Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-07-2012, n. 13212

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Svolgimento del processo

Con ordinanza 25 – 26 maggio 2008 n. 384, emessa nel procedimento R.G. n. 559/07, il Tribunale di Campobasso, sezione della volontaria giurisdizione, ha accolto il ricorso proposto da P. G. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, avverso il provvedimento di liquidazione dei compensi alla s.r.l.

I.C.S. – Centro Sperimentale di Ingegneria, quale ausiliario del CTU, ed ha ridotto ad Euro 28.564,56 complessivi oltre I.V.A. il compenso, già liquidato dal GIP di Campobasso in Euro 48.074,00.

ICS propone quattro motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria.

Resiste il P. con controricorso.

Il Collegio raccomanda la motivazione semplificata.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 cit. e della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 29, sul rilievo che l’opposizione del P. andava proposta al presidente dell’ufficio giudiziario a cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto di liquidazione: nella specie al Presidente del Tribunale di Campobasso, affinchè venisse assegnato ad una sezione penale del Tribunale, anzichè ad una sezione civile, qual è quella della volontaria giurisdizione. Assume che avrebbe dovuto essere perciò dichiarata l’improponibilità della domanda, come deciso da varie sentenze della Corte di cassazione, fra cui Cass. civ. 25 maggio 2001 n. 7136.

1.1.- Il motivo è manifestamente infondato.

La questione è stata effettivamente controversa in passato, ma recentemente le Sezioni Unite di questa Corte hanno risolto il contrasto, affermando che il procedimento di opposizione, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 170, al decreto di liquidazione dei compensi ai custodi e agli ausiliari del giudice introduce una controversia di natura civile, indipendentemente dalla circostanza che il decreto stesso sia stato pronunciato in un giudizio penale, e deve quindi essere trattato da magistrati addetti al servizio i civile; che tuttavia, qualora l’ordinanza che decide l’opposizione sia stata adottata da un giudice addetto al servizio penale, si configura una violazione delle regole di composizione dei collegi e di assegnazione degli affari, che non determina nè una questione di competenza, nè una causa di nullità, ma può giustificare esclusivamente conseguenze di natura amministrativa o disciplinare (Cass. civ. S.U. 3 settembre 2009 n. 19161. Conf. Cass. civ. Sez. 3, 21 ottobre 2009 n. 22280; Cass. civ. Sez. 2, 2 luglio 2010 n. 15813).

Il ricorrente non prospetta alcuna ragione per discostarsi dal citato orientamento, che deve essere confermato.

2.- Il secondo e il terzo motivo denunciano violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 50 e 56, sul rilievo che l’ordinanza impugnata ha liquidato le spettanze applicando le tabelle di cui all’art. 50, che riguardano la misura degli onorari, mentre l’attività svolta nel caso in esame è prevalentemente consistita in onerose e costose attività materiali, quali il prelievo e il trasporto di materiali dal cantiere per l’esecuzione di prove e di indagini sulla composizione dei materiali stessi. Trattasi di attività che richiedono costose attrezzature e largo impiego di mano d’opera;

sicchè l’applicazione dei criteri di liquidazione dei compensi relativi alle attività intellettuali ha comportato il mancato rimborso di spese vive che esso ricorrente ha affrontato per svolgere l’incarico. Rileva ancora che il provvedimento impugnato neppure risulta adeguatamente motivato, poichè non indica le ragioni per cui la somma richiesta è stata ridotta, nè opera alcuna distinzione fra onorari e spese, nè specifica quali siano le voci ritenute non dovute.

2.2.- I motivi sono inammissibili per difetto di specificità.

Il ricorrente non ha prodotto unitamente al ricorso la nota spese di cui lamenta l’erronea liquidazione, nè ha precisato nel ricorso quali siano le spese vive esposte nella nota specifica che il provvedimento del Tribunale avrebbe illegittimamente lasciato scoperte. Si limita a proporre generiche censure, prive di ogni riferimento alla documentazione di supporto, in violazione del principio di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., circa l’onere di specificare nel ricorso di avere prodotto i documenti sui quali il ricorso si fonda, indicando come siano contrassegnati e dove siano reperibili, fra gli altri atti e documenti di causa (Cass. civ. 31 ottobre 2007 n. 23019; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766;

Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav., 7 febbraio 2011 n. 2966, fra le tante; e da ultimo Cass. civ. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726, quanto alla necessità della specifica indicazione del luogo in cui il documento si trova).

Va altresì ricordato che la quantificazione del compenso spettante all’ausiliario è questione di merito, rimessa alla discrezionale valutazione del giudice del merito e non suscettibile di riesame in sede di legittimità, se non nella parte in cui – applicando criteri di liquidazione o tariffe diverse da quelle stabilite dalla legge in termini imperativi – comporti violazione di limiti inderogabili fissati per legge.

Il Tribunale ha dichiarato di avere proceduto alla liquidazione degli onorari in base ai criteri dettati dall’art. 50, con l’incremento di cui al D.M. 30 maggio 2002, art. 11, in materia di strade, e di avere applicato l’aumento previsto dal D.P.R. n. 115, art. 52, per le prestazioni di eccezionale importanza.

Il ricorrente non specifica in che termini, con riferimento a quali voci ed a quali importi la decisione del giudice sarebbe da ritenere in violazione di tariffe o tabelle di legge; nè deduce quale sia l’entità delle spese sostenute, rispetto al compenso per le vacazioni, sì da dimostrare l’asserita illegittimità dei criteri di liquidazione adottati dal Tribunale.

3.- Il quarto motivo, che denuncia violazione del contraddittorio, perchè il ricorso contro il provvedimento di liquidazione del GIP avrebbe dovuto essere notificato anche a quest’ultimo, è manifestamente infondato, essendo principio cardine del nostro ordinamento che il giudice non ha, e non deve avere, interesse nella causa affidata al suo giudizio e men che mai un interesse tale da giustificare addirittura la sua partecipazione al giudizio.

4.- Il ricorso deve essere rigettato.

5.- Le spese processuali, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.800,00, di cui Euro 200.00 per esborsi ed Euro 1.600,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012

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