T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 19-01-2011, n. 301

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con il gravame in epigrafe le ricorrenti impugnano il provvedimento (ordinanza n. 138/2008) spedito dal Comune di Giugliano e recante un ordine di sospensione di lottizzazione abusiva. Chiedono, altresì, in via subordinata, la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita della proprietà per effetto dell’omessa effettuazione della doverosa attività di vigilanza e controllo sul territorio e per l’omessa adozione dei provvedimenti ex art. 18 commi 6 e 7 del d.p.r. 380/2001 nel momento in cui sono stati trasmessi gli atti all’Amministrazione.

Espongono, invero, di aver acquistato, in data 11.6.1993, un’abitazione unifamiliare, sita in Giugliano alla via Rannola, fol. 80, p.lla 680 (divenuta poi p.lla 754), dell’estensione di circa 800 mq.

In data 26.1.2004 il Comune di Giugliano rilasciava atti di concessione in sanatoria (12558 e 12584/SAN/95 del 2003) per le opere ivi edificate, consistenti in un villino bifamiliare su più livelli.

Deducono, a sostegno della spiegata domanda di impugnazione, le seguenti osservazioni censoree:

1) violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, che avrebbe precluso l’acquisibilità di apporti partecipativi circa la pendenza di domande di condono, positivamnente riscontrate, ovvero la non attualità della contestazione;

2) le ricorrenti avrebbero acquistato, nel 1993, un fabbricato e non un’area rispetto al quale non esisteva alcun provvedimento di sospensione della lottizzazione trascritto, di talchè non potrebbe dubitarsi della loro buona fede, nemmeno contestata dall’Autorità procedente;

3) l’ordine di sospensione risulterebbe malamente emesso a distanza di anni, dopo che si era, dunque, formato un atto di affidamento in capo alle ricorrenti, alimentato dall’inerzia del Comune (cui sarebbero stati trasmessi gli atti di alienazione) e dal successivo rilascio del provvedimento di sanatoria;

4) difetto di motivazione;

5) il provvedimento non terrebbe conto dei provvedimenti di condono rilasciati e della possibilità di adottare piani di recupero;

6) il provvedimento sarebbe contraddittorio nella parte in cui reca anche un ordine di demolizione.

Resiste in giudizio il Comune di Giugliano.

All’udienza del 25.11.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Preliminarmente, mette conto osservare che il precitato mezzo riporta all’attenzione del Collegio questioni, in buona parte, già di recente scrutinate in altri coevi procedimenti (cfr. ex multis TAR Campania, Napoli, Seconda Sezione, n°1613, 1614 del 25.3.2010, nn°10983 e 10984 del 31.5.2010, 16703, 16704 del 13.7.2010, nn°17263, 17264 del 27.8.2010), relativi ad attività di lottizzazione abusiva consumate sul medesimo territorio e che involgono, talvolta, la legittimità della stessa ordinanza n. 138/08 (cfr. ex multis TAR CAMPANIA, Napoli, Seconda Sezione, n. 16528 dell’1.7.2010) oggetto del presente gravame.

Non essendovi ragione per discostarsi dagli orientamenti già espressi, verranno riproposte, di seguito, le medesime argomentazioni già poste a fondamento dei richiamati "decisa", salvo le integrazioni che si renderanno necessarie in relazione ad eventuali, ulteriori questioni sollevate nel presente giudizio e non ancora delibate dalla Sezione.

Si deve al riguardo ricordare che l’articolo 30 del T.U. sull’edilizia – che riproduce le disposizioni contenute nel previgente articolo 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 – distingue due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva a scopo edificatorio.

La prima, cd. lottizzazione materiale (o reale), ricorre "quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione".

La seconda, lottizzazione cd. formale, negoziale ovvero cartolare, si delinea "quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio".

Ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, la lottizzazione abusiva materiale ricorre quindi nel caso di realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica e edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente da leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione, mentre la lottizzazione abusiva formale o cartolare si verifica quando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne siano già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita (o altri equipollenti) del terreno in lotti che, per le specifiche caratteristiche, quale la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, la ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, e per gli altri elementi riferiti agli acquirenti, evidenzino in modo non equivoco la destinazione a uso edificatorio, creando così una variazione in senso accrescitivo tanto del numero dei lotti quanto di quello dei soggetti titolari dei diritti sugli stessi.

La formulazione dell’art. 30, del D.P.R. n. 380 del 2001 consente quindi di affermare che può integrare un’ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opera in concreto idonea a stravolgere l’assetto del territorio preesistente ed a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, pertanto, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione del territorio (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un nuovo e non previsto carico urbanistico.

Il concetto di "opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia" dei terreni deve essere, dunque, interpretato in maniera "funzionale" alla ratio della norma, il cui bene giuridico tutelato è costituito dalla necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all’Amministrazione nonché l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione, al fine di garantire una ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio e uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard compatibile con le esigenze di finanza pubblica (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 9 ottobre 2009, n. 9859).

Per quanto concerne il frazionamento cartolare si è poi precisato che, sebbene l’accertamento dei presupposti di cui all’art. 30 del D.P.R. n. 380 comporti la ricostruzione di un quadro indiziario sulla scorta degli elementi indicati nella norma, dalla quale sia possibile desumere in maniera non equivoca la destinazione a scopo edificatorio degli atti posti in essere dalle parti, è tuttavia

sufficiente che lo scopo edificatorio emerga anche solo da alcuni degli indizi o, anche da un solo indizio (Consiglio Stato, sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2004; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 5 novembre 2009, n. 10872).

Applicando tali principi al caso di specie risulta evidente, dall’esame degli atti di causa, che nell’area di proprietà delle ricorrenti (e degli altri soggetti interessati dal provvedimento impugnato) è stata realizzata una vasta lottizzazione abusiva sia cartolare che materiale.

Come risulta infatti dagli accertamenti compiuti dal Comune, richiamati nel provvedimento impugnato, un ampio fondo del foglio 80 (con destinazione E1 agricola), originariamente di proprietà della signora Laura Pane, è stato oggetto di frazionamento e i relativi lotti sono stati alienati a diversi soggetti e sono stati oggetto di numerosi interventi edilizi realizzati in assenza di qualsiasi titolo abilitativo (e sanzionati con diverse ordinanze di demolizione).

Ritiene pertanto il Collegio che il Comune di Giugliano in Campania ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi, evidenziando che sulla suindicata porzione di territorio sono stati compiuti, nel corso degli anni, il frazionamento di un più ampio fondo in più lotti e la compravendita di questi ultimi, e sono state anche realizzate attività materiali indubbiamente idonee ad attuare una trasformazione urbanistica ed edilizia in violazione delle prescrizioni del P.R.G. che prevedevano la destinazione agricola dell’area.

Il disegno lottizzatorio emerge chiaramente, ove si considerino unitariamente, nel loro sviluppo cronologico, le circostanze fattuali poste a base dell’iter logico seguito dall’organo emanante, come esplicitate nell’atto in discussione e confermate dagli atti depositati in giudizio.

E tutte le indicate circostanze, unitariamente intese, sono tali da evidenziare congruamente il disegno lottizzatorio abusivo non solo nella sua forma negoziale ma anche in quella materiale.

Sussistono, infatti, univoci indici rivelatori da cui emerge l’illecito scopo edificatorio, risultando accertato per tabulas che all’atto di suddivisione dell’area in lotti di dimensione inferiore al minimo prescritto dal P.R.G. è seguita la stipula di atti di trasferimento della loro proprietà a terzi e, successivamente, anche la costruzione in breve tempo di numerose opere abusive.

Infondate risultano in conseguenza le censure con le quali le ricorrenti hanno lamentato l’erronea applicazione nella fattispecie delle disposizioni contenute nell’art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001.

Né, considerata l’evidenza della situazione accertata, può avere rilievo la censura con cui si lamenta la violazione dell’art.7 della legge n.241 del 1990 per l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.

Non ignora il Collegio che parte della giurisprudenza amministrativa, citata anche nel ricorso, ha ritenuto necessaria la comunicazione di avvio del procedimento in una lottizzazione avendo evidenziato che il procedimento di verifica degli elementi che caratterizzano la lottizzazione abusiva richiede un accertamento complesso di circostanze di fatto, non contraddistinte da significati unidirezionali, basato su molteplici elementi, al quale i soggetti interessati possono, con le loro osservazioni critiche e deduzioni in punto di fatto, utilmente cooperare, facendo eventualmente anche rilevare circostanze ed elementi tali da indurre la p.a. stessa ad orientarsi diversamente (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 23 febbraio 2000, n. 948; 29 gennaio 2004, n. 296; 11 maggio 2004, n. 2953; T.A.R. Campania Napoli, Sezione IV, 10 novembre 2006, n. 9458).

Il suesposto indirizzo può tuttavia trovare applicazione, anche alla luce delle novità normative introdotte con la legge 11 febbraio 2005 n.15, solo laddove tale fase procedimentale può essere di qualche utilità (per i soggetti interessati e per l’amministrazione) non avendo invece ragion d’essere una specifica attività procedimentale quando le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio, a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell’amministrazione.

E’ noto che l’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 14 della l. n.15 del 2005, ha espressamente sancito che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" e che "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

Di recente anche il Consiglio di Stato (Sez. IV n. 2004 del 31 marzo 2009) ha affermato che, in tema di lottizzazione abusiva, l’individuazione della relativa fattispecie presuppone di regola, stante la complessità e la obiettiva difficoltà di tali indagini, la partecipazione dei soggetti interessati al relativo procedimento, al fine di consentire ai medesimi la proposizione delle opportune osservazioni e deduzioni, ad eccezione del caso in cui sussista la certezza assoluta della finalità edificatoria della lottizzazione in cui sarebbe, quindi, del tutto superfluo ed irrilevante l’apporto conoscitivo e documentale della parte privata.

Orbene, nella fattispecie in esame, le circostanze di fatto poste a fondamento dell’azione amministrativa, come sopra descritte, sono chiare e non risultano in sostanza contestate dalle ricorrenti (che ha ammesso che l’area è interamente urbanizzata ed è pacifico che tale urbanizzazione è stata realizzata in contrasto con la destinazione urbanistica agricola dell’area) né le stesse ricorrenti hanno potuto dimostrare la concreta utilità di una loro partecipazione al procedimento, sicché la misura repressiva adottata assumeva carattere dovuto e contenuto vincolato in relazione ai presupposti accertati.

Si deve pertanto ritenere che, nella vicenda in esame, una specifica comunicazione dell’avvio del procedimento era oggettivamente superflua poiché il contenuto dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (in termini, in giudizi aventi oggetto fattispecie analoghe, le già citate sentenze di questa Sezione dal n. 1613 al n. 1617 e dal n. 1619 al n. 1621 del 25 marzo 2010). E ciò anche rispetto alle deduzioni concernenti l’intervenuto rilascio di provvedimenti di condono ovvero al ritardo della contestazione sulla cui irrilevanza ci si soffermerà in seguito.

Deve peraltro aggiungersi, in relazione alla lamentata incongruenza per la spedizione di un ordine di sospensione a distanza di anni dagli atti di frazionamento e quando i lavori (almeno sul fondo di proprietà attorea) erano in realtà già ultimati da tempo, che la fattispecie di lottizzazione abusiva riflette un illecito a carattere permanente di talchè la misura sanzionatoria prevista dalla disciplina di settore – oltre che dovuta – deve ritenersi, per definizione, sempre attuale.

Contrariamente a quanto ritenuto dalle ricorrenti, il provvedimento ex art. 30 del d.p.r. 380/2001 non esaurisce, infatti, la sua valenza su un piano esclusivamente cautelare (con effetti meramente conservativi in funzione strumentale rispetto ad ulteriori, successive determinazioni) ma – nell’economia complessiva della disciplina di settore – riflette la chiara attitudine a porsi (salvo revoche anche) come provvedimento idoneo a regolare, in via definitiva, l’assetto di interessi e, dunque, i rapporti tra le parti.

D’altro canto, la prospettiva d’indagine privilegiata dalle ricorrenti, circa i limiti temporali di rilevanza (e di sanzionabilità) del fenomeno lottizzatorio, appare riduttivamente circoscritta alle trasformazioni intervenute sul proprio lotto e non, viceversa, appare calibrata, in una necessaria visione di insieme, sulla dimensione complessa del fenomeno che, come efficacemente dimostrato dal Comune resistente, involge vaste aree, diversi destinatari e risulta essersi progressivamente sviluppato nel corso del tempo.

Parimenti priva di pregio si rivela la doglianza con la quale le parti ricorrenti hanno lamentato una ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 380, avendo acquistato in buona fede l’immobile senza concorrere alla consumazione della fattispecie illecita della lottizzazione abusiva.

Nel costrutto giuridico attoreo assumerebbe, anzitutto, rilievo assorbente la circostanza della mancanza, al momento dell’acquisto, di un provvedimento di sospensione ex art. 30 del d.p.r. 380/2001 trascritto nei registri immobiliari.

In siffatta evenienza i terzi acquirenti maturerebbero un legittimo affidamento sull’assenza di ragioni ostative alla commerciabilità del bene.

Ed, invero, secondo le ricorrenti, il provvedimento ex art. 30 del d.p.r. 380/2001, in ragione della sua natura tipicamente cautelare, potrebbe essere spedito solo immediatamente dopo l’intervenuto frazionamento delle aree.

Ciò si evincerebbe anche dalla stessa collocazione (al comma VII dell’art. 30 cit.) della disposizione in argomento, immediatamente dopo la previsione (di cui al comma VI dell’art. 30 cit.) secondo cui "I pubblici ufficiali che ricevono o autenticano atti aventi per oggetto il trasferimento, anche senza frazionamento catastale, di appezzamenti di terreno di superficie inferiore a diecimila metri quadrati devono trasmettere, entro trenta giorni dalla data di registrazione, copia dell’atto da loro ricevuto o autenticato al dirigente o responsabile del competente ufficio del comune ove è sito l’immobile"(tale comma è stato, però, abrogato dall’art. 1, D.P.R. 9 novembre 2005, n. 304).

La non predicabilità delle misure repressive previste dalla disciplina di settore dovrebbe, poi, essere vieppiù affermata nei casi – com’è quello di specie – in cui la contestazione di lottizzazione abusiva sopravvenga a distanza di molti anni dall’acquisto.

A sostegno delle conclusioni rassegnate le ricorrenti – nel corso dell’udienza di discussione – hanno richiamato, infine, le valutazioni espresse dal Giudice ordinario nella sede cautelare penale dove (proprio in relazione a contestazioni di lottizzazione abusiva consumate nel Comune di Giugliano alla via Rannola) l’apprezzamento della buona fede dei terzi acquirenti ha condotto all’annullamento dei decreti di sequestro preventivo.

La censura, pur ben argomentata e di grande interesse, anche in relazione ai più recenti orientamenti della giurisprudenza penale (che hanno fatto seguito alla pronunce della CEDU del 30 agosto 2007 e del 20 gennaio 2009) in tema di confisca delle opere oggetto di lottizzazione, disposta ai sensi dell’art. 44 del D.P.R. n. 380 del 2001, non può essere accolta.

Anzitutto, è appena il caso di precisare che le funzioni di vigilanza e di controllo si ricollegano a finalità generali di tutela del territorio nell’interesse della collettività (di qui la posizione del Comune come soggetto danneggiato) e da esse non è possibile evincere, con la pretesa automaticità, uno specifico obbligo di garanzia a carico dell’Autorità competente ed a diretto vantaggio del terzo acquirente.

Alcun affidamento, nei termini prospettati nel gravame, può, dunque, conseguire per effetto della (sola) mancanza, al momento della stipula dell’atto di compravendita, di un provvedimento di sospensione ex art. 30 del d.p.r. 380/2001 trascritto nei registri immobiliari.

Resta, dunque, onere del potenziale acquirente accertare, al momento dell’acquisto ed usando la normale diligenza (tanto più in un contesto territoriale come quello nel quale si è determinata la vicenda in esame), la regolarità urbanistica ed edilizia dell’immobile oggetto dell’atto di alienazione.

D’altro canto, l’impostazione attorea non sembra adeguatamente considerare che non è la vendita del lotto frazionato, in sé, ad integrare gli estremi della fattispecie illecita, ma la sua oggettiva preordinazione a scopi edificatori.

Ne discende che la semplice comunicazione al Comune del singolo atto di compravendita (e ciò indipendentemente dall’intervenuta abrogazione del comma VI dell’art. 30 in cui impinge il costrutto giuridico di parte ricorrente) non potrebbe, comunque, di per sé, giustificare le iniziative repressive previste dalla disposizione sopra richiamata.

Ritiene, poi, questo TAR che, nella fattispecie, non possa darsi rilievo alla asserita buona fede della parte ricorrente e che, quindi, manchino i presupposti per una positiva valutazione dell’incidenza anche nel giudizio amministrativo dei principi di recente affermati in tema di confisca.

Anzitutto, non può essere obliterata la diversa prospettiva che governa, in questa sede, la valutazione delle condotte: non viene qui in rilievo l’applicazione di una sanzione penale, che impinge necessariamente in una pregresso comportamento antidoveroso del soggetto destinatario, bensì una misura amministrativa dettata in funzione riparatoria rispetto alla lesione di una delicata funzione pubblica cui si correla la cura puntuale di rilevanti interessi della collettività.

Com’è noto, la Corte europea (con sentenza 10 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia) ha ritenuto che, in caso di lottizzazione abusiva, la misura della confisca, applicata ad imputati assolti per mancanza dello elemento psicologico del reato, fosse in contrasto con l’art.7 della Convenzione (che proibisce ogni pena senza preventiva legge) e con l’art.1 del suo primo Protocollo (che tutela la proprietà privata) e si traducesse, pertanto, in una sanzione arbitraria.

Viceversa, la dimensione funzionale in cui si colloca il provvedimento previsto dall’art. 30 del d.p.r. 380/2001 non è quella tipicamente retributiva della sanzione penale: la misura ivi prevista assolve, infatti, ad una funzione prettamente ripristinatoria, e si pone a presidio dell’indefettibile esigenza di assicurare un ordinato sviluppo del territorio attraverso la salvaguardia del potere di pianificazione urbanistica dell’Ente a ciò preposto.

Nella suddetta prospettiva, una volta integratasi la fattispecie illecita, il potere sanzionatorio dell’Ente non può essere condizionato da successive vicende di trasferimento del bene, maturate per atti inter vivos o iure successionis, che potrebbero, altrimenti, comportare – ove invece ritenute idonee ad elidere la potestà sanzionatoria amministrativa – l’integrale vanificazione della tutela.

Ciò nondimeno, alle medesime conclusioni si perviene anche a voler privilegiare una diversa prospettiva d’indagine che, in aderenza ai più recenti arresti della giurisprudenza penale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ritenga necessario, per quanto concerne la posizione del terzo acquirente del bene, verificare se costui fosse in buona fede o fosse edotto della illegittima trasformazione del territorio oppure se versasse in una situazione di colpevole inconsapevolezza per non avere effettuato le necessarie e richieste verifiche.

Al riguardo, ritiene questo TAR che la fattispecie in esame non lasci emergere la dedotta estraneità delle ricorrenti rispetto alla concretizzazione del vulnus urbanistico sotteso alla contestata fattispecie della lottizzazione abusiva.

Anzitutto, non può essere obliterato che le ricorrenti hanno acquistato – come si evince dal contratto di compravendita rogato in data 11.6.1993 – un terreno (e non un fabbricato) poco dopo il perfezionamento della lottizzazione nella sua fase cartolare (id est nel 1993) e che lo stesso atto di compravendita poneva in evidenza la destinazione agricola dell’area, di cui veniva ribadita la perdurante validità.

Peraltro, nel medesimo atto le ricorrenti destinavano a strada privata una fascia del suddetto terreno larga tre metri che, unita a quella del proprietario frontista, avrebbe dovuto formare una strada larga sei metri per passaggio e per condotte.

Alla stregua di tali elementi va, dunque, revocata in dubbio la buona fede dichiarata dalle ricorrenti: già nella fase di acquisto è, infatti, ravvisabile un elemento di indubbia valenza indiziaria, rappresentato dall’acquisizione di un’area agricola di appena 812 mq, da parte di soggetti che non avevano la qualifica di imprenditore agricolo e che in parte veniva destinata alla realizzazione di opere di urbanizzazione (strade e condotte).

Su tale lotto – inserito in un’area destinata a zona agricola – è stato poi edificato (come affermato nello stesso atto di gravame) un villino bifamiliare.

Tutto ciò dimostra il coerente inserimento dell’azione delle ricorrenti nel disegno di progressivamente trasformazione dell’area, illecitamente impiegata per finalità diverse da quelle programmate.

In definitiva, nel caso di specie, ritiene questa Sezione che, per le ragioni esposte, non possa darsi rilievo alla affermata buona fede delle ricorrenti e che non sussiste alcun difetto di motivazione circa l’interesse pubblico alla repressione dell’attività abusiva e circa la mancata comparazione con l’interesse privato sacrificato, in relazione al tempo decorso, atteso il carattere doveroso e vincolato della potestà esercitata, in presenza di tutti gli elementi integranti la fattispecie della lottizzazione abusiva e trattandosi di una situazione in cui rileva, da punto di vista urbanistico, la sussistenza di un abuso che è oggettivo e ha natura permanente (in termini: T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 15 marzo 2010, n. 1452).

Non sono suscettibili di accoglimento neanche le doglianze con le quali le ricorrenti assumono la violazione della disciplina del condono edilizio, avendo conseguito la sanatoria del manufatto abusivamente realizzato con le concessioni in sanatoria del 26.1.2004. Sul punto il Collegio condivide le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza, anche in sede penale, in ordine all’esclusione della lottizzazione abusiva – sia essa materiale, negoziale o mista – dall’ambito di applicazione della disciplina del condono (cfr. T.A.R. Campania, II Sezione, 22 ottobre 2005 n.20535; IV Sezione, 10 novembre 2006 n.9458; T.A.R. Sicilia, Catania, I Sezione, 29 giugno 2004 n.1750: T.A.R. Sicilia, Palermo, I Sezione, 8 luglio 2002 n.1926; Consiglio di Stato, V Sezione, 15 luglio 1998 n.1041; Corte di Cassazione, III Sezione penale, 21 gennaio 2010 n.9446; 21 novembre 2007 n.9982; 5 giugno 2003 n.24319, 20 dicembre 2002 n.8557 e 20 marzo 1998 n.5352), ribadita ancora di recente da questa Sezione (cfr. da ultimo, per tutte, sentenza n.16703 del 13 luglio 2010). Ed invero, va ribadito anche in questa sede che tutti i provvedimenti in materia di sanatoria edilizia operano nell’ambito di uno schema procedimentale che prevede interventi, adempimenti e termini specificamente modellati sulla fattispecie della costruzione priva di titolo abilitativo, che non può essere trasposta sic et simpliciter alla diversa fattispecie delle costruzioni e delle altre opere realizzate in comprensori abusivamente frazionati, attesa la particolare rilevanza del vulnus arrecato al corretto assetto urbanistico del territorio. Ed infatti, gli interessi alla cui tutela i relativi procedimenti sono destinati – quello relativo alla contestata lottizzazione ed i procedimenti pendenti in presenza di domande di sanatoria – sono del tutto distinti, poiché il procedimento di lottizzazione è riferibile alla tutela e conservazione delle destinazioni pubblicisticamente impresse dagli strumenti urbanistici ad un determinato terreno, che non tollerano di essere vanificate per illecite finalità di edificazione, mentre gli altri sono destinati a far conseguire la sanatoria a singole opere necessitanti di idoneo titolo abilitativo per la loro realizzazione.

In tale ottica, si è costantemente ritenuto che i manufatti abusivamente eseguiti nell’ambito dell’attività lottizzatoria possono essere recuperati alla legalità solo in presenza delle condizioni che legittimano l’approvazione di un piano di lottizzazione, attraverso il meccanismo previsto dagli artt.29 e 35, comma 13, della L. n.47 del 1985, quindi, previa adozione di una variante allo strumento urbanistico generale.

Né sussisteva in capo al Comune di Giugliano in Campania un obbligo di procedere in tal senso come più volte chiarito in giurisprudenza (cfr., per tutte, T.A.R. Campania, Sezione II, 2 marzo 2010 n.1257; Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 luglio 2001 n.4078 e 3 ottobre 2001 n.5207).

Anche sul punto in questione la Sezione, di recente, e sempre in riferimento ad analoghe vicende relative al territorio del Comune di Giugliano, ha ribadito tale assunto con le argomentazioni di seguito riproposte (cfr. Tar Campania, Napoli sentenza n. 17263 del 27.8.2010).

Si è, invero, evidenziato che la ratio della norma non è quella di imporre alle regioni ed alle amministrazioni comunali, in sede di adozione ed approvazione delle varianti generali agli strumenti urbanistici, l’obbligo di considerare gli insediamenti abusivi a fini di recupero bensì quella di affiancare una speciale tipologia di variante a quelle già contemplate dall’ordinamento urbanistico, demandando alle regioni la disciplina di dettaglio.

Neppure vale il terzo comma del citato art. 29, laddove sancisce, in via transitoria, che "Decorso il termine di novanta giorni, di cui al primo comma, e fino alla emanazione delle leggi regionali, gli insediamenti avvenuti in tutto o in parte abusivamente (…) possono formare oggetto di apposite varianti agli strumenti urbanistici al fine del loro recupero urbanistico, nel rispetto comunque dei principi di cui al primo comma e delle previsioni di cui alle lettere e), f) e g) del precedente secondo comma". In tal caso, infatti, come si evince dal chiaro tenore letterale della norma – che pure al quarto comma, nell’individuare i soggetti legittimati a proporre l’iniziativa, precisa che questi "possono" e non "devono" presentare le relative proposte – le amministrazioni interessate hanno una mera facoltà e non l’obbligo di contemplare all’interno delle varianti generali gli insediamenti abusivi.

Invero, la situazione in esame va tenuta nettamente distinta da quelle nelle quali, invece, la giurisprudenza configura come doverosa l’attività di pianificazione urbanistica. In particolare, nel caso di cd. zone bianche – divenute tali, ad esempio, per la decadenza di vincoli espropriativi – si ritiene sussistente in capo all’ente locale un vero e proprio obbligo di provvedere alla riclassificazione urbanistica delle aree ormai prive di disciplina, per cui avverso il silenziorifiuto del comune è esperibile il rimedio giurisdizionale previsto dall’art.21 bis della legge n.1034 del 1971, come successivamente modificata ed integrata (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sezione I, 8 luglio 2008 n.1312; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione I, 1 luglio 2008 n.2040). A tale fattispecie non è, invece, assimilabile l’odierna vertenza, atteso che nel caso in esame la porzione di territorio interessata è tuttora fornita di disciplina urbanistica, essendo classificata come "zona E/1 agricola normale" del vigente piano regolatore, con le limitazioni all’attività costruttiva ivi stabilite.

Né può ipotizzarsi che l’obbligo di provvedere ad una variante discenda dalla L.R. Campania n.16 del 2004. Vero è che l’art.23, comma 3, della citata legge regionale stabilisce che:" Il Puc individua la perimetrazione degli insediamenti abusivi esistenti al 31 dicembre 1993 e oggetto di sanatoria ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, capi IV e V, e ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, articolo 39, al fine di: a) realizzare un’adeguata urbanizzazione primaria e secondaria; b) rispettare gli interessi di carattere storico, artistico, archeologico, paesaggisticoambientale ed idrogeologico; c) realizzare un razionale inserimento territoriale ed urbano degli insediamenti". Tuttavia, l’art.44 della medesima legge regionale, al fine di garantire il rispetto dei diversi livelli in cui si attua la pianificazione urbanistica – e fatti salvi i poteri sostitutivi in caso di inadempienza, secondo le modalità di cui all’art.39 – stabilisce, ai primi due commi, quanto segue: "1. Le province adottano il Ptcp entro diciotto mesi dall’entrata in vigore del Ptr.

I comuni adottano, entro due anni dall’entrata in vigore del Ptcp, il Puc e il Ruec".

E’ noto che in Campania il Piano territoriale regionale (Ptr) è stato approvato con legge regionale n.13 del 10 novembre 2008 e che la formazione del Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) è ancora in itinere, per cui al momento non è neppure iniziato a decorrere il termine biennale per l’adozione del Puc da parte dei comuni.

Inoltre, a fronte, da un lato, dell’ampia discrezionalità che caratterizza le scelte pianificatorie, dall’altro, del carattere vincolato della potestà sanzionatoria dell’illecita trasformazione della porzione di territorio comunale in questione, di cui si è già detto non può fondatamente considerarsi di per sé come illogica la scelta di non regolarizzare la mera situazione di fatto, come determinatasi a seguito di una disordinata e intensa attività di trasformazione del territorio, realizzata in spregio alle previsioni urbanistiche e con il concorso dalla colpevole inerzia perpetuata nel corso degli anni dagli organi preposti alla vigilanza sull’attività edilizia ed alla repressione degli abusi. Né la connotazione agricola della zona può ritenersi definitivamente compromessa dalle pur numerose costruzioni presenti in zona, considerato che un ordinato ed armonico assetto del territorio non può prescindere dall’esigenza di contenere l’espansione dell’aggregato urbano, salvaguardando la conservazione dei residui spazi verdi ancora integri o recuperabili all’originaria destinazione agricola attraverso il ripristino dello stato dei luoghi.

Nemmeno può essere condivisa l’osservazione censorea con cui le ricorrenti lamentano l’impropria commistione degli schemi legali della sospensione di attività di lottizzazione (art. 30 del d.p.r. 380/2001) e di demolizione di opere abusivamente realizzate (art.31 del d.p.r. 380/2001).

Anzitutto, mette conto evidenziare come le osservazioni censoree esauriscono ogni profilo di contestazione in relazione alla sola dimensione astratta del potere esercitato, onde far rilevare cioè la presunta incompatibilità degli schemi utilizzati dall’Autorità procedente e senza che – ai suddetti fini – assuma rilievo la specificità della situazione soggettiva delle ricorrenti.

Ciò premesso, ed avuto riguardo alla suddetta prospettazione difensiva, è sufficiente notare come questa stessa Sezione – nei precedenti richiamati in premessa – ha già riconosciuto come opzione valida la spedizione di un atto a contenuto plurimo che contenga il contenuto minimo essenziale di entrambe le statuizioni; nella circostanza il Tribunale ha espressamente affermato che "l’ingiunzione a demolire non può essere esclusa dalla pendenza del procedimento volto a reprimere una fattispecie lottizzatoria abusiva, rappresentando al contrario un quid pluris necessario nell’ipotesi di lottizzazione materiale con stadio avanzato di realizzazione di immobili abusivi" (così ad esempio T.A.R. Campania, sez. II, del 25.3.2010, nn. da 1613 a 1620; id., 3l.5.2010, nn, 10983 e 10984).

Sotto diverso profilo, va poi aggiunto che non vi è incompatibilità tra le suindicate misure repressive, atteso che la riduzione in pristino dello stato dei luoghi costituisce un effetto tipico (unitamente all’acquisizione dell’area) anche della previsione repressiva della lottizzazione materiale, com’è fatto palese dalla piana lettura dell’art. 30 cit.

Infine, va respinta la pretesa risarcitoria azionata in via subordinata dalle parti ricorrenti, con la quale hanno chiesto la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita della proprietà per effetto dell’omessa effettuazione della doverosa attività di vigilanza e controllo sul territorio e per l’omessa adozione dei provvedimenti ex art. 18 commi 6 e 7 del d.p.r. 380/2001 nel momento in cui sono stati trasmessi gli atti di vendita frazionata.

A tal riguardo, va anzitutto rilevata la genericità delle allegazioni attoree in ordine alla descrizione degli elementi costitutivi della ipotizzata fattispecie di illecito, non essendo state sufficientemente delineati i meccanismi di interazione dinamica tra i ritardi e/o le omissioni addebitate all’Amministrazione ed il danno sofferto dal privato: sul punto, è sufficiente notare che il ritardo nell’emanazione di un provvedimento autoritativo si ricollega direttamente ad un momento ben preciso dell’esercizio del potere, che è governato da regole procedimentali, tra cui anche quella relativa al termine finale di adozione del provvedimento.

Di contro, le deduzioni delle ricorrenti si limitano ad affermare l’esistenza di un nesso di derivazione causale tra il potere (non esercitato) ed i danni di cui si chiede ristoro, senza inquadrare tali rivendicazioni in un’approfondita disamina delle concrete modalità di interazione dei due eventi.

D’altro canto, nemmeno può essere sottaciuto che le funzioni di vigilanza e di controllo si ricollegano a finalità generali di tutela del territorio nell’interesse della collettività (di qui la posizione del Comune come soggetto danneggiato) e da esse non è possibile evincere, con la pretesa automaticità, uno specifico obbligo di garanzia a carico dell’Autorità competente ed a diretto vantaggio del terzo acquirente.

Il danno lamentato trova, invero, la sua diretta fonte genetica nell’operazione negoziale di compravendita e solo, mediatamente ed occasionalmente, nella presunta inerzia dell’Amministrazione comunale, che, dunque, non si pone in rapporto di causalità diretta ed immediata con la perdita della proprietà.

E ciò, perché, l’esercizio dei suddetti poteri di vigilanza – a cagione della dimensione pubblicistica che li connota – non esplica una diretta valenza certificativa e di garanzia in ordine alla commerciabilità del bene, dovendo ritenersi pur sempre predicabile il dovere del potenziale acquirente di accertare, usando la normale diligenza (anche in un contesto territoriale come quello nel quale si è determinata la vicenda in esame), la regolarità urbanistica ed edilizia dell’immobile oggetto dell’atto di alienazione.

E ciò viepiù nel caso di specie, atteso che le risultanze istruttorie non hanno consentito di convalidare il costrutto giuridico attoreo nella parte in cui accredita la totale estraneità delle ricorrenti rispetto alla fattispecie in contestazione e, pertanto, la titolarità di un interesse giuridicamente rilevante leso da un illecito imputabile esclusivamente all’azione combinata, commissiva ed omissiva, dolosa e colposa di terzi, tra cui la stessa Autorità procedente.

Non può, invero, essere obliterato il coerente inserimento della condotta delle ricorrenti nella concatenazione di eventi (giuridici e materiali) che hanno contribuito, nel complessivo processo eziologico, alla realizzazione ovvero, quanto meno, alla stabilizzazione degli effetti di un’illecita trasformazione dell’area rispetto alla sua tipica destinazione urbanistica.

Anche in ragione di quanto detto, l’interesse sotteso alla predetta azione, volto sostanzialmente a conservare ovvero a monetizzare il prodotto di un’azione illecita deve evidentemente ritenersi privo di qualsivoglia tutela nell’ambito dell’ordinamento generale.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto siccome infondato.

Le spese e gli onorari di causa seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna le ricorrenti, in solido, a rimborsare al Comune di Giugliano in Campania le spese del presente giudizio, che liquida complessivamente in Euro 1.500,00 (euro millecinquecento/00); il contributo unificato resta a carico della parte soccombente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Carlo D’Alessandro, Presidente

Anna Pappalardo, Consigliere

Umberto Maiello, Consigliere, Estensore
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *