioni del ricorrente in ordine alla presunta violazione del divieto di regresso, sancito dalla clausola 8, n. 3 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva, la quale consente espressamente al legislatore nazionale "di tener conto della situazione di ciascun stato membro e delle circostanze relative a particolari settori e occupazioni, comprese le attività stagionali" (cfr. 10 considerando dell’Accordo quadro CES-UNICE-CEEP sul lavoro a tempo determinato).
Pacificamente, per la Corte di Giustizia il divieto di regresso è stabilito al solo fine di impedire che i legislatori nazionali profittino dell’attuazione della direttiva o anche, successivamente, della manutenzione della disciplina attuativa della direttiva per abbassare (pur restando sopra il limite stabilito come minimale dalla direttiva stessa) il livello di tutela anteriore (cfr. Corte di Giustizia, Mangold, 22 novembre 2005, C-144/04).
Ora, la previsione in esame non appare affatto dettata profittando dell’attuazione della direttiva o della manutenzione della disciplina attuativa della Direttiva, ma è stata dettata per introdurre una ipotesi speciale accanto ad un’altra ipotesi speciale. In realtà, al di là del decimo considerando, una previsione speciale come quella contenuta nell’originario D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2 non può comunque considerarsi incompatibile con la direttiva giacchè i contratti a termine stipulati dalle aziende di trasporto aereo sono assoggettati all’intera disciplina stabilita dalla legislazione di riforma del 2001 ed il legislatore si limita ad operare una tipizzazione della ricorrenza di esigenze oggettive secondo una propria valutazione di tipicità sociale.
Una volta esclusa la violazione del divieto di regresso, anche la previsione introdotta dalla L. n. 266 del 2005 presenta allora gli identici caratteri di quella originariamente inserita nell’art. 2: in conformità alle indicazioni del decimo considerando della Direttiva, costituisce una tipizzazione legislativa della ricorrenza di esigenze oggettive operata dal legislatore alla stregua di una valutazione social-tipica di tali esigenze, come peraltro confermato da ultimo dal Giudice delle leggi nella sentenza 214/2009 sopra citata.
Ad ulteriore conferma della conformità della norma nazionale con la disciplina dell’U.E. anche per quanto riguarda il divieto di non regresso, giova richiamare quanto affermato dalla Corte di Giustizia nelle recenti pronunce Angelidaki, 23 aprile 2009, nei procedimenti riuniti da C-378/07 a C-380/07, e Vino, 11 novembre 2010, nel procedimento C-20/10.
Nella prima pronuncia la Corte, dopo aver affermato che l’attuazione delle indicazioni prescrittive relative alla successione di contratti a termine non può essere l’occasione per ridurre le tutele previste dallo Stato membro con riguardo al contratto unico (ipotesi estranea a quella in oggetto), aggiunge che per aversi reformatio in peius la modifica della disciplina del contratto unico deve concretarsi in una riduzione del "livello generale di tutela", tale da riguardare "una porzione significativa dei lavoratori impiegati a tempo determinato nello Stato membro" precisando espressamente che "soltanto una reformatio in peius di ampiezza tale da influenzare complessivamente la normativa nazionale in materia di contratti di lavoro a tempo determinato può rientrare nell’ambito applicativo della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro" (sent. punti 140-142).
Sulla base di tali premesse i Giudici U.E. hanno escluso la violazione della clausola in oggetto da parte della legislazione nazionale ellenica al loro esame, dal momento che quest’ultima non riguardava "tutti i lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato, ma soltanto quelli che, da un lato, operano nel settore pubblico, e, dall’altro, non sono parti contraenti di contratti di lavoro a tempo determinato successivi" (punto 141).
Nel caso in esame, quindi, l’esiguità della platea di lavoratori interessati – i dipendenti di aziende concessionarie di servizi postali – imporrebbe di escludere la violazione del divieto di reformatio in peius anche se l’introduzione della norma in questione fosse avvenuta in occasione o comunque correlata all’attuazione della Direttiva.
La stessa Corte di Giustizia, ancora più di recente, pronunciandosi sulle questioni sollevate in via pregiudiziale dal Tribunale di Tram con l’ordinanza 23.11.2009 – questioni dichiarate infondate e in parte inammissibili/irricevibili – con specifico riferimento alla presunta violazione della c.d. clausola di non regresso, ha escluso espressamente che la modifica apportata dall’introduzione del comma 1 bis, possa "essere considerata collegata all’attuazione dell’accordo quadro", posto che "… l’adozione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, mirava a consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo scopo di garantire …
un funzionamento efficace delle diverse operazioni postali rientranti nel servizio universale e, pertanto, persequiva uno scopo distinto da quello consistente nel garantire l’attuazione dell’accordo quadro nell’ordinamento nazionale" (C-20110 Vino e. P.I. S.p.A., cit., punti 32-49).
Il motivo, dunque, pur esaminato sotto i diversi offerti profili, va rigettato.
Privo di fondamento è anche il secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 420 c.p.c. sostenendo di avere provveduto a contestare, con il ricorso introduttivo, il mancato rispetto da parte della società convenuta dei limiti numerici previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis e che, a fronte delle allegazioni effettuate da Poste nella propria memoria, non sarebbe stata necessaria "una verbalizzazione scritta, nel verbale d’udienza redatto dal giudice di primo grado, di quanto già dedotto per iscritto nel ricorso".
Invero, la Corte bresciana ha affermato che "P.I., costituendosi in giudizio in primo grado hanno specificamente allegato di non aver superato nell’anno 2008, con le assunzioni a termine, il 15% dell’organico aziendale e hanno prodotto documenti relativi al numero complessivo dei dipendenti, al numero dei contratti a termine, alle comunicazioni inviate alle organizzazioni sindacali. Il ricorrente non ha contestato, come sarebbe stato suo onere, a verbale nè esplicitamente nè implicitamente questi dati, che quindi si possono ritenere provati".
La Corte territoriale, adeguandosi al condiviso orientamento di questa Corte, ha fatto corretta applicazione della regola processuale secondo la quale, nel processo civile (così come nel rito del lavoro) non occorre la prova dei fatti che, allegati da una parte, non siano stati espressamente contestati dalla controparte (Cass. n. 25269/2007).
E’ stato affermato infatti dalla giurisprudenza di legittimità che in base all’art. 416 c.p.c. nel processo del lavoro, il convenuto ha l’onere di contestare specificamente i fatti affermati dagli attori;
con l’ulteriore puntualizzazione che l’onere di contestazione tempestiva riguarda però anche il ricorrente, perchè tale onere è desumibile non solo dagli artt. 167 e 416 c.p.c. ma deriva da tutto il sistema processuale come risulta: dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; dal sistema delle preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost (giusto processo). Conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto, potendo trattarsi di un fatto la cui esistenza incide sull’andamento del processo e non sulla pretesa in esso azionata" (ex plurimis, Cass. 4 dicembre 2007 n. 25269).
Per quanto precede il ricorso in esame va rigettato, mentre va dichiarato assorbito quello incidentale condizionato proposto dalla società.
La natura della controversia unitamente al recente richiamato intervento della Corte costituzionale e delle pronunce della Corte di Giustizia in materia, induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale. Compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012

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