Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-07-2012, n. 13218

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Svolgimento del processo
Il P. e la S. citarono in giudizio il C. e la R. R. & S. perchè fossero condannati al risarcimento del danno derivato dalla morte della loro figlia in occasione di un sinistro stradale.
Il Tribunale dichiarò prescritto il diritto sul presupposto che era da applicarsi la prescrizione biennale con decorrenza dalla data di irrevocabilità della sentenza d’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Genova, la cui sentenza il P. e la S. impugnano ora per cassazione attraverso quattro motivi. Resistono con distinti controricorsi il C. e la R.. Quest’ultima ed i ricorrenti hanno depositato memorie per l’udienza.
Motivi della decisione
Il primo motivo censura l’erronea applicazione ed interpretazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, in relazione agli artt. 444 e 445 c.p.p., sostenendo che la sentenza di patteggiamento non è efficace nei giudizi civili in quanto non contiene alcun accertamento effettivo del fatto reato, ma solo la sommaria valutazione della non ricorrenza dell’evidenza dell’insussistenza del reato o della sua non ascrivibilità all’imputato. Se ne deduce, dunque, che detta sentenza non può, nel giudizio civile risarcitorio, avere valenza favorevole all’imputato, producendo la riviviscenza della prescrizione breve, a fronte della possibilità del giudice civile di ritenere sussistente incidenter tantum il reato e quindi applicare, al diritto al risarcimento, la prescrizione più lunga prevista per il reato medesimo.
Il secondo motivo, con riferimento alle stesse disposizioni normative, sostiene che, pur volendo ritenere la sentenza di patteggiamento come rientrante tra quelle di condanna, ugualmente essa è suscettibile di essere ricondotta per la prescrizione all’ambito applicativo dell’art. 2953 c.c..
Il terzo motivo sostiene che la corretta lettura dell’art. 445 c.p.p., comma 2 fa presupporre che il soggetto sanzionato con sentenza di patteggiamento sia stato ritenuto responsabile del correlativo reato; sicchè, o il reato è stato giudizialmente accertato ed allora deve ritenersi sussistere una condanna con gli effetti di cui all’art. 2947 c.c., comma 3 oppure la sentenza rileva come mera causa estintiva del reato ed il termine prescrizionale decorre dall’estinzione del reato (cinque anni dopo la decisione frutto di patteggiamento).
Il quarto motivo ripropone la questione di legittimità costituzionale della disposizione dell’art. 2947 c.c., comma 3, seconda parte nell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza.
I primi tre motivi sono infondati.
La questione posta nei primi tre motivi è stata già dibattuta ed unanimemente risolta dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che, in tema di prescrizione del risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, dal disposto dell’art. 2947 cod. civ., comma 3, emerge, per l’ipotesi in cui il fatto costituisce anche reato, che quando il reato si estingue per prescrizione, non si applica il termine biennale, ma quello eventualmente più lungo previsto per la prescrizione del reato, al fine di evitare che il reo condannato in sede penale resti esente dall’obbligo di risarcimento verso la vittima, beneficiando del più breve termine di prescrizione in sede civile. Quando, tuttavia, il reato si estingue per una ragione diveR. dalla prescrizione, viene meno la predetta ragione e si applica il termine civilistico, ma il "dies a quo" è il momento nel quale si è estinto il reato stesso, ovvero è divenuta irrevocabile la sentenza che ha definito il procedimento penale con una pronuncia diveR. da quella della prescrizione e che non pregiudichi l’azione risarcitoria del danno, rientrando tra queste anche la sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. (in tal senso cfr. Cass. n. 3762/07; n. 256/08 in motivazione).
Siffatto principio deve essere confermato per tutte le ragioni esposte nelle menzionate sentenze della Corte di legittimità (e, peraltro, nella stessa sentenza impugnata) alle quali ci si richiama, mentre le argomentazioni addotte dai ricorrenti non risultano idonee alla sua modifica.
Quanto all’eccezione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost., contenuta nel quarto motivo, essa è manifestamente infondata in quanto l’interpretazione fornita alle disposizioni normative in questione garantisce in materia la razionalità e l’uniformità di trattamento.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna dei ricorrenti in solido a rivalere le controparti delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per onorari, in favore del C., ed Euro 2700,00, cui Euro 2500,00 per onorari, in favore della R., oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012

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