Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-07-2012, n. 13214

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Svolgimento del processo
1. T.A. e D.L. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Firenze la s.p.a. B. chiedendo il risarcimento dei danni da loro patiti a causa di un incendio avvenuto nella loro abitazione e asseritamente causato dal cattivo funzionamento del regolatore della bombola di gas (prodotta dalla società convenuta) utilizzata per una stufa.
Il Tribunale di Firenze rigettava la domanda.
2. Il T. e la D. proponevano appello avverso tale sentenza e la Corte d’appello di Firenze, con pronuncia in data 24 settembre 2007, rigettava l’appello, con condanna degli appellanti alle spese.
Osservava la Corte territoriale che le testimonianze assunte non avevano apportato utili elementi a sostegno della tesi degli appellanti secondo cui l’incendio si sarebbe sviluppato dalla bombola di gas della stufa. La c.t.u. aveva evidenziato che sussistevano elementi indizianti a favore degli appellanti (il fatto che il rivenditore locale delle bombole di quel tipo aveva ricevuto lamentele, che la guarnizione in questione era soggetta ad assottigliarsi con l’uso, tanto che il produttore l’aveva successivamente sostituita con una diversa), ma tali elementi consentivano solo di ritenere che il difetto della guarnizione della bombola era "al primo posto, secondo un ordine di probabilità decrescente, di un elenco di ben quattro possibili cause dell’incendio". Pertanto, secondo la Corte fiorentina, gli elementi indiziari assunti non potevano condurre a conclusioni univoche sulle origini dell’incendio.
3. Avverso la sentenza d’appello propongono ricorso il T. e la D., con atto affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la B. s.p.a..
I ricorrenti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo di ricorso si lamenta difetto ed erroneità della motivazione, sostenendo che i giudici di merito non avrebbero adeguatamente valutato il materiale probatorio esistente.
Rilevano in proposito i ricorrenti che le testimonianze assunte e i rilievi compiuti nel momento del fatto dai Carabinieri hanno evidenziato che le fiamme si erano sviluppate con una dinamica in tutto compatibile con l’esistenza di un difetto di funzionamento della guarnizione della bombola di gas della stufa; oltre a ciò, la relazione del c.t.u. aveva ritenuto di individuare nel suindicato difetto la causa "più probabile" dell’incendio, sicchè risultava evidente l’erroneità della motivazione della sentenza in ordine alle modalità di verificazione dell’evento.
2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), degli artt. 2043 e 2050 c.c., nonchè del D.P.R. n. 224 del 1988, artt. 1, 5, 6 e 8, in ordine alla responsabilità per danno da prodotti difettosi.
Osservano i ricorrenti che, nell’ipotesi di responsabilità per danno da prodotti difettosi, "la prova assume un contenuto diverso in quanto il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno, ma ciò può avvenire per presunzioni e per valutazioni di probabilità in quanto il prodotto, di per sè, non deve causare danni". Nel corso del giudizio è stata adeguatamente provata l’esistenza di un difetto della bombola, perchè "è circostanza pacificamente acquisita agli atti" il fatto che la bombola avesse una guarnizione di tipo composito che avrebbe potuto comportare un’accidentale fuoriuscita di gas.
3. I motivi di ricorso sono fondati.
Occorre innanzitutto rilevare che la giurisprudenza di questa Corte ha in numerose circostanze affermato che l’attività di raccolta e distribuzione del gas, anche in bombole, è attività pericolosa e che tale pericolosità non viene meno nel momento in cui la bombola passa nella disponibilità dell’utente consumatore finale (v., tra le altre, le sentenze 19 gennaio 1995, n. 567, 4 giugno 1998, n. 5484, 17 luglio 2002, n. 10382, 30 agosto 2004, n. 17369). Ne consegue che le regole probatorie sono quelle contenute nell’art. 2050 c.c., con la precisazione – più volte compiuta da questa Corte – che la presunzione di colpa di cui alla citata norma presuppone il previo accertamento dell’esistenza del nesso eziologico, la cui prova incombe al danneggiato, tra l’esercizio dell’attività pericolosa e l’evento dannoso, rimanendo poi a carico del danneggiante l’onere di provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (Cass., 15 luglio 2008, n. 19449, e ord. 5 marzo 2012, n. 3424).
Per quanto concerne l’onere della prova riguardante il nesso di causalità – che, come si è detto, è a carico del danneggiato – la giurisprudenza di questa Corte ha r-insegnato che l’autonomia del processo civile rispetto a quello penale si riflette anche in ordine alle regole sulla prova; mentre nel processo penale, infatti, vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", ossia in termini che si avvicinano alla certezza, nel processo civile vige la diversa regola della preponderanza dell’evidenza, ovvero del "più probabile che non" (v., tra le altre, Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576, nonchè Cass., 11 maggio 2009, n. 10741, 5 maggio 2009, n. 10285, e 21 luglio 2011, n. 15991). A tali autorevoli precedenti questa pronuncia intende dare continuità.
4. La sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei menzionati criteri in tema di onere della prova del nesso di causalità.
Essa, infatti, in una prima parte ha evidenziato una serie di elementi indiziari a favore degli odierni ricorrenti, tratti dall’espletata c.t.u., senza peraltro farli oggetto di una valutazione propria; poi, sempre basandosi sulla c.t.u., ha osservato che l’eventualità che il danno oggetto di causa derivi dalla guarnizione della bombola è al primo posto secondo un ordine decrescente di quattro probabilità, una delle quali ritenuta poco probabile.
In tal modo, la sentenza impugnata ha chiaramente violato la menzionata regola del "più probabile che non", rigettando la domanda sulla base di un criterio di certezza oltre ogni ragionevole dubbio che è, come si è visto, del tutto estraneo al processo civile.
Sussiste, quindi, la violazione di legge di cui al secondo motivo di ricorso il quale, pertanto, deve essere accolto.
5. La sentenza impugnata è cassata e la causa rinviata alla medesima Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, la quale deciderà attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati; al giudice di rinvio è demandata anche la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012

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